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Archive for the ‘ETICHETTA: New Model Label’ Category

ETICHETTA: New Model Label
GENERE: Elettronica

L’imprescindibile traiettoria artistica degli Strip in Midi Side riceve, con Non Ti Amo Più, Amore, il suo punto fermo. Retrocedere non sembra un’azione rientrante nelle corde di questo progetto, rivoluzionario perché riesce a destrutturare e ricostruire un decennio, quello degli anni ottanta, senza farlo sembrare né decontestualizzato né anacronistico. Siamo quasi nel duemilatredici e, ammettiamolo, questo non è cosa facile, nonostante gli inevitabilmente noiosi continui tentativi di revival. Il percorso di questa band è personale, caratterizzato da continue scissioni che, una volta dipinto il quadro del loro percorso artistico, lo distruggono separandolo in innumerevoli schegge. E’ elettronica fatta con il cuore e la testa, due parti del corpo che difficilmente il musicista usa insieme di questi tempi, che riesce nel nobile intento di risultare al contempo maliziosa ed easy-listening, ma anche impegnata e di spessore, facendo anche scivolare l’anca (“Viagra in Tasca”). Non pochi, comunque, i momenti più elaborati e nervosi, quasi nevrotici, che vomitano schizofrenia in grado di deviare il tragitto eighties della band: è il caso del noise di “Resistenza” e della pazzia blandamente sintetica di “Dinosauri”, capace di unire scientemente Garbo, i Depeche Mode (forse, meglio, Hourglass di Gahan solista) e momenti di beat tardo à la Krisma.

E’ un disco colorato ma che attinge a tonalità grigie nei suoi testi, per questo antitetico, fatto di ossimori, di sineddoche, di vuoti e di pieni. Lo ricorderemo meglio tra qualche anno. Non ti amo più, musica italiana, ma lo rifarò.

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ETICHETTA: New Model Label
GENERE: Alternative rock

TRACKLIST:
Caro Tornado
Per Favore Dillo Tu al Diavolo
Dosati Meglio
Clima
Nagasaki Blues
Per Un Attimo Mi Avresti Voluto Morto
In Piena
Ercole
F

Gli anni novanta sono duri a morire nella regione che fu la culla del migliore alternative rock.
Il trio pavese degli Iceberg, smanioso di dare il proprio contributo ad una scena ipersatura ma in ogni caso sempre molto prolifica e di buona qualità, se si considera la stupefacente eterogeneità delle sue interminabili e tentacolari propaggini. Lo fanno, infatti, con un’interessante presa di posizione, un coraggioso ripercorrere della storia del migliore alt italico, con echi che ci ricordano dei primi Afterhours, Marlene, Estra, Ritmo Tribale, CCCP e, perché no, anche i Verdena del Suicidio dei Samurai. Manca forse un po’ della graffiante ironia di certi testi delle band sopracitate, nonché la corpulenza delle chitarre quasi grunge che contraddistinsero gli esordi di quasi tutte queste band: qui l’approccio melodico e ritmico è molto più macilento, quasi minimalista, e l’assenza di fronzoli, dall’altro lato, svolge un ruolo fondamentale nel definire la poesia di alcune liriche e nel creare quei momenti di svolta che alternano in maniera prevedibile ma sempre ben realizzata arpeggi e aperture più massicce.

Tutto sommato se non si ricerca un disco particolarmente originale, Caro Tornado è un buon punto di partenza per una rielaborazione moderna di quegli stili che resero famose molte delle band che ancora oggi riempiono le nostre playlist. Tanti i margini di crescita, e per questo lo apprezziamo ulteriormente. Da non ignorare.

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La rubrica Multireview torna con un triplo appuntamento tutto italiano. 

MARIA ANTONIETTA – MARIA ANTONIETTA (Picicca Dischi, 2012)
GENERE: Cantautorale, punk, alt-rock

Maria Antonietta, nome d’arte di Letizia Cesarini, è entrata di diritto nella lista degli artisti più importanti di questo periodo, insieme ai Cani, allo Stato Sociale e al suo produttore Brunori SAS. L’attenzione un po’ smodata era facilmente prevedibile, così come lo è lo stile dei testi, mirati ad un realismo e ad una quotidianità di facile presa, con un lessico semplice che non disdegna i semplici riferimenti al “tutto un po’” che piace ai nuovi hipsters. Zen Circus, Vasco Brondi e Dario Brunori tra i più simili, in questo senso (ma anche DiMartino). “Quanto Eri Bello” è una di quelle perle indie che piacciono molto agli italiani, forse perché strappa facili consensi con il suo piglio radiofonico, di nuovo presente in “Tu Sei La Verità Non Io”, con influenze più garage sporcate da una tagliente verve punk. Rapporti di coppia in primo piano negli argomenti delle liriche, che presto o tardi vestiranno questo lavoro di un riconoscimento di “album generazionale” che molti già gli affibbiavano a scatola chiusa. Il miglior brano rimane “Santa Caterina”, perfetto per i concerti, grazie ad una grinta assolutamente alt-rock che qui da noi non può che andare bene. Forse la voce a volte risulta un pochino noiosa, ma è alto il grado di personalizzazione che si avverte lungo tutto il disco, ricercando un’originalità talvolta esagerata ma che funziona nel risultare innovativa.
Della serie “può non piacere, ma è un’uscita importante e ve la beccate lo stesso”.

GIOVANNI PELI – TUTTO CIO’ CHE SI POTEVA CANTARE (Kandinsky Records, 2012)
GENERE: Cantautorale, rock italiano

Kandinsky Records e un’altra bella uscita: Giovanni Peli sa lavorare bene con il cantautorato, manipolandolo con grande abilità in una lunghissima serie di altri linguaggi, dal blues al folk, il tutto ricoperto da un’impalpabile e nitidissima patina pop. “Viene La Notte” ha la sua anima Tenco, così come il rock di “Tutto Quello Che Fai” sembra un misto di Benvegnù, Casale, Edda e Battisti. “Tu Amore Perduto” è molto più malinconica, si ripulisce in una sorta di mellifluo Manuel Agnelli che sposa la causa dei primi La Crus e il lirismo di Dalla. “Corallo” è un brano più pensato, impegnando le parole in qualche gioco superiore alla media del resto del disco, ma senza strafare. I testi di altre perle come “Incrocio” non esagerano mai nel barocco e le levigatissime rifiniture di certe evoluzioni lessicali non fanno altro che confermare un songwriting preciso, completo e mai acerbo, anche dal punto di vista letterario.
Un disco di cantautorale classica ma dall’irresistibile facciata modernista.

VIOLASSENZIO – NEL DOMINIO (Alka Records/New Model Label, 2012)
GENERE:  Rock

A Ferrara gli artisti di un certo livello esistono, e i Violassenzio lo confermano. Efficaci musicisti di grande bravura, qualitativamente in grado di superare di gran lunga la media della loro zona, pur esibendo in questo disco tutte le loro influenze in maniera fin troppo scintillante. Anni settanta e ottanta sono miscelati con tutta la new wave che da loro è scaturata, e l’ombra è quella dei Tuesday’s Bad Weather, band pugliese completamente identica a questi emiliani. Il disco è comunque interessante, e a parte alcune oscure somiglianze fila liscio in tutti i suoi tre quarti d’ora. “Amo Chi Sogna”, “Nelle Fabbriche”, “Per Un Re” e “Il Falso E’ Andato Oltre” contestualizzano l’orecchiabilità che fa da sfondo al tutto, un prodotto senz’altro radiofonico e catchy (“Rinchiusi In Una Scatola” e “La Storia Quando E’ Numeri”) che prende il volo quando si giunge di fronte agli ottimi testi, ritratti di una disillusione che non può che accompagnarci tutti quanti fino alla tomba in questi anni di crisi nera, non solo economica. Poca politica diretta, tanti riferimenti alla contemporaneità che tracciano una linea netta tra ciò che vogliamo e ciò non possiamo ottenere. E’ questo espressionismo moderno e dark che salva un album molto derivativo ma suonato ottimamente e con una qualità strumentale che senz’altro molto gli invidieranno. Consigliato, in ogni caso.

Gli artisti di questo articolo in tour:
MARIA ANTONIETTA
28.04 NEVERLAND FESTIVAL @ BLOOM, Mezzago (MB)
29.04 SECRET CONCERT, Vicenza
30.04 APARTAMENTO HOFFMAN, Conegliano Veneto (TV)
01.05 PARCO MIRALFIORE, Pesaro
03.05 KONTIKI, San Benedetto del Tronto (AP)
04.05 LIO BAR, Brescia
11.05 CIRCOLO AGORA’, Cusano Milanino (MI)
14.05 SALONE DEL LIBRO, Torino
18.05 LOCOMOTIV CLUB, Bologna
19.05 ARCI DALLO’, Castiglione delle Stiviere (MN)
31.05 MORGANA, Benevento
01.06 YEO YEO, Albano Laziale (RM)
02.06 FESTINALENTE, Aversa (CE)
15.06 INDIETIAMO, Sassocorvaro (PU)
16.06 LA DARSENA, Castiglione del Lago (PG)
21.06 NUVOLARI LIBERA TRIBU’, Cuneo
22.06 STADIO DEL RUGBY, Monza
14.07 BAR DELLA SERRA, Ivrea (TO)
15.07 POPSOPHIA 2012, Civitanova Marche (MC)
28.07 FESTA DELLA MUSICA, Chianciano Terme (SI)
06.08 SAMMAUROCK, San Mauro Pascoli (RN)
12.08 ANGURIARA FARA, Fara Vicentino (VI)

VIOLASSENZIO
28.04 IL MOLO, Ferrara 

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Recensione di RENATO RANCAN
ETICHETTA: Seahorse Recording, New Model Label
GENERE: Pop, new wave, indie rock

TRACKLIST:
1. Sleeping Pills
2. You’ll Like It
3. Something Left
4. Down in here
5. Sugare Cane
6. Little Girl
7. After the day
8. We’re swimming
9. No Title
10. Astronauts

Astronauti acquatici che esplorano sereni un lago sotterraneo, illuminati e confortati dalle calde luci di Tom Verlaine, Michael Stipe e soprattutto Morrissey, vero faro della band.

I Formanta sono un quartetto romano che, dopo un demo e un gustoso EP, il prossimo 21 febbraio pubblicherà il suo primo lavoro sulla lunga durata.
Mantengono la sana abitudine di distribuire copie fisiche: custodia cartacea dall’apertura originale che fa anche da copertina, opera del fotografo americano Matthew South; una misteriosa ragazza di nome Amelia persa in malinconici pensieri tinti d’arancio che, come dice il titolo dell’album, visti da lontano son nitidi ma da vicino sfuocati. Pure il cd vuole farsi notare, imita un 45 giri, ci son pure i solchi, che funzioni?

Ma è di musica che si vuole parlare, inseriamo il cd nell’impianto e vediamo cosa ci si presenta.
La grancassa bussa, “prego, accomodatevi”, entra un piacevolissimo intreccio di chitarre acustiche e la calda voce di Sabrina Gabrielli, subito colpisce la produzione per l’alta qualità, equilibrata e coinvolgente, si inseriscono le chitarre piene di chorus degli Smiths e un basso pulsante, il vero perno portante dell’opera, e infine pure qualche dissonanza che ricorda più i conterranei Marlene Kuntz che i Sonic Youth, questa “Sleeping Pills” è un bellissimo biglietto da visita.
Segue “You’ll Like It” che si inoltra in territori Dinosaur Jr., quelli più dolci e rassicuranti, si dice che una buona canzone pop debba saper reggersi anche solo chitarra acustica e voce, i Formanta confermano in pieno questo detto ma la grazia e la cura degli arrangiamenti danno un grande valore aggiuntivo, tutto è a suo posto, fin troppo, nulla stona e tutto scivola sinuoso nelle profondità nostro lago sotterraneo. Con “Something Left” ecco gli A Toys Orchestra, pianoforte e voce filtrata, un carillon solare per una felice giornata in campagna con gli amici, in cui qualche accenno di malinconia viene facilmente lavato via.

Il brano che piace di più è “After The Day”, accompagnato da un azzeccatissimo video, una ragazza con un velo danza nelle profondità marine, alla ricetta si aggiungono spruzzate di shoegaze e di new wave contemporanea, Interpol, Editors e Chapel Club su tutti, eppure la voce resiste su territori anni ’90.

Non fatevi ingannare da tutti questi riferimenti, solo in alcuni momenti si calca troppo la mano, come in “Sugar Cane”, omaggio fin troppo sentito agli Smiths di “This Charming Man”; la pasta sonora è personale e non sta certo nella sua parziale derivatività il difetto, che forse va cercato nelle orecchie di chi ascolta, che alla fine pongono un fastidioso interrogativo: dove stanno i Formanta?
Date le buone capacità melodiche sarebbe stato facile per loro sfornare delle hit radiofoniche ma questo lavoro non cede mai a ritornelli e strutture eccessivamente easy, sarà forse per l’anima troppo elegante; tuttavia non si percorre nemmeno la via opposta, non c’è nessuna ruggine o tensione, non si rischia mai qualcosa in più, tutto è controllato e misurato anche nella poesia rischiando di impantanarsi nel lago della monotonia. I Formanta sono così privi sia dello spirito underground che di quello commerciale, ma che sia davvero un difetto? Forse è davvero solo un problema delle nostre orecchie, provate a calarvi nei loro vortici subacquei, non vi porteranno al nirvana dei My Bloody Valentine ma di certo vi faranno sorridere il cuore.

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nuovi appuntamenti live per il cantautore torinese per presentare il suo ultimo album “Palazzi” (Innabilis / New Model Label – dist. Audioglobe)

www.vittoriocane.it

www.newmodellabel.com

Link a video “Quello Che”: http://www.youtube.com/watch?v=DcfjETeep_s

Prossime date (in continuo aggiornamento):

20 Gennaio  – Cagliari @ Muzak – ore 22

8 Febbraio – Roma @ Circolo Degli Artisti – ospite serata Fandango – ore 20

9 Febbraio – Palermo @ Mikalsa – ore 22

10 Febbraio – Messina @ Rapa Nui –  ore 22

11 Febbraio – Siracusa @ Il Giufà – ore 22

12 Febbraio – Modica @ G55 – ore 22

13 Febbraio – Catania @ Glamour Café – ore 22

3 Marzo – Firenze @ Circolo Aurora – ore 22

4 Marzo – Massa Carrara @ La Mandragola – ore 22

Fuori da ogni schema eppure profondamente pop. Vittorio Cane ha saputo fondere queste due anime, creando uno stile unico ed un nuovo approccio alla canzone d’autore, che ha fatto scuola a Torino e nel resto d’Italia e proporrà i brani dell’ultimo lavoro in studio, “Palazzi” e dei suoi lavori precedenti. Il disco è stato pubblicato da New Model Label ed Innabilis ed è distribuito da Audioglobe e nei principali store digitali, Itunes compreso, dove la settimana dell’uscita è stato in home page, nonchè recensito sui principali media italiani, musicali e non. “Palazzi” ci mostra un Vittorio più maturo e sicuro dei suoi mezzi, come autore e come interprete, capace di confermare la definizione di “poeta delle cose semplici”, attribuitagli dalla stampa per il secondo disco. L’album è preceduto dal singolo “Quello che”, di cui è stato realizzato anche un video. Nel disco, spicca la collaborazione nel brano “Sto Bene” con lo scrittore Christian Frascella, (autore di romanzi di successo come “Mia Sorella E’ Una Foca Monaca” e “La Sfuriata Di Bet”). Vittorio Cane ha avuto modo di farsi notare si dal suo primo disco autoprodotto, e con “Secondo” ha ampliato il suo pubblico, trainato anche dai singoli “Ci Proverò”, con la partecipazione di Mao, e “Domenica”, trasmessi in rotazione sui principali canali musicali.  A questi sono seguiti numerosi concerti in tutta Italia, e tra questi spicca l’apertura per Nick Cave al Traffic Festival di Torino.

Discografia: Vittorio  Cane (autoprodotto – 2005) – Secondo (Innabilis / New Model Label, dist. Goodfellas – 2008) – Palazzi (Innabilis / New Model Label – dist. Audioglobe – 2011)

Libri: Vittorio Cane – Tre Tempi (raccolta di testi e scritti – Manifattura Torino Poesia – 2010)

Contatto per promozione: Govind Khurana – New Model Label – govindnml@gmail.com

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ETICHETTA: New Model Label
GENERE: Alternative rock strumentale, sperimentale

TRACKLIST:
1. Crystal Water
2. Red Wine & White Beer
3. Butterfly Hill
4. L’Ombra di Anele
5. Mangiatori di Peccati
6. Preludio 9
7. Sandflower
8. Sei Minuti all’Alba

Misteriosa questa formazione, enigmatico questo disco. E’ complicato maneggiare con sicurezza e consapevolezza le più diverse forme sperimentale di rock che ogni tanto qualche musicista più eclettico tenta di esplorare, e così questo Km 0, primo lavoro del Codice Blu. Spesso è il post-rock il linguaggio più battuto, ma in questo caso solo i generi che in maniera tentacolare sono stati da esso raggiunti dopo averlo prima formato (shoegaze, krautrock, noise rock, prog) sono davvero udibili e distinguibili tra le influenze. L’album è molto bello, nonostante una lunghezza in certi momenti avvertibile come eccessiva; il progredire di alcuni brani è a volte inceppato da alcuni cambi un po’ forzati o semplicemente pesantemente prevedibili, per gli esperti del genere (“L’Ombra di Anele”, “Sandflower”), ma tutto sommato la banalità non è una caratteristica che si può affibbiare a questo lavoro. Difatti è improbabile che questi ragazzi assomiglino davvero a qualche altra formazione analoga, se ne esistono, e il loro diverso e ambizioso modo di comporre gli regala una caratterizzazione multiforme e variopinta, sicuramente capace di rappresentarli come personaggi a sè stante nel nebuloso universo degli sperimentatori d’Italia. “Crystal Water” e “Butterfly Hill” nascondono qualche appiglio lontano ai primi Sonic Youth, mentre è un alternative più sottomesso e semplificato che sottende a “Mangiatori di Peccati”. Il perno centrale è sempre il tentativo di muovere l’animo con un certo minimalismo, evitando il gonfiore barocco di certi orpelli di troppo che spesso scolorano opere post-rock o post-metal, trafficando con gli strumenti in maniera da individuare il sound giusto canzone per canzone, ricercando l’equilibrio adeguato a comunicare questo o quel sentimento.

In sintesi, un viaggio tra distese di luci, suoni ed emozioni, quasi lisergico, ma rilassato al punto giusto da risultare più che altro un tranquillante per le nostre giornate troppo movimentate.

Sito ufficiale

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ETICHETTA: Black Fading Records, New Model Label
GENERE: Hard rock

TRACKLIST:
1. Out-4-Dinner (Intro)
2. Aperiti”ve”
3. I Can’t Stand It
4. Keep Screaming (feat. Ginevra Casali)
5. Listen to Me
6. Treat U Bad
7. One Day
8. Never Trust a Woman
9. Vodka & Lime
10. Believe
11. Prelude To… (feat. Beppe Cantarelli, Luciano Girardengo, Georgeanne Kalweit)
12. Something to Kill the Pain
13. Sammy’s Backyard (feat. Beppe Cantarelli, Luciano Girardengo)
14. Back-4-Breakfast (Outro)

Non è questione di gusti: è lampante come alcuni generi (hard rock, metal, grunge, punk) abbiano visto percorse e ripercorse tutte le possibilità di evoluzione immaginabili ormai da un decennio abbondante. Altrettanto evidente è che chiunque ancora provi a battere quelle strade possa da un lato beneficiare di un numero considerevole di fanatici del genere scelto, e dall’altro debba combattere per non finire affossato nel baratro dei copioni e dei nemici dell’originalità, giustamente disprezzati dalla critica di mezzo mondo. Come in tanti altri filoni artistici, anche fuori dalla musica, a dare respiro a questi tuguri polverosi sono le retroguardie: pensate a quanto hanno annoiato gli AC/DC e tutti i loro cloni (Airbourne in particolare), mentre dietro le quinte imitatori e affezionati di vario genere dicono la loro perseguitando la scena con la loro personale interpretazione degli stilemi ormai triti e ritriti dei propri beniamini.
L’hard rock più tamarro dei Bi-Polar Sluts, tendenzialmente rivolto a quella scena americana che negli ultimi anni si è purtroppo contaminata sempre più spesso di metal ed emocore, spesso con lo squallore dello screamo più inadeguato a fare da confine tra i due, cerca invece nell’emulazione un senso di riscossa, andando a tastoni nel vuoto nel tentativo di emergere dallo stuolo di copie di copie per proporre qualcosa che sia anche lontanamente originale, ma comunque caratteristico, innovativo. Il risultato non possiede certo in toto questi requisiti, ma è uno squisito e pregiato lavoro di cattiveria preconfezionata, riff taglienti, super-incisivi e mai troppo temperati, con distorti a palla e una batteria supermartellante. Lo si chiamerebbe volentieri un party album, ma poi sembrerebbe musica demenziale, e non stiamo parlando di questo. “Keep Screaming” e “I Can’t Stand It”, pur in una innegabile frenesia metallica che sembra forzare sullo stesso stage primi Maiden e Motorhead, sono i due gioiellini del disco, o quantomeno se ne prevede la fruizione anche fisica che la gente può farne ai loro concerti. In poche parole, un po’ di sacrosanto pogo. Il livello del disco è sicuramente buono, con un senso della misura che li priva degli eccessi più roboanti di certe band troppo sensazionali degli ultimi anni, ma che li proietta verso un ricettacolo di pubblico più USA-oriented, o comunque in zone più abituate a sonorità di questo tipo (l’Europa dell’Est, l’Australia, il Giappone). Unici momenti che tendono a far zoppicare il tutto sono le ballad, in particolare “Something to Kill The Pain”, canzoni sicuramente ben composte e con una progressione studiata e ben incastonata all’interno dell’album nella sua interezza, ma che fondono l’hard rock più commerciale dei Darkness con la mellifluità di certi singoloni post-grunge di band come 3 Doors Down e Staind, privandole di quell’impatto raggiante e veemente che tutto il resto di questo lavoro possiede.

Collocati nel posto giusto, registrati e prodotti con la giusta “pacca”, possono davvero sfondare. Peccato non possano farlo in Italia, perché saprebbero, a piccole dosi, ravvivare una scena morta e sepolta che in Italia ha sempre faticato ad affermarsi. Bel lavoro.

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ETICHETTA: Ululati dall’Underground, New Model Label
GENERE: Folk

TRACKLIST:
1. Il Gallo Ha Fatto l’Uovo
2. La Poltrona
3. La Mia Rivoluzione
4. Portami Via
5. Ricomincia a Sognare
6. Se il Petrolio Fosse Olio
7. In Mezzo al Mare
8. Abramo/la Verità
9. Il Mutuo
10. Il Tuo Senso Critico
11. Pigro
12. L’Uomo Magnifico/Rideau Pour L’Homme Magnifique
13. Margherita, 1902

Il rigoglioso folk casereccio e ballerino dei Puntinespansione arriva come un fulmine a ciel sereno nel periodo d’oro dell’alternative rock aggressivo e iperdistorto. Dentro Trentenni Sofisticati, tutto sommato, ci sono quasi solo ballad, molto cariche ed energiche, potenzialmente molto valide, ma atterrate in maniera piuttosto grave da pesanti ostacoli come una produzione scarsa e una certa assenza di originalità. Di là della barricata, però, troviamo anche il divertimento cieco di momenti meno sterili e più dediti alla danza spensierata, non accecata dalla foga, molto diffusa anche tra gli inesperti della composizione e della scrittura, di “dire qualcosa”, di “essere impegnati”. Un modo diverso di approcciarsi a questo mondo meno malinconico che, essendo onesti, piace poco. Ciò che inchioda saldamente questo disco ad una concezione puramente italiana, nel senso attuale del termine, è comunque proprio questa semi-politicizzazione, una serietà nei testi che però si abbina male alla frenesia giocosa di una musica che tra Renzo Arbore e divertissement ancora più folkeggianti, si vedrebbe meglio accoppiata ad una qualche band demenziale. Come dire che Elio lo farebbe con più stile, anche se musicalmente non ci azzeccano niente con il loro prog fuori dai canoni. “Se il Petrolio Fosse Olio” è un esempio abbastanza alto, negli standard del disco, ma delude, come tanti altri pezzi (in particolare “La Poltrona”, “La Mia Rivoluzione” e “Il Mutuo”), nel tentativo di darsi un senso, inseguendo il cambiamento inaspettato e la virulenza più atipica, che però mai si concretizzano in qualcosa di veramente innovativo.

Lo sforzo è notevole, l’elaborazione c’è, manca una certa adattabilità al contesto, così come la complessità e la solennità che questa sorta di agrodolce richiederebbe. Come ogni progetto di questo calibro, però, ci sentiamo in dovere di attendere ulteriori sviluppi per capire se l’evoluzione può portare verso lidi più rosei e novità più aggraziate e geniali. Perché la carne al fuoco, ad essere sinceri, c’è.

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Adam Frei è il nuovo progetto del quartetto rock noto al pubblico come The Afterglow: Dave Timson (al secolo, Davide D’Alfonso) voce e basso, Mik Lennard (ovvero, Mirko Mazzon) ed Alberto Garau chitarre ed Alex Cherry (Alessandro Giresi) alla batteria, che per anni ha solcato in lungo e in largo Regno Unito, Italia e Paesi Bassi con i live seguiti alla pubblicazione di due album e di diversi singoli trasmessi su moltissime radio e tv europee e statunitensi.

La band ha infatti deciso di sperimentare una nuova strada, autonoma ed indipendente, nelle sonorità e nell’approccio discografico.

Rock britannico, testi di impegno politico e sociale, potenza e malizia derivanti dalla maturazione, tecnica ed umana, raggiunte in oltre 10 anni di attività ad alto livello, questo sono gli Adam Frei.

Entrati in studio nel 2010 con l’amico e produttore Dario Ravelli, hanno completato il loro album di debutto “Empty Music Industry” con il mastering curato da Antonio Baglio al Nautilus di Milano, ed hanno scelto come partner discografico la Seahorse Recordings di Paolo Messere, musicista ed autore di grande spessore ed esperienza con il quale è nata un’immediata sintonia umana ed artistica.

“Empty Music Industry” è in uscita mondiale il 21 Settembre, preceduto dal lancio del singolo “Rat Singer” e dal suo provocatorio videoclip. Sarà seguito, nei mesi successivi, dal tour che toccherà diversi paesi europei tra cui certamente l’Italia.

www.adamfrei.net

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ETICHETTA: Dischi dell’Orsa, New Model Label
GENERE: Folk, prog

TRACKLIST:
1. L’Umore
2. Gocce
3. Orsa Maggiore
4. La Pazzia
5. Samaria
6. Tutto L’Amore del Mondo
7. Fiore di Pesco
8. Cavallo
9. Alla Luna

Difficile definire rock un disco acustico, ma con Orsa Maggiore del progetto Pane tutto è possibile. E’ stato fattibile, per loro, concepire un’opera vibrante di una virulenza nineties, pur senza utilizzare distorsioni killer o costruire impianti punk o grunge nei brani. E’ stato concepibile, per loro, sfoderare un’opera emotiva di grande impatto, senza grilli per la testa, semplice ma contemporaneamente penetrante, dai lembi soffici perché si può impugnare e tirare a sé per comprenderla meglio, tramite l’accostamento ad un mondo veramente “diverso”, fatto di folk, prog e jazz. Miscela che negli Stati Uniti chiamerebbero “roots music”.
Ci sono sia testi scritti nella band che riadattamenti dall’esterno (non manca neppure Majakovskij, tornato di moda grazie al Teatro degli Orrori e ora sballottato un po’ dovunque nella musica sedicente colta), stesi con seducente inquietudine su di una tavolozza magnetica, colorata e attraente, che produce interesse man mano che la si ascolta. Scorrono rapidi i brani più impulsivi e d’impatto (“Gocce”, la pinkfloydiana “La Pazzia”, “Fiore di Pesco”), mentre una certa dose di psichedelia progressiva statuaria si inerpica su sentieri sydbarrettiani, con qualche rarefatta traccia di swing jazzato e blues, come in “Tutto L’Amore del Mondo” e “Orsa Maggiore”, momenti topici di coscienzioso romanticismo. Nessuna traccia debole, ma nove momenti di singolare utilità all’interno di un disco, dove è risaputo che nel duemilaundici un’uscita discografica difficilmente manca di qualche filler infilato per problemi di tempistiche. Tasselli che combaciano perfettamente l’uno con l’altro, incastri unici di un’opera che si spera i posteri possano riscoprire e apprezzare.

In valore assoluto il progetto è tra i più interessanti degli ultimi tempi e il disco uno dei migliori di quest’anno. Leggermente cerebrale, forse troppo tiepido, in certi momenti, ma a tempesta passata ritorna visibile un vero e proprio piano di battaglia per dipingere il manifesto del nuovo folk prog italiano. E si chiama Orsa Maggiore.

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ETICHETTA: Controrecords, New Model Label
GENERE: Alt-funk, folk

TRACKLIST:
1. Buongiorno, Disse il Metronotte
2. E’ Grave
3. In Un Comò
4. Rosso
5. Salsa e Meringhe
6. Un Fratello Come Me
7. Solo Un Gioco
8. Non So Dir di No
9. Il Pirata in Frac (feat. Federico Bianco)
10. Trippa per Gatti
11. Le Cose da Salvare

La Banda Fratelli è un trio torinese che si staglia alto all’orizzonte, per qualità e originalità, in una scena sommersa e sottovalutata fatta di jazz, toccate con fuga in salsa cabarettistica e avanguardia del folk. Le orchestrine televisive, il vecchio Arbore, un funk folkeggiato che ricorda certe colonne sonore, non solo di western movies (ma soprattutto di quelli). Elementi veramente difficili da scovare nella scena alternativa d’oggigiorno, che i piemontesi invece conoscono molto bene e riescono a miscelare con grande conoscenza dei generi in un disco veramente ben fatto, dai toni caldi, con il quale si può ballare ma anche riflettere, muovendosi tra variopinti festoni svolazzanti e storielle da cartone animato. Gatti, storie d’amore, momenti comici, code tragiche e danze scanzonate. Un melodramma continuo che si fregia anche di alcune percussioni latineggianti, trovando anche un modo moderno di riproporle al grande pubblico, dentro episodi ripresi da una nobile tradizione di folk da sala da ballo. Bertolotti, Banchio e Bonavia dimostrano secondo per secondo e brano per brano una grandissima capacità compositiva, nonché una maturità quasi anomala rispetto ad altre band moderne del settore: interpretarne i metodi di lavoro potrebbe svelare un nuovo modo di comporre della musica avanguardistica senza sconfinare nel prog troppo cervellotico.

Difficile individuare quale svolta il loro percorso artistico possa prendere. Per questo, non ci resta che aspettare (ma solo dopo essersi complimentati per questo grandissimo disco).

PROSSIME DATE:
11.11.11 ALTI I TONI, Borgo San Dalmazzo (CN)
12.11.11 CONTESTACCIO, Roma
25.11.11 CIRCOLO MARGOT, Carmagnola (TO)
03.12.11 CIRCOLO RATATOJ, Saluzzo (CN)
17.12.11 ASYLUM, Collegno (TO)

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ETICHETTA: New Model Label/Innabilis
GENERE: Pop

TRACKLIST:
1. Quello Che
2. Mai
3. Umano
4. A Milano
5. Sto Bene
6. Non Ne Ho
7. Palazzi
8. Responsabilità
9. Qui
10. A Casa Mia

Iosonouncane, I Cani, Vittorio Cane. Quanti cani nel nostro panorama nazionale ma l’unico a veleggiare per i capienti sentieri del pop è quest’ultimo. Giunto al terzo lavoro, con un pizzico di ambizione ricerca la dimostrazione della maturità, con un risultato più che buono. I brani sono tutti adeguati a circoscrivere l’ambito di azione della sua musica, lontana dalla polvere cantautorale da soffitta che in molti si divertono a riesumare ultimamente. I testi non sono così distanti da certi artisti da chart che circolano negli ultimi tempi, ma il contesto è molto diverso: ecco perché il miele di “Sto Bene”, la più giocosa “Quello Che” e l’apparato più retrò-malinconia di “Non Ne Ho” rifuggono le cifre stilistiche e le bassezze adolescenziali di Brondi & co.
Tra satira, divertissement e lacrime in forma di canzonetta solo poco più evoluta di quelle di Bennato o del Tenco meno depresso, Palazzi è un anfratto ricolmo di sentimentalismi e stralci di debole critica, mai troppo piccante né ficcante. Così sinuosamente si riesce a combinare con la giusta densità uno spaccato completo di vita (come in “A Milano”), senza le banalità semantiche delle ultime gesta discografiche di moltissimi artisti italiani.

Efficace, penetrante, incisivo. Un disco pop che difficilmente vi uscirà dalla testa.

PROSSIMI CONCERTI:
25.11.11 HIROSHIMA MON AMOUR, Torino (con Brunori SAS)
02.12.11 PANENKA, Bologna

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ETICHETTA: New Model Label
GENERE: Post-rock, strumentale

TRACKLIST:
1. Deep Needles
2. Make Or Break
3. Gamino
4. Pinball
5. Your Strength Is My Weakness

Ascoltare l’EP d’esordio di questi ragazzi avellinesi è stato un pugno nello stomaco, diversamente da quanto auspicato. Si deve specificare, per rispetto verso i lettori, che molto spesso a The Webzine abbiamo un occhio di riguardo per la musica cantata e quindi gradire un disco di questo tipo ha un valore aggiunto. Il pugno nello stomaco di cui si diceva prima ha prodotto quindi effetti positivi: primo perché i Slow Motion Genocide esplorano con grande personalità e originalità un genere tendenzialmente banale, trasformato da vagonate di cloni degli Slint e dei Mogwai in un terreno sterile e desertico; secondo perché nessuno dei cinque brani risulta sbiadito, portando attimo per attimo all’attenzione dell’ascoltatore una sequenza di suoni totalmente innovativa, dove sfuriate energiche e melodia noise tipicamente post-rock si fondono in un susseguirsi mai scontato di “porzioni di pezzo” (l’iniziale “Deep Needles” possiede due sezioni che sembrano due brani completamente diversi accostati malamente, ma centellinando attentamente gli oltre otto minuti di durata si scoprirà il vero senso di questa cavalcata noise rock che fa il verso più ai primi Russian Circles che a Brian McMahan e soci). Ritmiche tendenzialmente più sostenute cozzano con la vocazione post-rock delle chitarre, andando a produrre un bizzarro risultato che richiama anche ai God Is An Astronaut meno canonici (“Gamino”). Un po’ più tradizionale nel genere “Your Strength Is My Weakness”, massimo punto espressivo del disco ma nell’essere il momento più articolato cova anche una certa pesantezza rispetto agli altri brani, più fluidi; per un cambio di rotta si veda la conclusiva “Pinball”, forse la meno elaborata ma forte di un sentore catchy che ribalta completamente le aspettative per il futuro della band, con qualche accenno tribale nel drumming.

Quale anima seguiranno? Quella più scontata dei Mogwai o questo retrogusto industrial-prog che non trova nessuna definizione certa ma lascia uno splendido ricordo di una band che consigliamo di seguire con attenzione almeno fino alla prova del nove con il primo full-length.

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ETICHETTA: U.D.U. Records
GENERE: Elettronica, pop

TRACKLIST:
1. Hikikomori
2. Lo Stato In Cui Mi Cerco
3. Ideale
4. In Una Catapulta
5. Sta Accadendo
6. La Cura del Suono
7. Maledizione
8. Boomerang
9. Hai Fai
10. Grancassa
11. La Spiaggia
12. Le Cose Infinite
13. Ecocentrifugo
14. In Feedback

“Grancassa” è la rappresentazione più consona della deriva tecnologica che in Italia quotidianamente conquista decine di artisti. In questo caso Tenedle non ha fatto una scelta di campo negli ultimi anni, ma lo fa da una vita, spostandosi da Firenze all’Olanda, perfezionandosi sempre più. E’ questo il disco della svolta? Forse no, ma rimane un lavoro apprezzabile e che merita senz’altro un approfondimento.

Bisogna obbligatoriamente sottolineare la presenza di numerosi ospiti femminili che contribuiscono alle voci (Marydim, Vanessa Tagliabue Yorke e Silvia Vavolo), sollevando la qualità media del disco per la presenza di linee vocali che si intrecciano con l’ottimo apporto di sintetizzatori e tastiere, nel concretizzare un sound leggero, dalle atmosfere intense ma fredde, dove le linee sono a loro modo ossessive, cercando nella ripetizione il meccanismo per replicare nella mente dell’ascoltatore pulsazioni e melodie principali in maniera da sollecitarne il ricordo: in una parola, un disco radio-friendly, ma più complesso nel songwriting, ricercando lo studio della struttura senza soluzioni troppo banali, ma dipingendo nel complesso potenti sollecitazioni immaginifiche, quasi visionarie. “In Una Catapulta”, “In Feedback” e “Boomerang” potrebbero bastare a specificare in musica tutto quello che abbiamo detto, ma diamo ad “Ideale” la palma d’oro per il pezzo più rappresentativo. La scelta dei suoni più adatti è un obiettivo rincorso lungo tutta la durata del lavoro, neppure troppo breve se vogliamo, e si colpisce sempre nel segno.

Sostanzialmente, lontani dal definirlo un disco miracoloso, ci si deve per forza soffermare a sottolinearne la potenza comunicativa, estrinsecata dal primo all’ultimo secondo del disco da melodie che si sorreggono con ritmi, modi e maniere tipiche di una tradizione orecchiabile risalente all’elettronica del nord Europa, se non addirittura della Scandinavia. In sostanza, una prova di maturità destinata a restare nel tempo.

 

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ETICHETTA: Jost, Audioglobe
GENERE: New wave, rock

TRACKLIST:
1. L’Esperienza Segna
2. Anni Settanta
3. Come Cade Chi
4. Cosa Dire
5. Facili Forme
6. Gene
7. Intermezzo Uno
8. Infettami
9. Luce
10. Pensiero in Movimento
11. Un Bacio
12. Tutto&Nulla
13. Alta Velocità
BONUS TRACKS
14. Gene (ft. Federico Fiumani)
15. Anni Settanta (ft. Mao)
16. Luce (ft. Garbo)

“Dammi i soldi e ti porto la soluzione”. No, non c’entra niente. Questa soluzione è molto migliore di quella proposta da Fabri Fibra: L’Esperienza Segna è un disco genuino, un continuo depistaggio verso lidi misteriosi, celati da una parvenza di semplicità che serve solo ad aumentare l’effetto appiccicoso di alcuni brani. In senso buono, si intende.
L’esperienza a cui si va incontro ascoltando questo disco è quasi catartica, tesa quasi a liberare dalla crisi di originalità che pervade un po’ ogni categoria musicale italiana: le bonus track con gli ospiti puntano ad un pubblico più generico, come ultimamente sembra diventato tipico fare, irretendo i più distanti con i grossi nomi (Fiumani e Mao, in questo caso). E’ un pop rock d’autore, con un languido sguardo al passato, soprattutto ai settanta e gli ottanta, con riferimenti testuali che ricordano Le Luci, Dente e Bugo, forse anche qualche cantautore più lontano nel tempo, e un contesto musicale pienamente new wave, con venature dark che certamente contribuiscono a colorarlo di toni cupi e intimistici, sporchi di malinconia soft rock che ricorda proprio gli anni di cui si parlava. Le atmosfere romantico-decadenti di “Luce” fanno il resto. Determinante anche la strumentale “Intermezzo Uno”, che quasi svolge da lente d’ingrandimento nei riguardi del genere che la band propone, rozzo ma levigato contemporaneamente, sporco ma limpido.

Il disco è veramente molto bello, conscio delle sue potenzialità e per questo pronto a penetrare la scena in maniera decisiva. Il progetto Soluzione è destinato ad arrivare in alto, la strada l’ha già trovata e si ricerca ora una conferma definitiva. Gran lavoro, veramente.

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ETICHETTA: New Model Label
GENERE: Indie rock, new wave

TRACKLIST:
1. Ogni Animale
2. Capitalism Kills Love
3. Morte Fashion
4. Tacchi a Spillo

L’hype preconfezionato a preludio di un fallimento. Il modo migliore di suicidarsi con una bella autobomba musicale.
Prendete un disco che viene presentato in maniera assolutamente interessante, potente grazie ad immagini colorate e pregne di significato (il termine Animalia stesso oppure la descrizione di una “società odierna, bulimica di immagini, dove l’unica via di sopravvivenza rimane rinchiudersi in solitudine all’interno di un’egomania sfrenata”), e riversatene il contenuto su una tela corvina, in modo da poter vedere risaltare ciò che più brilla. Con Animalia vedrete poco, o meglio vedrete un disco piuttosto insipido, penetrato in più punti da strali di materia prima originale, ma che produce, all’interno, una farcitura disomogenea, troppo mista, forse anche discontinua. L’electro, l’industrial (“Tacchi a Spillo”) la new wave, il post-punk e l’indie si fondono qui senza soluzioni di continuità, perdendo più volte il filo del discorso (“Morte Fashion”), disperdendosi in cambi di genere, di tempo e di intensità che non trovano nel loro giungere una caratterizzazione completa all’interno dei brani. Manca la personalità, a volte manca persino il motivo di certe scelte stilistiche. Se poi magari un giorno scopriremo che questa è avanguardia, ve lo segnaleremo.

Il disco, di per sé, è piuttosto debole ed espelle più volte i sintomi di originalità trasformandoli in banalità-indie delle più sentite. La maturità non è ancora giunta, questo è certo, ma quegli strali di cui parlavamo prima potrebbero anche lasciar presagire qualcosa di buono. Che dire, aspettiamo un nuovo lavoro o li azzoppiamo subito? The Webzine preferisce aspettare, per ora si gradisce, con una punta di critica, lo sforzo di sciabattare fuori dalle piste più ovvie del new wave revival.

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