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Archive for the ‘ETICHETTA: Mia Cameretta’ Category

Qualche giorno fa vi parlavamo dei Poptones. O sbaglio?
Ecco sbucare il loro nuovo video, che annuncia il loro secondo EP, di nuovo pubblicato con Mia Cameretta Records.
Gustatevi questa retrò-perla dal titolo “Side B”

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ETICHETTA: Mia Cameretta
GENERE: Garage

TRACKLIST:
1. Beans
2. You’re Driving Me Insane
3. Waiting For The Summer End
4. 13een
5. I’m A Jerk
6. Hard Times
7. Helloweed
8. Me And You
9. Arizona

Avete mai sentito parlare di “garage pop”?
Mi è venuto un po’ voglia di mettere da parte il mio odio per le etichette ascoltando “Two Monkeys Fight for A Banana”, un po’ perché il termine “genere” indica una tipologia di classificazione che non sempre è appropriata a un pezzo d’arte come può essere un disco (e in questo caso, invece lo è), un po’ perché anche il genere mi ha indotto a riflessioni pseudo-filosofiche che, per fortuna, non mi va di condividere con voi.
Garage pop, dicevamo. Essenzialmente sono questo i Super Burritos, formazione veneta che stupisce per il suo piglio volutamente (ed esageramente) rock’n’roll vecchio stampo, incorporando una sorta di cattiveria che trova nel termine “garage” la sua espressione e descrizione più intensa e completa, con un minimo di ambizione che si esterna nelle sostenutissime ritmiche di brani come “Arizona” e “Me & You”, che di pop, effettivamente, hanno molto poco, vista la carica incredibilmente sixties che dimostrano.
A chiedersi cosa c’è di pop in un disco così si rischia di farsi del male, perché è solo così che spalanchiamo un varco nella carena della nave, imbarcando non solo acqua ma anche le tanto temute note dolenti: le voci troppo fiacche che ricordano l’indie rock di oggi, quello meno intensivo e meno specificamente rimarchevole per qualcosa che sia distintivo; le strutture dei brani, queste si, davvero pop, che ricordano di certo rock anni ’60 che non si fa certo apprezzare per l’originalità (essendo stato, peraltro, imitando talmente tanto da affossare anche le prime spudorate uscite pop/rock dei Beach Boys). Ok, avete letto questa parte e pensate che il disco mi abbia fatto schifo, e io, dopotutto, vi capisco: in realtà i Super Burritos si rendono protagonisti di un effervescente tentativo di resuscitare un genere che si è autoingerito e digerito, fino a distruggersi, non più riconoscibile in quella vera anima che solo negli USA degli anni ’60 è riuscita a far danzare la gente senza risultare gesto rivoluzionario di controcultura. Oggi, diremo che stiamo parlando di omologazione a vecchie virtus d’insorti e anticonformisti, ma non è così; questi vicentini ci mettono l’anima, ascoltate “I’m A Jerk”, “Helloweed” e la combo iniziale “Beans” e “You’re Driving Me Insane” e capirete.

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ETICHETTA: Mia Cameretta
GENERE: Indie rock

TRACKLIST:
1. Pompiere
2. Come Una Puttana
3. Funerali
4. L’Economia del Saluto
5. Il Comitato
6. Mattino

C’è un’analisi storica che mi piacerebbe fare prima di parlare di questa interessante formazione, proveniente dal Lazio, ed è proprio sulla loro regione: i 100-150 km che gravitano attorno a Roma hanno portato per secoli il peso di un grande impero, di cui portano i segni, monumentali, imperiali, artistici, politici. Ora che la nostra situazione politico-sociale-culturale è al culmine del suo declino, è forse da qui che le manifestazioni di rabbia dovrebbero partire, ed effettivamente a volte lo fanno.
Quello che si sente all’interno di questo self-titled degli Esercizi Base per Le Cinque Dita, dal nome tanto strano quanto singolare, è una voglia di sfogarsi, di vomitare rabbia, di riversare su tutto e tutti un senso di devastazione che un po’ tutti dovremo sentire nostro. Il fatto che il genere non sia per niente nuovo, in casi come questi, tocca molto poco l’apparato critico di questa analisi: l’indie rock molto, forse troppo, influenzato dai Tre Allegri Ragazzi Morti, simile per certi versi a formazioni analoghe come i primi Le Strisce e I Melt, ma con un declinazioni chitarristiche e testuali molto più acide. Sarcasmo, ironia, un po’ di delusione, tanta voglia di rappresentare una propria linea di pensiero tramite testi semplici che arrivino facilmente all’ascoltatore: è quello che si sente in “Come Una Puttana”, “Il Comitato” e soprattutto “L’Economia del Saluto”, dove ogni punto debole della nostra marcescente Italia è messo a nudo con paragoni, metafore e similitudini degni di grandi “critici musicali” come, ripescando dal passato, De André e R. Gaetano, e oggi qualche nome più vago: Dente, Vasco Brondi, DiMartino, interpreti di una forma molto meno profonda di analisi di quello che hanno intorno ma che, come in questa formazione molto curiosa, hanno uno spessore molto meno concreto e rilevante. Sarà che i termini che usiamo oggi sono meno poetici e più rabbiosi, però nonostante l’affermazione che avete appena letto è chiaro che per una persona nata dopo il 1980 un disco come questo rappresenta la verità, noi tutti, un po’ quello che siamo e quello che avremo dovuto essere. L’aspro e crescente senso di vuoto in cui viviamo.
Con i dovuti aggiustamenti, dopo questo breve disco si può presagire un album “rivelazione”, che attendiamo molto contenti e speranzosi.

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ETICHETTA: Mia Cameretta Records
GENERE: Garage, alternative, punk

TRACKLIST:
1. Running Uptown
2. I Need A Psychologist
3. Kettle In The Sun
4. Come With Me
5. Monkey
6. Loser Blues

In puro stile Mia Cameretta, anche i Poptones propongono una devastante ed asimmetrica mistura di punk ed alternative dallo stile molto garage, che alcuni chiamerebbero lo-fi, ma che senz’altro fa riferimento a certi cromatismi grunge che comunque sono più d’attitudine che d’ispirazione. Questa raccolta di sei brani è una interessante combinazione di elementi che condividono solo il termine cazzone, un modo di (auto)interpretarsi che sembra quello delle band da sala prove che però hanno voglia di salire sul palco, suonare tre pezzi e andarsene lasciando l’amplificatore frusciare, fischiare, per poi tornare sul palco fare un bis e spaccare tutta la strumentazione. Magari anche quella degli altri.
Preoccupandosi non poco di disseminare i brani (ad esempio “Monkey”) di piccoli momenti orecchiabili, dove la melodia prende il sopravvento, anche qui, più come attitudine, come portamento, che come modo di rappresentazione. Ciò che rimane è un molotov cocktail di rabbia, aggressività, ira, collera (e voi lo sapete che non sono solo sinonimi, soprattutto in musica), che trova il suo momento massimo nella virulenza inorganica di “I Need A Psychologist”, che potremo senza problemi elevare a gonfalone dell’intero disco (che forse è piu un EP per forma e confezione). Qualche sferzata rock’n’roll si unisce vigorosamente con quel punk rock che citavamo, riportandoci quasi a certe atmosfere dei The Who: i brani corti, la cui brevità senz’altro ha uno scopo “catalitico”: depurazione, purificazione, congiunzione interminabile tra la veemenza e la cultura del catchy tune di vecchia ispirazione seventies.

Questi sei brani dimostrano, nella loro breve durata, la grande capacità di “triturare” un numero di elementi veramente notevole. Lo hanno fatto in molti, è vero, ma non tutti riescono a proporre nel duemiladieci (e nemmeno un anno dopo) un prodotto così ben organizzato nel suo essere puro caos, disordine, entropia. E noi che queste cose le abbiamo sempre apprezzato, non possiamo che parlare di una piccola perla da ascoltare in auto a volume altissimo (ma non se siete milanesi o bolognesi). Noise, noise, noise, ancora noise. La nostra scena si ripopola, alzate i calici.

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ETICHETTA: Mia Cameretta Records
GENERE: Post-punk, Noise rock

TRACKLIST:
1. Romantic Song
3. ChatRoulette
5. Nails and Glue
7. The Guitar Trader
8. Chemtrails

L’universo del post-punk, dell’hardcore e, più in generale, dell’alternative rock, negli ultimi anni, è diventato un (ultra)popoloso ammasso di band più o meno originali che emergono dal mucchio solo di rado, latitando nella ricerca di soluzioni innovative e che sottolineino un minimo di ricerca in più rispetto alla media. I Bandwidth fanno tristemente parte di questa immensa ed inesauribilmente prolifica cerchia, ma Trinitite ha comunque dei buoni contenuti, che necessitano di un minimo di considerazione extra.
Al di là della tracklist non convenzionale, che salta seconda, quarta e sesta traccia (in realtà presenti come interludi che congiungono i vari brani), il prodotto è un intelligente e sapido miscuglio di buon punk neomelodico e furia garage, riversata in un contenitore già sporco di tracce new wave e che, pertanto, risulta essere proprio “post-punk”, un’etichetta tanto abusata quanto verosimile per descrivere il sound di band analoghe. Che non staremo ad enumerare. “Nails and Glue” e “Chemtrails” mettono a nudo la band e si preoccupano di narrarne la genealogia con quelle chitarre così graffianti, adrenaliniche e quasi frenasteniche che esplodono di punto in bianco con dell’ottimo noise di stampo americano. Nineties, ovviamente. La parola d’ordine è “potenza”, un termine che in tutto il disco condivide le sue sorti con quello di “veemenza”, due concetti simili ma che, secondo il dizionario (a voi la ricerca), riuscirebbero ad esprimere quella specie di tracotanza rock che solo ascoltando “ChatRoulette” e i suoi spasmi eccessivamente violenti riuscirete a comprendere.
La band si preoccupa non poco di rendere questo piccolo e breve lavoro variopinto, dimenticandosi si lasciare una traccia personale. La verità è che però il loro punto di forza risiede nella incredibile furia con cui devastano i timpani dell’ascoltatore con un’effervescenza ritmica che riesce a coinvolgere anche i meno abituati al genere. Noise, come parola-chiave, post-punk, come mondo di riferimento. Sottosuolo per band molto produttive, come i Bandwidth, che hanno già dato alle stampe due release prima di questa, sottraendosi, come dicevamo prima, al fallimento degli esperimenti “di scena” che sono un po’ tipici dello Stivale. Una band che deve continuare su questa strada, senza paura, senza limiti, personalizzandosi quanto più possibile in un’ottica custom che non può che diventare beneficio per un loro futuro disco.

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