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Archive for the ‘ETICHETTA: Urtovox’ Category

Recensione scritta e pubblicata anche su INDIE FOR BUNNIES
ETICHETTA: Urtovox
GENERE: New wave, alternative rock

TRACKLIST:
1. Paradiso Terrestre
2. Gola
3. Lussuria
4. Accidia
5. Avarizia
6. Ira
7. Invidia
8. Superbia
9. Antipurgatorio

Svolta dantesca per i Piet Mondrian, che tentano un cambio di direzione accompagnato anche da un turnover nei componenti (Baldini ha voluto modificare un po’ le carte in tavola). Misantropicana ha lasciato un’immagine molto intellettualoide della formazione toscana, vicina per ispirazione testuale a quei Baustelle un po’ hipster che hanno fatto la fortuna di un nutrito stuolo di imitatori. Il sound era comunque già imbevuto di new wave rinnovata ai linguaggi di oggi, ma senza l’acidità e l’essere pacchiano di questo Purgatorio. Sostanzialmente dove si arrivava quasi alle fredde atmosfere dei Joy Division, oggi ci si ferma alle linee vocali più insofferenti di Miro Sassolini; dove un minimo di radiofonicità wave elettrica teneva in piedi i brani meno originali, oggi abbiamo un continuo proporsi di radici blues in salsa moderna, attenuato da alcuni momenti più alternative rock di derivazione.
Ma l’evoluzione ha toccato nel profondo l’animo dei Piet Mondrian, che si ritrovano sicuramente nobilitati dalle nuove caratteristiche date al gruppo: i pezzi sono più “pesanti” ma più completi, dove la complessità dona anche senso alle tematiche trattate. Una serietà così ostentata non si poteva sposare bene con le piccole tracce di pop disseminate un po’ dovunque in Misantropicana. “Accidia”, “Gola” e “Ira” si trasformano in un elegante trittico che nel collegare il significato dei tre vizi capitali, inestirpabili dall’uomo come lo sono anche alcune virtù, specificano tutto il campo d’azione del disco. Sembra in alcuni momenti (“Lussuria”, “Superbia”) che riferendosi alle masse si possa disperdere il decoro delle ottime liriche in una sorta di qualunquismo come piace a tutte le nuove band italiane (Ministri, Teatro degli Orrori, ecc.); ma non si tratta di fare la predica, qui si tratta di rintracciare il malessere di un insieme di persone, descrivere come vengono viziate e corrotte le loro vite da queste forze infernali che nelle opere dantesche furono inscenate con tanto vigore. Ci si riesce, grazie appunto anche alla profondità dei testi; più evanescenti invece gli arrangiamenti, un pochino intricati in certi momenti (“Avarizia”), più stilizzati ma comunque vagamente informi (“Paradiso Terrestre”), nei momenti più sostenuti.

Purgatorio è un bel disco, ma nulla di trascendentale. E’ inalterata la passione per i bei testi di Baldini, composti con immensa cura, come la qualità strumentale dei nuovi elementi garantisce ancora quel velo di ansia e cinismo dark wave che li inondava prima. A non tenere banco, in certi frammenti, è proprio l’impalpabilità di alcuni passaggi che tendono ad appesantirsi e a farsi rincorrere da ingiustificate complicazioni nel songwriting. Non siamo fan della semplicità, ma diciamo che in questo disco il suo opposto convince in parte. Comunque un lavoro ben al di sopra della linea della sufficienza.

Se n’è parlato anche qui (recensione di Misantropicana)

TOUR:
18.11 NUOVO CAMARILLO, Prato
19.11 ARCI ORIGAMI, La Spezia
20.11 PANIC JAZZ CLUB, Marostica (VI)
25.11 CIRCOLO AGORA’, Cusano Milanino (MI)
03.12 MAGAZZINO PARALLELO, Cesena (FC)

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Questa recensione è stata scritta per INDIE FOR BUNNIES
ETICHETTA: Urtovox
GENERE: Cantautorale italiana

TRACKLIST:
1. L’ordine del sorvegliante
2. Il sogno della vipera
3. L’impiccata
4. Strofe della guaritrice
5. E Alavò
6. Elon Lan Ler
7. Sette spade
8. Lo scroccone di Cioran
9. La Sicilia havì un patrùni
10. Questa notte l’amore a Catania

Cesare Basile: un instancabile cantautore catanese che periodicamente spezza le sue comparsate nei club per venirci a raccontare cos’è, secondo lui, il mondo oggi. Ogni volta, modernizzandosi nel senso riqualificativo del termine, ma sempre rimanendo fedele ad una filosofia di fondo che è difficile far rinverdire, ma che (e questo è un bene) lo rende inappellabile fonte di giudizi sopra la vita, potremo dire, quotidiana, una neomelodica farcitura talvolta encomiastica altre volte dispregiativa di elementi tipici della nostra società. E non solo, perché non stiamo parlando di uno sputasentenze qualsiasi, ma di un romantico visionario postdeandreiano, molto quotato per altro, che con le parole riesce a dipingere ritratti che neanche Molière, attaccato ad un mondo che si abbevera di blues americano e resta contaminato solo in parte da tutto il resto, pur attraendo in un’orbita folk il cantautorato classico del nostro paese. In fondo, ogni suo disco è una piccola perla, in fondo. In fondo, ogni sua canzone è una perla, in fondo. Però quello che affiora in superficie è soprattutto il suo approccio non polemico ma capace di essere un impegnato e distaccato punto di vista sulle comprensibili vicende umane. Per questo molte sue canzoni, anche del passato, hanno parlato di cose d’ogni giorno, hanno citato luoghi che noi conosciamo bene (soprattutto la sua Sicilia, come di nuovo fa in questo disco), hanno nominato anche persone, facendo spesso riferimento all’universo biblico. Figure come la “guaritrice” della quarta traccia, di rimando, potrebbero essere anche rivestite di una certa sacralità ma non è questo il nucleo della dialettica e della lirica di Basile. La sua fertile, fervente ed effervescente poetica è quasi una politica, una scelta, un semplice e continuo accostamento di termini che logicamente costruiscono un discorso, una storia o un racconto.
Curiosità del disco, la presenza dell’orchestra nazionale macedone in “Enon Lan Ler”, che Basile si è andato a cercare personalmente nella capitale Skopje; la presenza di qualche passaggio in lingua siciliana in “E Alavò”, brano comunque apprezzabile dal punto di vista della tipologia cantautorale, a livello di costruzione melodica ed armonica della canzone; infine, una stesura personalizzata di una cantata tradizionale sicula, “La Sicilia Havi un Patruni”, originariamente scritta da Rosa Balistrieri e Ignazio Buttitta, interessante anche per capire il profondo legame con la sua terra che il buon Cesare non ha mai celato.
Per riuscire a proporre in maniera migliore un prodotto come Sette (o meglio Dieci, come le tracce) Pietre per Tenere il Diavolo a Bada, si è circondato di una manica di scagnozzi, tutti musicisti chiaramente, di notevole levatura: Rodrigo d’Erasmo e Roberto dell’Era degli Afterhours, così come Enrico Gabrielli e Alessandro Fiori, ma anche altri; l’importante è notare come la sua musica non venga alterata dagli stili personali degli ospiti di cui l’album è infarcito, ma come la personalità del cantautore rimanga visibile e riconoscibile in ogni singolo secondo dello stesso.

Questo disco, l’ennesimo della sua carriera, non aggiunge nulla ad una sequenza di veri e propri capolavori della musica italiana come quelli che Cesare Basile ha sfornato negli ultimi anni. Senz’altro il quarantasettenne è riuscito a confermarsi, a dimostrare di non essere ancora ceduto all’intorpidimento dell’età né al qualunquismo che la nostra tradizione pop folk sta facendo proprio in maniera letale. E’ rimasto lui, aggiornandosi appena, riproponendosi, restituendo alla propria musica una vitalità che ancora non ha potuto soffocare la brio e l’esuberanza da sempre intrinseche nelle sue liriche. Nel duemilaundici, qui lo dico, è un disco essenziale.

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