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Archive for settembre 2011

ETICHETTA: Sinusite Records/Pogoselvaggio! Records
GENERE: Post-rock, alternative rock

TRACKLIST:
1. Sagome
2. Evadi
3. Abiti
4. Mosaico
5. Il Sarto
6. Inchiostro Sprecato
7. Orme Sovrapposte

Gravità Inverse è l’unica evoluzione possibile del sound che i Nut avevano delineato nell’Ep Hapax, un anno fa. Prodotto da Giulio Favero, onnipresente sulla scena alternativa italiana, è un disco molto dilatato nonostante contenga solo sette brani, pesante da digerire, ma non per questo acerbo o noioso. Tutte le tracce hanno un importantissimo ruolo nel definire il significato del’intero disco, a partire da “Orme Sovrapposte”, crescendo che si propaga in tantissime direzioni, ricordando i brani più sperimentali del primo del Teatro degli Orrori quanto certe esagerate distensioni dei Motorpsycho di Black Hole/Blank Canvas o Heavy Metal Fruit. Se in quel senso ricordano i Verdena di Requiem (visto che ancor di più loro sembrano i norvegesi de noialtri), come in “Inchiostro Sprecato”, si evidenzia facilmente quella vena alternative rock alla italiana che veleggia tra Karnea, Marlene Kuntz, Afterhours e Ritmo Tribale, sintesi di un panorama che descrive una buona metà della nostra attuale scena (in quanto ad ispirazione). Poteva sembrare velleitario realizzare pezzi così estesi senza fuggire dalle catene del post-rock o della progressiva più americana, ma entrambi gli ambiti sono rivoltati da cima a fondo grazie alla maturità compositiva di una band che ha già raggiunto un acme difficilmente ripetibile. Ospiti a parte (come l’immancabile Manzan), un cupo manifesto di vera musica italiana come in questi anni se ne vedevano pochi. E se il prossimo disco li confermerà “next big thing”, anche questo sarà storico.

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RECENSIONE DI GIACOMO “JACK” CASILE

ETICHETTA: Buil2Kill Records
GENERE: Death Metal

TRACKLIST:
1. God Is Empty
2. The Wrong Way
3. Boot Shaped Country
4. Free of Cry
5. I Fell Disgusted
6. The Human Race
7. Regression
8. Nobody Stops Me
9. Finished
10. Fulgor

Era il 1995 quando uscì “In the Circle of Time”, disco di debutto dei genovesi Detestor, band da sempre pressoché sconosciuta al grande pubblico ma considerata come una delle più importanti formazioni del panorama metal italiano anni novanta. Quell’album fu una vera e propria rivelazione visto il sound innovativo per il periodo, a cavallo tra death metal e melodia, connubio espresso benissimo da killer tracks come “Clear the world” ed “Esp”. La critica lo accolse benissimo e si può dire in un certo senso che fu anche anticipatore di un modo di fare musica che esplose l’anno successivo con dischi come “Slaughter of the Soul” degli At the Gates e “The Gallery” dei Dark Tranquillity. Nel corso degli anni successivi però la band decise di abbandonare completamente le sonorità del fortunato esordio per sperimentare verso lidi più vicini al modern metal con “Red Sand” del 1997, ottenendo risultati però mediocri. Poi nel 2001 avvenne la rottura del progetto, lasciando persino in sospeso il master di quello che sarebbe dovuto essere il terzo full-length. Ora però veniamo ai giorni nostri; dopo undici anni di assenza i Detestor decidono di tornare sulle scene e lo fanno con “Fulgor”, la cui uscita è stata sempre posticipata dal 2001 fino ad oggi. Già all’ascolto dell’opener “God is Empty” si capisce subito di avere a che fare con un lavoro sperimentale ed interessante e fa piacere constatare che a differenza delle classiche reunion, i Detestor non abbiano nessuna intenzione di adagiarsi su formule rodate, nonostante un ritorno a sonorità già apprezzate in passato sarebbe stato più facile. I brani di “Fulgor”si muovono tra riffing Swedish death rabbiosi e aperture melodiche a metà tra il postcore e il grunge. Si ha un pò l’impressione di ascoltare un lavoro che sia il punto di incontro tra la forza esplosiva del debutto e le sperimentazioni di “Red Sand”. Questo crossover si esprime benissimo in brani come “Boot Shaped Country” e la title track anche se la formula non sempre funziona; infatti alcuni pezzi della seconda metà dell’album annoiano un pò per il loro essere poco concreti e confusionari. Gli episodi più riusciti infatti sono quelli che riportano in mente i fasti e la rabbia di “In the Circle of Time” senza troppi fronzoli ovvero “The Wrong Way” e “Free to Cry”. Il disco nel suo complesso è buono e si lascia ascoltare, unica pecca è la poca incisività e varietà delle linee vocali pulite a differenza delle parti, sempre azzeccatissime, dove si alternano growl e scream acidi. Si tratta comunque di un graditissimo ritorno che speriamo duri ancora molto, vista la scarsa presenza al giorno d’oggi di band che sappiano lasciare il segno come hanno fatto loro in passato.

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ETICHETTA: Malatempora, La Grande Onda Publishing
GENERE: Rock cantautorale

TRACKLIST:
1.  La Spirale delle Formiche
2. Grune Linie
3. Il Lattaio
4. Hiroshima
5. Laura
6. E Così Sia
7. Una Risata Ci Seppellirà
8. Il Corso degli Eventi
9. Teoria del Piano Zero

Giunti al secondo lavoro, i Lemmings iniziano a scavarsi la loro nicchia nel panorama nostrano, grazie ad una miscela ormai riconoscibile di alternative rock, cantautorato e melodica italiana che punge l’ascoltatore con elementi presi a piene mani un po’ da tutti gli ultimi tre decenni. In Teoria del Piano Zero, il sound è più livellato, studiato ed equilibrato; nulla è lasciato al caso, a partire dalle liriche, gonfie di cinismo e intrecci malinconici dalle tinte scure, con un grigiore che regna soprattutto nelle tracce più intime (“Laura” e “Hiroshima”, che dondolano nei testi tra le atmosfere di Giulio Casale, Fabrizio de André e Mauro Ermanno Giovanardi). E poi c’è “Grune Linie”, una sorta di soft punk alternativo che si dinoccola tranquillamente tra il languore dei CSI e alcune sferzate più corpose à-la-Massimo Volume. L’angolo cantautorale più classico, diversificato nelle trame rock delle band già citate, si riverbera soprattutto in “La Spirale delle Formiche” e “Il Corso degli Eventi”, ma anche “Il Lattaio”, per lasciar comunque intendere quanto questa ispirazione letterariamente, consona a mostri sacri come il Guccini più poetico, sia cosparsa a piene mani tutto il disco. La maturità nel songwriting è evidente, con scelte mai banali che dimostrano una costruzione intelligente, certo superiore a molte “seconde prove” nel genere, perlomeno in Italia.

L’oscurità velata delle soluzioni melodiche, delle linee vocali e dei testi è la chiave di lettura per tutto l’album, il motivo di un interesse palese che questo lavoro assumerà in maniera più precisa nel corso degli anni, quando ai Lemmings sarà certificato un riconoscimento per i due primi ottimi lavori.

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1. Salve Dubby Dub, grazie per aver accettato la nostra intervista. Domanda banale per incominciare: come si sono formati i Dubby Dub e perché la scelta di questo nome?
Ciao sono Andrea chitarrista e cantante dei Dubby Dub, volevo ringraziarvi per lo spazio concesso e raccontarvi un po’ la nostra storia.
Il progetto Dubby Dub nasce nel 2001 nella provincia di Ferrara dalla mia mente e di mio fratello Mauro, allora basso e voce degli H-strychnine, band della scena hard-core italiana con all’attivo due dischi usciti per AmmoniaRecords-V2/SonyMusic, ed Enrico Negri, noto musicista della zona, nonché cantante dei Noise e batterista dei Charlest One.
Decidiamo così di registrare un disco di undici brani al Fear Studio di Ravenna.
Nel 2005 Enrico e Mauro fondano una nuova band, Sportclub (album “Catchy” uscito per La Baraonda/Self), che li terrà molto impegnati, mentre io continuo la mia esperienza negli H-strychnine.
I Dubby Dub sono così messi nel cassetto per qualche anno finché Flavio Romei, nel tardo 2009, ci convince a ricominciare. Nel 2010 ritorniamo in piena attività live, con l’aggiunta della nuova chitarra e pubblichiamo così con ALKA record label il nostro album “Rock’n’roll head”.

Il nostro nome Dubby Dub è un po’ insolito ma la storia è molto semplice.
Eravamo all’inizio della nostra carriera musicale (inizio 2001), a quei tempi registravamo le prove su cassette e feci ascoltare una canzone (credo che fosse una prima versione di ‘I’M OK’ forse l’unico pezzo da noi scritto un po’ lento) a un mio conoscente dal nome Yak (un personaggio un po’ insolito e della vecchia guardia) e gli chiesi se gli piaceva il pezzo da noi registrato.
Lui disse che era molto bello e che un gruppo così doveva avere un nome molto importante.
Io gli chiesi:
-Che nome daresti al mio nuovo gruppo?
Lui rispose:
-Dubby Dub.

Quello fu il momento della nascita dei Dubby Dub, per quel che ne so di Yak non ebbi più notizie ma qualcuno lo vide su una Mercedes decapottabile scappare da un inseguimento della polizia.

2. Ogni band, si dice (a volte esagerando) abbia un messaggio o un motivo per suonare quello che suona. I Dubby Dub perché suonano e, secondo voi, “cosa suonano”?
I motivi per cui si suona possono essere veramente tanti ma il nostro motivo principale è perché ne sentiamo la necessità.
Sai la musica è un mix di arte e cultura, è un modo per sentirsi vicini alle persone e perché no, un modo di fare del bene. Ogni concerto lo portiamo dentro di noi e ogni situazione è unica.
Penso che quello che abbiamo voluto trasmettere nel disco e soprattutto quello che vogliamo trasmettere ai nostri concerti sia la naturalezza stessa della musica, la voglia di divertirsi e di sorridere alla vita.
Non saprei definire il nostro genere e generalizzare è una cosa che non ci è mai piaciuta, anche se a un gran numero di ‘recensionisti’ del settore piace farlo.
Ascoltiamo tanta musica e penso che sia il nostro punto di forza e d’ispirazione.

3. Ci sono state molte recensioni positive del vostro ultimo disco, Rock’n’Roll Head. Oltre a chiedervi cosa ne pensate del modo in cui la critica ha recepito la vostra musica, volete raccontarci com’è nato l’album e qual è stata la reazione del pubblico alle esibizioni live?
Sicuramente è stata una bellissima soddisfazione, siamo molto contenti che la ‘critica’ abbia recensito positivamente il nostro lavoro.
Spero che condividano altrettanto positivamente il videoclip del singolo “Do it or let me go”, da poche settimane uscito sul web. Noi ne siamo molto orgogliosi e colgo l’occasione per ringraziare il regista Alex Mantovani e tutti i suoi collaboratori della Pseudo Fabbrica.
Come ho detto in precedenza i Dubby Dub sono nati nel 2001 e nel 2005 abbiamo registrato il nostro disco, poi per motivi vari abbiamo avuto un periodo di standby. Nel 2010, grazie al nostro nuovo chitarrista si è avuta una rèunion e grazie alla collaborazione con Alka Records abbiamo potuto stampare il nostro disco. A luglio abbiamo finito di registrare il nostro secondo album ed entro la fine dell’anno è attesa l’uscita.
Per quanto riguarda la scena live, è stata una grandissima soddisfazione vedere sempre più persone avvicinarsi ai nostri concerti e partecipare in maniera davvero entusiasmante.

4. Anche la copertina è senz’altro singolare. Di chi è stata l’idea e che significato le attribuite?
L’artwork possiamo dire che è abbastanza provocatorio, vedere la sigaretta in bocca a un bambino potrebbe demonizzare maggiormente la dura lotta contro il fumo, ma non è così, la foto è del 1968 ed il bambino rappresentato in copertina è mio zio Marco, questa foto arriva direttamente dall’album di famiglia e rappresenta il giusto compromesso tra ribellione e gioia di vivere.

5. Cosa aspettarsi da un concerto dei Dubby Dub? (Se volete pubblicizzare le vostre prossime date, fate pure.
Sicuramente un nostro concerto è molto vario, partendo da una solida struttura ricca di energia e carica positiva trasmettiamo varie emozioni con l’utilizzo anche d’insoliti strumenti musicali come ukulele e glockenspiel.
Tutti gli aggiornamenti sulle nostre date le potrete trovare al sito: www.dubbydub.com , sulla pagina facebook al nome dubby dub o su www.myspace.com/dubbydubmusic.

6. Quali sono i vostri programmi per l’autunno e l’inverno, i mesi in cui i locali scoppiano di date e tutte le band sono all’affannosa ricerca di un qualche spazio dove mettersi in mostra?
A dire il vero a parte i concerti, abbiamo in programma due eventi live un po’ insoliti, il primo festeggiare i nostri dieci anni di attività, organizzando un concerto con vari musicisti che suonino i nostri brani insieme con noi e per l’occasione stampare un vinile quarantacinque giri con due pezzi inediti.
La seconda cosa in programma è una tournée negli U.S.A. in California.
Cinque date lungo la west-coast da definire a breve, sarà sicuramente un’esperienza indimenticabile.

7. Infine una domanda estranea alla vostra attività: che ne pensate della scena della vostra zona? Ci sono altre band interessanti magari nel vostro genere? Se poteste scegliere dove traslocare per avere più possibilità di emergere dove andreste? (Bologna e Milano non vale :D)
Pensiamo che la provincia di Ferrara sia una delle zone con la più alta percentuale di band eterogenee, ci troviamo in Emilia Romagna da sempre una delle maggiori sedi della cultura musicale italiana. Conosco tante band che se per loro disgrazia non fossero nate in Italia potrebbero essere conosciute in tutto il mondo.
Se dovessi trasferirmi per avere più visibilità, andrei sicuramente in un paese nordico tipo Svezia.Negli anni ho suonato con tanti gruppi di quel paese, in quei luoghi fare il musicista è visto come una professione vera e propria, a volte per fino stipendiati dallo stato per esportare la musica del proprio paese in giro per il mondo, cosa possibile in Italia?
Non credo….
Oppure mi trasferirei del tutto in California, spero che il nostro tour ci apra le strade verso il nuovo continente.
Vi ringrazio e dai Dubby Dub un super abbraccio.

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The Webzine da oggi vi spiattella periodicamente alcuni dei live integrali ripresi durante la rassegna Grido Underground a Stanghella (PD).
La prima selezione vi porta i live delle seguenti band, ricordandovi che comunque trovate un fiume di video a questo link.

EDO

EL V ACUSTICO

PURSUIT GREEN 

Quasi tre ore di grande musica live per voi. Prossimamente altri grandi live!

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ETICHETTA: After Life
GENERE: Alternative rock

TRACKLIST:
1. Cane?
2. Ottozampe
3. Aria
4. Un’Ultima Chance Ancora Una Volta
5. Reset
6. K-Pax
7. Post Stop
8. Metempsicosi
9. Buoni Propositi
10. Claustrofobia
11. Scorrere
12. Uscita di Sicurezza

Seguendo un impulso estetico tipicamente “verdeniano”, come piace a metà delle nuove band alternative rock italiane, i Duranoia arrivano a questo full-length con tanta voglia di spaccare, una frenesia chitarristica evidente in ogni secondo dell’album, con grandi sforzi negli arrangiamenti che però si riducono piuttosto spesso all’imitazione.
Nelle retrovie di Sinceri Equivocati rinveniamo in verità la genuina personalità della band, che non si sovraespone mai, rimanendo dietro i riff tipicamente italiani di band come i già citati bergamaschi, i Tre Allegri Ragazzi Morti e i Marlene Kuntz più sferraglianti. Se dovessimo fare un paragone con una band che non ha ricevuto il successo dovuto, nomineremo volentieri I Melt. Le aperture melodiche danno più respiro al disco, in particolare la bella “K-Pax”, canzone segnaletica di una certa capacità compositiva che presagisce ad una maturità quasi raggiunta (che troveremo sicuramente nel prossimo disco). L’impeto punk di “Reset” e “Cane” raggiunge con questi due episodi il suo apice espressivo, mentre “Metempsicosi” sembra un po’ troppo tutte le canzoni del demotape dei Verdena (o dei Karnea).
Dal punto di vista della produzione un sound molto garage regala lustro ai brani più intensi e cattivi, nonostante a soffrirne sia soprattutto la sezione ritmica. Strumentalmente la band fa da contraltare a tutte le debolezze dell’impianto esteriore con una certa precisione, mai esagerata e quindi perfetta per dare l’idea di una formazione affiatata e che vuole esprimere qualcosa senza risultare fredda.
Di quella rabbia generazionale degli anni novanta che ormai è fagocitata dal marketing non è rimasto niente, e di solito chi tenta di riportarla in auge rimane in sala prove a vita: i Duranoia presentano però quella marcia in più che, studiata ed approfondita nella giusta direzione, li porterà probabilmente sui grandi palchi. Buona prova, in attesa di qualcosa di meglio.

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L’ennesima data degli Afterhours all’Estragon di Bologna inizia con un’inspiegabile ma meritato sold out, evenienza che non capitava da tempo in concerti dei milanesi da queste parti. Il secondo capitolo del Summer Tour, dopo l’enorme successo dell’anno scorso, è quasi giunto alla fine e la cornice emiliana, in piena festa dell’Unità, non poteva che fare da adattissimo sfondo alla “nuova ondata sonora” della band, che tenta di ritornare agli anni novanta con il sound, parte della formazione (il ritorno di Iriondo) e la scaletta. Quest’ultima si spalma, stavolta, in maniera molto più omogenea lungo la loro carriera, anche se gli elementi della loro storia recente rimangono immutati (“E’ Solo Febbre”, “Pochi Istanti Nella Lavatrice”, la peggiore per resa live, e una versione semiacustica de “Il Paese E’ Reale”): non mancano infatti le ormai stabili “Dea”, “Siete Proprio dei Pulcini” e “Germi”, passando anche per “Bungee Jumping” e il distico iniziale “La Verità che Ricordavo” e “L’Estate”. Grande spazio per Ballate per Piccole Iene con la (quasi) title-track, “La Vedova Bianca” un po’ accelerata come sempre, la fan-favourite “Il Sangue di Giuda”, “La Sottile Linea Bianca” e una versione più elettrica del solito di “Ci Sono Molti Modi”. Rispetto ad altre date di quest’estate mancano “Pop”, “Carne Fresca”, “Sulle Labbra” e “Varanasi Baby”, ma le quasi due ore di scaletta non fanno notare nessuna debolezza in setlist.
La performance fa pensare ai migliori Afterhours, sempre con riferimento agli ultimi tempi; sono anni ormai che un live di Agnelli e soci è un punto di domanda, con alcune serate sottotono ed altre ottime, e stavolta siamo verso questa seconda opzione. Alcuni cali di voce non infastidiscono il risultato, così come non si percepiscono mancanze strumentali se non qualche scazzo di batteria di troppo, a segnare la linea ormai fiacca di un Prette avanti con gli anni ma comunque sempre abbastanza preciso. Rodrigo d’Erasmo strappa sinceri applausi d’approvazione, così come Xabier, che vale il 50% del biglietto da solo.
Il pubblico gioca bene le sue carte, soffocando in alcuni momenti l’audio con il canto e le urla, ma partecipando attivamente. Nota di colore: un “vai a fare in culo” di Agnelli diretto a “non si sa chi”, si crede ai soliti fancazzisti provocatori.

L’Estragon è sempre un contesto ottimo per live di band italiane di questo tipo. La storia della musica rock nostrana passa anche da qui e gli Afterhours la rappresentano meglio di chiunque altro. Un concerto come questo regala sempre uno sguardo malinconico a quel panorama di 20 anni fa che fatica a rinnovarsi, ma che vive comunque nei potenti show di chi ancora non si è stancato di portare al pubblico la sua rabbia. Aspettiamo il nuovo disco del 2012.

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Clara Engel è un’eclettica artista canadese che vi invitiamo a scoprire a questo link ma sopratutto con la conversazione che abbiamo avuto la fortuna di fare con lei.

Ciao Clara, grazie per aver accettato l’intervista di The Webzine! Inizierò questa intervista con una domanda scontata: perché hai scelto di diventare una musicista?
Quando avevo tredici anni ho iniziato a scrivere canzoni. Ho scoperto che scrivere canzoni e cantare mi piaceva più di ogni altra cosa avessi mai provato al mondo, ma non c’era nessuna razionalità nella scelta, inseguivo solo un mio desiderio.

Dando un’occhiata al tuo Bandcamp, la prima cosa che attira l’attenzione di chi legge (e ascolta, si spera!) è la grande quantità di materiale che hai scritto. Faresti un piccolo riassunto della tua carriera per i nostri lettori? Quali elementi della tua discografia reputi più rappresentativi?
Non mi importa da dove la gente inizia, l’importante è che ascoltino. Visto che le canzoni fuoriescono direttamente dal mio corpo, cervello e polmoni non sarò mai capace di ascoltarle o apprezzarle in maniera obiettiva. Non posso essere una buona guida in questo senso. Il mio lavoro è inscindibilmente connesso con la mia vita intima e il mio passato, una sorta di enorme enciclopedia di me.

Alcuni titoli di tue canzoni presentano riferimenti geografici (Bethlehem, Madagascar, ecc.). E’ una scelta ponderata e motivata o una semplice coincidenza? Quali sono gli argomenti di cui preferisci parlare nelle canzoni? Sembrerebbe che la tematica del “viaggio”  sia in qualche modo collegata a molti tuoi lavori.
Non sono mai entrata in un aereo in vita mia. Mi ritengo una sorta di viaggiatrice dell’interiorità. Mi piacciono le parole e mi innamoro dei nomi delle cose e dei luoghi. Esiste una canzone che non ho ancora registrato che si chiama “Venezuela” e le prime frasi sono: “Non sono mai stato in Venezuela, ma è una bella parola da cantare”.

Una canzone in particolare ha attratto la mia attenzione: Heaven of Leaves. La tua splendida voce è perfetta per questa performance, poetica a suo modo (e come dici nel tuo Bandcamp l’ispirazione viene proprio da una poesia). Com’è nato questo pezzo?
Ho scritto le parole per Heaven of Leaves molto prima della musica. Il titolo proviene da una fotografia di Jim Shirey (padre del grande musicista Sxip Shirey). Sono stata molto presa da quella foto e quel titolo, così l’ho scritto e le altre parole sono uscite da sole. Ascoltare quella canzone mi fa pensare a quanto strano sia esistere: avere coscienza del mondo che ci circonda, avere un corpo e sapere che occupa uno spazio. Mi fa pensare all’esperienza di essere un osservatore, uno scrutatore…improvvisamente senti il rumore del tuo respiro, la sensazione e il peso del materiale appoggiato sulla tua pelle, il peso e la pressione causati dalle relazioni con altre persone ed esseri viventi. Il concetto di unione e separazione mi ha sempre interessato. Ci sono tante sfumature nel modo di vivere: si può essere osservatori attivi o partecipanti passivi, ad esempio. Per me tutto questo è nel tessuto narrativo della canzone. Mi fa anche pensare a quelle favole in cui una persona si trasforma in un albero, o in qualsiasi altro essere inanimato o privo di mente. Se avesse avuto un video, avreste visto sicuramente una colonia di funghi che crescevano.

Spostandosi su altri temi, com’è la vita di un’artista indipendente in Canada?
Per me, in questo momento, molto dura. Non mi piace lamentarmi, ma mi piacerebbe che andare in tour e registrare fosse più semplice. Non ho comunque nessun motivo per pensare che essere un artista emergente sia meglio altrove.

Qual è la tua esperienza personale nei confronti del tour e dei concerti? Hai suonato recentemente o hai piani in questa direzione?
Mi piace suonare dal vivo. Più suono dal vivo, più mi sento viva, utile e felice. Provo a suonare più spesso possibile, per portare la mia musica alla gente in sempre più occasioni. Trovate la lista dei miei show su Bandcamp!

Hai qualche progetto futuro in quanto ad album o altri progetti?
Sto cercando di raccogliere soldi per il mio prossimo disco “Ashes and Tangerines”. Sento che il nuovo materiale andrà oltre a quanto finora ho fatto, con più sfumature rispetto all’ultimo album. Sono molto entusiasta di poter registrare queste nuove canzoni. Ho un sito dove la gente può informarsi su questo progetto e acquistare il disco in pre-order: http://www.kapipal.com/claraengel

Grazie per aver accettato questa intervista
Grazie a te per le splendide domande

Emanuele Brizzante e Clara Engel

LINK:
http://claraengel.bandcamp.com
http://www.myspace.com/claraengel
http://www.facebook.com/claraengelmusic


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Recensione a cura di Alessia Radovic

Assago, ore 21.25 circa. Davanti a me tre bambine con la stessa maglietta e mamma al seguito iniziano ad urlare perché Avril Lavigne è salita sul palco.
S’inizia con l’esecuzione di Black Star, intro dell’ultimo album. Se non ne sapessi la reale età sarei portata a pensare di assistere ad un concerto di una sedicenne, massimo.
Si continua sull’onda di “Goodbye Lullaby” con What The Hell (che mi ricorda tanto Girlfriend) e Smile, il pubblico salta e canta felice, io sono un po’ delusa.
La Lavigne non è mai stata considerata più che una wannabe punk ma io l’ho sempre difesa perché mi piace (o piaceva?) e i primi due cd, Let Go del 2002 e Under my skin del 2004 sono tra i miei preferiti e li ascolto ancora molto volentieri, forse perché a suo tempo ero adolescente e alcuni pezzi mi fanno venire in mente dei bei ricordi.
Tornando al concerto, per fortuna la situazione si è ripresa con Sk8er Boys, finalmente qualche vecchio pezzo, seguono He wasn’t, I always get what I want e Alice.
Arriva il momento della cover, che onestamente in un concerto così corto poteva anche essere evitata, le canzoni ci sono, perché sprecare il tempo con un tributo seppur ai bravissimi Coldplay? Una buona percentuale dei fans nemmeno saprà chi siano probabilmente.
Arriva il momento lacrimuccia con When you’re gone che fa commuovere anche me, più che altro per la presenza della mia dolce metà che vive lontano e quindi mi manca molto quando non c’è, esattamente come dice il testo della canzone. Altro nuovo pezzo, Wish you were here, io mi aspettavo un pezzo spettacolare, insomma da fare concorrenza a quello dei Pink Floyd, invece niente. Sono delusa anche di questo, manca qualcosa.
Altro ritorno al passato con Nobody’s Home, mi sembrava poca gente cantasse. C’è davvero qualcuno che preferisce gli album nuovi?
Momento strumentale dell’ottima band di supporto che fa sussultare lo zoccolo duro di vecchia data con Unwanted, Freak out e Losing Grip, quasi quasi il migliore momento della serata.
Ritorna Avril sul palco e ci fa scatenare con Girlfriend, il testo è simpatico, è giusto immedesimarsi, in fondo è un’esperienza che abbiamo vissuto tutti.
Nota dolente, altra cover, perché? Airplanes di B.o.B a cui segue il momento clou, ovvero My Happy Ending, c’è poco da fare per me è la numero uno (tra i singoli) di Avril. Il momento nostalgico ancora non si perde grazie a Don’t tell me e I’m with you.
Il concerto finisce… per finta.
Si ritorna sul palco con I love you, Hot e il successo planetario di Complicated.
Questa volta è davvero finita, la gente è incredula, è durato solo un’ora e dieci, io lo sapevo già perché c’ero già stata.
I concerti della Lavigne sono così, ci vai, te lo godi, ti diverti, canti ma sai che durerà poco e devi andarci consapevolmente se no ne rimarrai deluso.
Non posso dire che consiglierei di andarci ad un non-fan, non capirebbe, non apprezzerebbe, riderebbe di chi piange su alcune canzoni. Ma questo è l’effetto che fa un’artista che segui da tanti anni e con cui sei crescuta, ti rimarrà sempre nel cuore.
Forse Avril tra 3 anni farà un altro disco, forse sarà bello, forse sarà tremendo e non so se andrò ancora a vederla dal vivo.
Poi ripenserò all’emozione che provo quando sento My Happy Ending dal vivo e deciderò di ritornare.

Scaletta:
Black Star
What the Hell
Smile
Sk8er Boi
He Wasn’t
I Always Get What I Want
Alice
Fix You (Coldplay cover)
When You’re Gone
Wish You Were Here
Nobody’s Home
Unwanted/ Freak Out / Losing Grip (Medley instrumental)
Girlfriend
Airplanes (B.O.B. cover)
My Happy Ending
Don’t Tell Me
I’m With You
Encore:
I Love You
Hot
Complicated

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The Webzine Suggests #17

La seconda metà di settembre vale quanto la prima? Non sta a noi giudicare.

16.09 – PFM canta DE ANDRE’ @ Biennale Off, Trieste
16.09 – ON THE MOVE, TEATRINO ELETTRICO, DJ BALLI, FIRE AT WORK, KATSUDOJI, KAPS, FOIA, BXP, SEVENTYSIX, VALERIO M., DIRECT Y, MADCORE ENK, DECODER @ Anti-Mtv-Day, Bologna
16.09 – AFTERHOURS e JULIE’S HAIRCUT @ Estragon, Bologna
17.09 – CAPAREZZA @ Biennale Off, Trieste
17.09 – LAGHETTO, ORNAMENTS, LA QUIETE, RAEIN, INFERNO, ED, GERDA, LA CRISI, AGATHA, INFARTO, DISQUIETED BY, GAZEBO PENGUINS, VALERIAN SWING, LENTO, DYSKINESIA, STORM(O), MOTHER PROPAGANDA, THE CONFLITTO @ Anti-Mtv-Day, Bologna
17.09 – SHANTEL & BUKOVINA ORKESTAR @ Estragon, Bologna
17.09 – OVO e ZEUS! @ ZK, Ostia (RM)
17.09 – PIET MONDRIAN @ Groove, Potenza Picena (MC)
17.09 – GIORGIO CANALI E I ROSSOFUOCO @ Neon, Rimini
19.09 – CESARE BASILE @ Piazza Verdi, Bologna
19.09 – LUCA CARBONI presenta il nuovo disco @ FNAC, Verona
21.09 – BRUNORI SAS presenta il nuovo disco @ FNAC, Verona
22.09 – ALESSANDRO FIORI @ Nero su Bianco, Cesena (FC)
23.09 – LINEA 77 @ HALLE 28, Bolzano
23.09 – HEIKE HAS THE GIGGLES @ Teatro Masini, Faenza (RA) – serata SUPERSOUND
24.09 – ENABLERS @ Piazza Verdi, Bologna
24.09 – ART BRUT @ Covo Club, Bologna
24.09 – CAPTAIN MANTELL @ Uvalibre, Carrù (CN)
24.09 – COLLE DER FOMENTO @ Blogos, Casalecchio di Reno (BO)
24.09 – LIZZIE AND THE YES MEN @ Etnoblog, Trieste
25.09 – BRUNORI SAS @ Panic Jazz Club, Marostica (VI)
25.09 – MY BUBBA & MI @ Zuni, Ferrara
25.09 – NADA @ Acqua Sonante, Aquilonia (AV)
27.09 – BROOKE FRASER @ Locomotiv Club, Bologna
30.09 – GIORGIO CANALI E I ROSSOFUOCO @ George Best Club, Cesena (FC)
30.09 – HAYSEED DIXIE @ Covo Club, Bologna
30.09 – PUNKREAS @ Plettro Alternative Sound, Quero (BL)
30.09 – FRATELLI CALAFURIA @ Controsenso Festival, Prato
30.09 – BARRENCE WHITFIELD & THE SAVAGE @ Locomotiv Club, Bologna
30.09 – THE CHARLESTONES @ Vinile, Rosà (VI)
30.09 – MARIPOSA e UOCHI TOKI @ Happy Colours for Happy People, Aversa (CE)

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ETICHETTA: Recreation Ltd.
GENERE: Indie rock, psichedelia

TRACKLIST:
1. Jules’ Story
2. Seance
3. Summer Solstice
4. By The Sawkill
5. Two-Way Mirror
6. Way Out
7. Fortune Telling
8. Always Afraid
9. Knee Deep
10. Sun-Bleached
11. Dog Days

I Crystal Antlers avevano già stupito il poco pubblico che ha potuto conoscerli ed apprezzarli, grazie ad uno splendido Tentacles. Ci riprovano con una buona dose di pretenziosità con un disco fatto di psichedelia mutante, mischiata con qualsiasi cosa serva a renderla più originale di gran parte dei tanti “neo-psychedelic acts” che girano ultimamente. In un album comunque non così brillante da far gridare al miracolo, dipingono un variopinto mosaico frastagliato delle più diverse influenze: angoli di garage rock pesante ma misurato (“By The Sawkill”), poi addormentato in virulente sferzate psichedeliche dal gusto commerciale (“Dog Days”, in chiusura); noise, rumori, fuzz e distorsioni per il puro gusto di fare casino (“Knee Deep”, alcune sezioni di “Summer Solstice”, le code di molti pezzi); power pop diventato metal e poi riconvertito in indie nuova scuola, ricoperto da vesti screamo (“Two-Way Mirror”, provare per credere). Difficile capire da che parte arrivano le botte, ma sono tante, e anche quando la musica si quieta e lascia spazio all’ambiente profondamente “elettrico”, la tensione rimane alta.

Sembra che le strade che si possono percorrere siano molte, in tutte le direzioni. C’è chi pensa che prenderanno una svolta pop mainstream, chi invece che batteranno quella di uno spietato noise rock dalle venature macabre/dark. Le bastonate acide che ci si prendono ascoltando questo disco farebbero pensare più alla seconda, ma chi lo sa, noi li attendiamo. Prova sufficiente a capire di che pasta sono fatti, ma rimane meglio Tentacles.

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ETICHETTA: Warner Bros.
GENERE: Pop rock, funky, alternative rock

TRACKLIST:
1. Monarchy of Roses
2. Factory of Faith
3. Brendan’s Death Song
4. Ethiopia
5. Annie Wants A Baby
6. Look Around
7. The Adventures of Rain Dance Maggie
8. Did I Let You Know
9. Goodbye Hooray
10. Happiness Loves Company
11. Police Station
12. Even You Brutus?
13. Meet Me At the Corner
14. Dance, Dance, Dance

Ed ecco il ritorno tanto atteso dei Red Hot che riattaccano la spina proprio da dove l’avevano staccata, con un nuovo tuffo nelle chart mondiali che si presenta, in realtà, come un’uscita poco appetitosa, soprattutto per l’assenza di Frusciante alle sei corde. Il funky della band, nella veste pop dell’era incominciata con Californication, è sempre lo stesso, profondamente radicato in quel linguaggio prevalentemente melodico che se da un lato non smette di trarre giovamento da una ottima capacità strumentale di tutti i componenti (per la prima volta anche da Kiedis), dall’altra risulta in questo momento stagnante, quasi tagliando un virtuale traguardo con eccessiva fatica.
In realtà un pugno di novità le possiamo anche individuare: si sperimenta di più con i ritmi in levare e la ballabilità del groove di basso, gli incroci tra ritornello cantato e strofa rappata si fanno più originali (ma interamente devoti all’orecchiabilità più assoluta), e Klinghoffer suona in maniera completamente diversa da John, regalando momenti di completo spaesamento al fan medio. La chitarra dei primi due brani, “Monarchy Of Roses” e “Factory of Faith”, ad esempio, è senz’altro molto diversa da quanto Frusciante avrebbe prodotto sui medesimi pezzi, utilizzando un sound diverso e uno strutturamento dei riff tutto suo. La qualità di questi due episodi invece è pesantemente discutibile.
Per il resto, sinceramente, poco da dire: il primo singolo, “The Adventures of Rain Dance Maggie” stilisticamente si avvicina ai peggiori brani di Stadium Arcadium, che non si ricordano certo per la loro bellezza. Il ritornello è debole, così come l’impianto stesso della canzone. Funziona come singolo, come funzioneranno praticamente tutti i brani ma è evidente che anche la spiccata vena melodica dei “peperoncini” si è esaurita qualche album fa, lasciando traccia di qualche imitazione di bassa tacca (“Ethiopia” e “Annie Wants A Baby” sono due brani molto catchy, ascoltabili, carini, ma ditemi che non avete già sentito queste cose in altri mille brani dei Red Hot!) che non farà certo ricordare questo disco per la rivoluzione del millennio. “Dance Dance Dance” dà il contentino tecnico/ballabile finale pur non stupendo, così come “Even You Brutus” ricorda i fasti pop di Californication ma con un distacco evidente provocato da un’evoluzione del pezzo sempre teso al suo ritornello, più che alla canzone intera. Aspetto che scorrendo il disco ritroveremo sostanzialmente lungo tutta la sua durata. Regalando il premio di brano più “radiofonico” dovremo scegliere la tiratissima “Look Around”, anche questa trascinata verso il basso da un sentore di “già sentito” che però si risolve con uno splendido ritornello, forse il migliore del disco. E se non vi piace, avete capito perché non state ascoltando un album rivoluzionario come la grossa promozione che si sta facendo lascerebbe intendere.

Abbiamo quattro ottimi musicisti, ancora carichi dal punto di vista tecnico e fisico (perché i Red Hot sono anche questo); abbiamo quattordici brani che assomigliano tutti a qualcosa di già fatto, o semplicemente si assomigliano troppo tra di loro per far risultare questo disco qualcosa di sconvolgente; infine, notiamo il progressivo finire della mentalità mainstream anche dei fan originali e poi convertiti al pop dei Red Hot, stancati dalle ultime deboli fatiche (By The Way e Stadium Arcadium) oppure semplicemente interessati ad altro. E’ giusto infine lamentare anche l’esaurimento semidefinitivo di una verve estetica e muscolare che gli anni iniziano a togliere loro, nonostante ancora gli si attribuisca un flusso d’erotismo derivante dalle canzoni che si fatica a spiegare con il fiacco risultato di questo I’m With You. La formula vincente dei Red Hot gli porterà sempre la giusta quantità di denaro e fama per giustificarne una meccanica riproduzione priva di evoluzioni, ma evidentemente è anche corretto lamentarsene.

Non ci fossero stati gli ultimi due dischi, lo avremo anche potuto apprezzare, ma in questo momento, e con questa sterile densità di qualità, purtroppo non ce n’era alcun bisogno.

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ETICHETTA: La Tempesta Dischi
GENERE: Alternative rock cantautorale, post-punk

TRACKLIST:
1. Regola #1
2. Ci Sarà
3. La Solita Tempesta (ft. Angela Baraldi)
4. Carmagnola #3
5. Controvento
6. Morire di Noja
7. Treno di Mezzanotte
8. Sai Dove
9. Un Crepuscolo Qualunque
10. Risoluzione Strategica #6
11. Orfani dei Cieli

Giorgio Canali è Giorgio Canali. Resterà sempre solamente Giorgio Canali, con il suo sguardo disilluso e truce su una realtà che snobba sempre più gli intellettuali e i musicisti, che si fonda sull’ignoranza del razzismo e della politica ridotta ad una continua compravendita di favori. Alla sesta prova discografica, il suo alternative rock molto diretto, canonico in quanto alla forma canzone (ricorda le prime cavalcate di Ligabue e Vasco Rossi per esempio, con linee vocali neanche troppo diverse, se non per timbrica e abilità letteraria sottostante la stesura dei testi) e praticamente sostenuto al settanta percento dalla cattiveria, sentimento che si traduce nell’irruenza strumentale dei Rossofuoco tutti, e nell’irato Canali, giunto in questo momento alla soluzione finale della bestemmia d’indignazione. Un meccanismo forse troppo forzato, più rivolto ad una facile approvazione popolare (giovane), ma la filosofia che traspare da Rojo è proprio quella di una sincera ma discontinua rassegnazione che si traduce in musica in vere e proprie filippiche. Sempre quelle a cui siamo stati abituati dagli inizi (ricordate lo sdegnato e sofferto finale di “Questa è La Fine” o l’intera “Guantanamo”?). Rock classico riaggiornato in stile italico per “Risoluzione Strategica #6” e “Carmagnola #3”, folk più spassionato, ma debole e troppo sfuggevole, in “Treno di Mezzanotte”, e acidi tentativi di rivalsa sul proprio modo di essere musicista (“Regola #1”, “Sai Dove”). Manca forse la verve di alcuni dei migliori momenti della sua discografia, in un piegamento palpabile verso una melodia che non rappresenta né una novità né un grande pregio, ma le invettive sono così fitte ed intense che si risolve tutto in una rabbia trasmessa trasversalmente dalle casse al nostro cuore, dal palco alle nostre gole. Non si osa abbastanza da dichiarare questo disco ardito, ma tutto sommato Rojo è tutto quello a cui siamo abituati a sentire dal Giorgio nazionale post-CCCP: musica “rossa” fatta con le palle, a volte banale, a volte veramente originale, ma pur sempre fatta con le palle.

La recensione, a questo punto, deve per forza finire com’è iniziata.
Giorgio Canali è Giorgio Canali.

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Sabato 10 Settembre 2011 al LIVE CLUB di Trezzo sull’Adda (MI) il più grande raduno di live club italiani. Alla presenza di un esercito di band, etichette e agenzie di booking, un evento imperdibile per il mondo indipendente italiano. Le liste complete sono riportate a questo link.
Qui sotto le band che si esibiranno:

ON STAGE – dalle 15.00 alle 19.30
THE JACKIE O’ FARM
FRAGIL VIDA
ENCODE
MICOL MARTINEZ
AIM
EVA MON AMOUR
IORI’S EYES
DENISE
HEIKE HAS THE GIGGLES
ROBERTO ANGELINI

SUL RED BULL TOUR BUS – dalle 19.30 alle 21.00
THE CYBORGS
PRIME
I COSI

ON STAGE – dalle 21.00 alle 2.00
WAINES
MUSICA PER BAMBINI
MARCO NOTARI & MADAM
ETTORE GIURADEI
NOBRAINO
EX-OTAGO
AUCAN
NON VOGLIO CHE CLARA
PERTURBAZIONE

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ETICHETTA: DFA
GENERE: Punk rock, new wave, alternative rock

TRACKLIST:
1. Sail Away
2. Miss You
3. Blue Bird
4. Come Back To Me
5. In The Grace Of Your Love
6. Never Die Again
7. Roller Coaster
8. Children
9. Can You Find A Way
10. How Deep Is Your Love?
11. It Takes Time To Be A Man

I Rapture sono una rappresentazione musicale sintomatica dei problemi della nostra contemporaneità discografica: il consumo di musica è troppo vorace, l’appagamento è istantaneo e presto spento, la produzione è veloce e sfuggevole, mentre la pubblicità rovina decine di artisti prima dell’uscita dei rispettivi dischi. Se i Rapture sono un prodotto di quella favolosa hype mediatica che li ha lanciati, preambolo di qualche buon tour e di singoli di successo che molti di voi ricorderanno (“House Of Jealous Lovers”, “Love Is All” e “Sister Saviour”), ne sono stati poco dopo una triste vittima: il baratro dell’oblìo li ha quasi colpiti tra chi non mastica dance-punk commerciale delle meno liquide, ma si sono egualmente risollevati salvandosi dal burrone della dimenticanza, indovinando qualche buon appiglio che li ha rimessi in carreggiata.
In The Grace Of Our Love è tutto questo, un manifesto della resurrezione di una band mai declinata dal punto di vista artistico (solo in quello della fama) e che nel frattempo ha esplorato in lungo e in largo il punk-funk e le connotazioni alternative più chitarristiche, sempre in salsa dance ballabile, generando comunque simpatici e temerari cloni; è il contraltare perfetto per una scena post-punk in avanzato stato di decomposizione che si è già coniugata con gli elementi classic rock che in questo nuovo lavoro i Rapture riportano alla luce, nelle sonorità quasi loureediane accentate da sommovimenti dei primi U2, dei primi Rem e forse anche di qualche pop anni ’80 figlioccio dei migliori Kraftwerk (anch’essi presenti in alcuni accenni kraut). Si ritorna anche alla dance europea più commerciale, al nuovo filone punk-funk à-la-Klaxons, a qualche sonorità più sperimentale che ricorda gli ultimi MGMT, gli Animal Collective e gli Half Japanese. Si chiuda il cerchio parlando del continuo palesarsi dei Cassius (anzi, solamente del loro Philippe Zdar) alla produzione, nel senso che ogni momento di chiara distinguibilità del loro electroclash salta subito alla mente l’esclamazione “ma sembrano proprio i Cassius!”.

Mitologia a parte, qualche volta dalle proprie ceneri si risorge per davvero. La parabola evolutiva segna questa volta un acme che difficilmente si potrà eguagliare. Ma lo dicevamo anche altre volte, e loro ci sono riusciti. Ottimo lavoro, lontano da scelte coraggiosissime ma comunque impavido nel procedere con coerenza verso una electro music addomesticata a dovere, per non uscire dai ranghi (e diventare troppo pop). For you.

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A noi la dance fa tendenzialmente cagare.
Ma se bisogna ascoltarla, almeno facciamolo con stile.

Playlist di Ronystrange pubblicata il 20/11/10 su 74:33 

1. ANNA TSUCHIYA – Ah Ah (Shinichi Osawa remix)
2. YUKSEK – Extraball
3. LIFELIKE ft. YOTA – Love Emulator (Original mix)
4. FILTHY DUKES – This Rhythm
5. AIR – Mer Du Japon (The Teenagers remix)
6. CICADA – Beautiful (Michael Gray remix)
7. STANTON WARRIORS – Blue
8. NOISIA – Seven Stitches
9. PLUMP DJS – Rocket Soul
10 .THE CRYSTAL METHOD – Vapor Trail
11. PRIMAL SCREAM feat. KATE MOSS – Some Velvet Morning
12. THE PRESETS – Talk Like That
13. ADAM FREELAND – We Want Your Soul

 

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ETICHETTA: GB Produzioni, Atracoustic, Wondermark
GENERE: Cantautorato, folk

TRACKLIST:
1. Buone Nuove
2. Noi
3. L’Alchimista
4. Riesci ad Imbrogliare il Tempo
5. Podere 41
6. Dalla Marea
7. Sinfonia di Maggio
8. Il Motore e’ L’Amore
9. Mediacrazia
10. Galleggiando in Provincia
11. Che Ne Diresti

“Gli anni del cantautorato”.
Una volta lessi questo titolo in un blog online, riferito alla scena più mainstream capeggiata da Vasco Brondi, Iosonouncane, Brunori Sas, Dente, Bugo ecc. e fui portato a fare una riflessione un po’ diversa riguardo questa categoria: il cantautorato è utile perché porta all’estremo l’importanza dei testi nella musica, se il cantautore in questione è un bravo paroliere. Il problema è che tanti non lo sono, e l’eccesso di finti autori di testi in Italia sta provocando molti problemi. Uno di questi è la scarsa attenzione che viene rivolta a scrittori più bravi (non solo a livello letterario, ma anche musicale) come Giorgio Barbarotta ed un’altra lunga serie di artisti con base soprattutto nel Meridione.
Snodo è un album liquido ma diretto, intenso, con il duplice pregio di essere attuale in maniera non banale ed essere contemporaneamente ironico (“Galleggiando in Provincia” sintetizza queste due anime del disco). In bilico tra un romanticismo folk contaminato di rock e cantautorato più classico, la commistione di genere funge da background a tematiche di denuncia che ben si intonano con uno stile polemico molto umile (“Podere 41”), originale e declinato in toni a volte poetici (“Dalla Marea), a volte più dimessi: elementi che ricordano la letteratura post-medievale, come il cantautorato di qualche decennio fa. “Il motore è l’amore” sta invece agli antipodi, a rappresentare una verve più intimista che pervade comunque tutto l’album, dosata perfettamente in maniera da non prevalere rispetto all’altra componente.

Strumentalmente il disco è suonato in maniera ineccepibile, soprattutto grazie all’ex batterista degli Estra (Nicola Ghedin). Gli arrangiamenti tengono banco a delle canzoni dall’impianto semplice ma che estremizza il concetto di “canzone all’italiana” in ballad dal gusto più American folk. L’aggiunta di hammond e altri strumenti appena ritornati di moda (il flauto traverso, ad esempio), tutti con un ruolo ben definito e utile a riempire le canzoni senza strafare, conclude il cerchio.
Un lavoro molto pregiato, convinto del suo valore pur senza sconfinare nel vanto. Modesto e up-to-date, come il cantautorato dovrebbe davvero essere. Se così lo vogliamo definire. Consigliato.

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Per mano di Indipendente, uno dei migliori festival dell’anno. E chi l’avrebbe mai detto, dopo il rischio (tra l’altro tra i fans, controllando forum ed eventi Facebook) che si ripetesse la pessima figura fatta con gli Strokes a Vigevano?
In un clima che non tutti colgono, dove la sfiducia generale verso la politica ha anche indirettamente contribuito ad un’atmosfera di insoddisfazione verso gli alti prezzi degli eventi (di cui The Webzine si vuole fare portavoce con questa iniziativa), Indipendente è riuscita a risollevare un’estate di incidenti e problematiche di ogni tipo (chi si ricorda i fan superincazzati prima del concerto dei Foo Fighters che hanno protestato per giorni e giorni le misure di sicurezza che si indicavano sul sito prima del live, avendola tra l’altro vinta?) con un festival ben organizzato, equilibrato a livello di prezzi e senza pecche evidenti che mettessero a rischio l’incolumità fisica delle persone né la buona riuscita dell’evento stesso.

Così, con circa (direi ad occhio) quindici mila persone, l’I-Day 2011, nel primo dei due giorni, è decollato facilmente, grazie ad un cast d’eccezione, con unico difetto la contestatissima assenza degli iper-attesi Vaccines. Si potevano sostituire per non perdere parte del prezzo del biglietto, dicevano alcuni, ma tutto sommato la serata è valsa tutti i quaranta euro.
Il nostro report inizia dai Wombats (saltati i sicuramente buoni Heike Has The Giggles e Morning Parade), momento in cui siamo arrivati: la band di Liverpool presenta un live carichissimo, veramente degno di nota se paragonato al numero di elementi sul palco (3), con i picchi più alti rappresentati dai due singoli più celebri (“Kill The Director” e “Let’s Dance To Joy Division”, passando anche per l’ottima “Party In A Forest”); ottima l’esecuzione anche del nuovo discutibile singolo “Jump Into The Fog”, da alcuni criticato per il cambiamento new wave/tastieristico che tutto il nuovo The Wombats Proudly Present…This Modern Glitch porta al grande pubblico, che misura una gran partecipazione del pubblico, che mai si quieterà nel resto della giornata. Il gruppo giusto per traghettare verso gli artisti principali, ma a spezzare la catena ci pensano i White Lies: la formazione londinese si presenta molto più aggraziata dei giovanissimi Wombats, ma complice qualche pecca tecnica e un sound molto più post-punk dalle tonalità cupe influenzato principalmente da Joy Division e The Chameleons i toni scendono, lasciando però immutato il coinvolgimento sempre notevole delle prime file. Migliori in scaletta i singoli del primo disco (“Death”, “Farewell To The Fairground” in apertura e “To Lose My Life”), mentre un po’ più deboli le canzoni del nuovo lavoro.

Arrivato il momento dei Kasabian, il tramonto ha quasi oscurato l’Arena Parco Nord e l’atmosfera è perfetta per accogliere una delle band più eclettiche e particolari del panorama indie rock inglese. Inizio esplosivo con l’amatissima “Club Foot”: ci vuole qualche minuto per sistemare i suoni ma poi il mix diventa perfetto e lo show decolla. In un’ora e un quarto di live l’intera carriera della band, passando per tutti i singoli (per esecuzione le migliori “Shoot The Runner”, “Empire” e “Vlad The Impaler”, per l’energia del pubblico “LSF” e “Underdog”) e anche alcune novità dal disco di prossima uscita. Impressionano la varietà dei toni (si passa da sferzate rock a momenti tipicamente indie, con ballad e cavalcate chitarristiche, ma anche a tempeste dance di grande impatto). Dopo un bis con un paio di brani (“Switchblade Smiles” e “Fire”), la band si congeda per lasciare spazio agli Arctic Monkeys, forti di uno zoccolo duro di fans venuti solo per loro (ed alcuni infatti abbandonano l’arena, come altri invece stanno arrivando solo adesso).

La band di Alex Turner sale sul palco puntualissima ed esegue uno show perfetto, al fulmicotone, sopra gli standard che alcuni live visibili su YouTube dell’ultimo anno hanno ridisegnato. I brani dei primi due dischi sono suonati in maniera impeccabile, alcuni più veloci, altri più lenti, ma sempre potentissimi. Il batterista Matt Helders sempre in grande spolvero si ricorderà nuovamente per una performance veramente sopra le righe, e lo stesso si potrà dire del frontman, di Cook e di O’Malley. “Still Take You Home”, “This House Is A Circus” e “When The Sun Goes Down”, per non citare “The View From The Afternoon” e “I Bet You Look Good On The Dancefloor”, le più coinvolgenti; “Brianstorm”, forse troppo veloce ma ugulamente trascinante, fa loro da fanalino di coda insieme all’apprezzabile “Crying Lightning” e l’ottimo orecchiabilissimo nuovo singolo “Don’t Sit Down ‘Cause I Moved Your Chair”. Zero momenti sbadigli neppure per il nuovo disco, sottotono nella versione studio, ma carichissimo dal vivo. Impressionante la risposta di pubblico, sempre molto reattivo, dal primo all’ultimo pezzo.

Un concerto che si ricorderà per parecchio tempo, dove per poco tempo si rivive quella tipica atmosfera da festival indie inglese (non dico Glastonbury, ma quasi). Invece delle solite menate metal o hard rock (Gods of Metal, Sonisphere) dovremo partire da qui per dare una nuova veste ai grandi eventi in Italia, con un target più giovane e puntando su band che sappiano anche deambulare sul palco (peccato che la giornata successiva dell’I-Day smentirà tutto ciò).
Per chi non c’era, cercate online le registrazioni eseguite da Radio RAI 2. Giornata imperdibile.

SETLIST:
ARCTIC MONKEYS
Library Pictures
Brianstorm
This House Is A Circus
Still Take You Home
Don’t Sit Down ‘Cause I Moved Your Chair
Pretty Visitors
She’s Thunderstorms
Teddy Picker
Crying Lightning
Brick By Brick
The Hellcat Spangled Shalalala
The View From the Afternoon
I Bet You Look Good On The Dancefloor
All My Own Stunts
If You Were There, Beware
Do Me A Favour
When The Sun Goes Down
(encore)
Suck It And See
Fluorescent Adolescent
505

KASABIAN
Club Foot
Where Did All The Love Go?
Days Are Forgotten
Shoot The Runner
Velociraptor!
I.D.
Thick As Thieves
Take Aim
Underdog
Empire
Fast Fuse
Pulp Fiction
Vlad The Impaler
L.S.F.
(encore)
Switchblade Smiles
Fire

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Il nuovo singolo dei DILIS

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ETICHETTA: Ato
GENERE: Folk rock

TRACKLIST:
1. Victory Dance
2. Circuital
3. The Day Is Coming
4. Wonderful (The Way I Feel)
5. Outta My System
6. Holdin’ On To Black Metal
7. First Light
8. You Wanna Freak Out
9. Slow Slow Tune
10. Movin’ Away

Circuital è il sesto anello nella discografia dei My Morning Jacket, importante tassello del mondo folk americano che già da qualche anno imperversa più on stage che nelle hit parade. Sarà che il loro sound ciabattone ma contemporaneamente rifinito e più tradizionalmente folk non è abbastanza “giovanile” da scoppiare di verve adolescenziale, ma la loro nicchia di pubblico ha tra i venti e i trent’anni, forse anche qualcosina di più. Dall’inizio della loro carriera i consensi sono cresciuti, salvo retrocedere leggermente in occasione del debole Evil Urges, ma con Circuital sembra ritornare quella potente fierezza espressiva da Neil Young meets Kings of Leon (dei primi dischi) che li ha resi celebri.
La voce sempre tiratissima del frontman anche qui fa un lavoro eccelso e la costruzione dei brani ritrova quell’alto profilo che li ha consacrati come folk pop band eccezionale, fresca e con un animo vintage che non manca di essere a passo coi tempi (visto che si vive di revival): lo confermano “Victory Dance” e “First Light”, mentre sferzate latine si registrano in “You Wanna Freak Out” e “Holdin’ On To Black Metal”.
Nessuna canzone rappresenta una rottura, e nessun pezzo può senz’altro essere descritto come originale: perfezionare il songwriting nella direzione di un’imprevedibilità che tagli i ponti col passato potrebbe giovare, ma lamentarsi è inutile poiché questo disco è comunque una grande prova di forza che dimostra tutta la maturità di una band cresciuta a pane e Springsteen.

Strano a dirsi, ma al sesto non ci hanno ancora deluso, per cui aspettiamo anche il settimo.

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ETICHETTA: Pompeii
GENERE: Pop, folk

TRACKLIST:
1. A Candle’s Fire
2. Santa Fe
3. East Harlem
4. Goshen
5. Payne’s Bay
6. The Rip Tide
7. Vagabond
8. The Peacock
9. Port of Call

Dalla capitale del Libano sempre buone notizie: anche il terzo disco avrà il suo posto nell’olimpo dell’indie. Il suono tipicamente pop folk della formazione capeggiata da Zachary Francis Condon, dopo tre dischi in cui la parabola evolutiva sembrava destinata a crescere incontrastata, segna la prima vera battuta d’arresto, anestetizzando le derive sperimentali per fare un passo indietro e scandagliare più in profondità quelle interessanti mescolanze tra pop scandinavo e folk balcanico che già avevamo conosciuto soprattutto nel secondo lavoro, The Flying Club Cup. Questo lo rende, a suo modo, una nuova chicca nel panorama pop del duemilaundici, giacché pochi dischi possono vantare una qualità compositiva analoga.
Nel dettaglio l’album si fregia della dolcezza acustica (“Goshen”), di un’elettronica melodica, blanda ma ben strutturata (“Santa Fe”) e delle più dirette sonorità Beirut che riconosciamo dal primo ascolto (“A Candle’s Fire”, “The Peacock”, “Port of Call”). Tutto sommato si riconosce nei nove brani di The Rip Tide una certa maturità nel costruire musica pop, dove la melodia serve anche ad accattivare il nuovo pubblico (forse per la prima volta nella loro discografia). Crescendo e climax molto acuti sembrano quasi sempre mancare, ma le dinamiche e il mix di suoni utilizzato rendono giustizia ad ogni singolo secondo del disco, contribuendo alla varietà dei brani (le sonorità comunque facilmente accostabili tra loro di “East Harlem” e “Vagabond” vengono omogeneizzate proprio dal sound scelto per i vari strumenti). Ad essere pignoli un minimo di innovazione in più si poteva anche richiedere da uno come Condon, però gli si giustifica tutto: dopotutto sono i Beirut e nel 2011 è uscito poco di meglio.

Ottimo tentativo di rimanere in piedi. Tentativo perfettamente riuscito.

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5 aree per 48 ore di musica gratuita e non stop!
Piazza Vittorio Veneto per il terzo anno si riconferma la piazza
torinese della musica giovane, libera, gratuita.

_RESETFESTIVAL VOL.3

ANIMALI DA PALCO
venerdì 9 e sabato 10 settembre 2011
dalle ore 17:00 alle ore 24:00
Piazza Vittorio Veneto, Torino

PRIMA MARCIA DELLE CHITARRE NAZIONALE
sabato 10 settembre 2011
ritrovo in Piazza Statuto, Torino alle 17:00
Percorso: Piazza Statuto – Piazza Vittorio (Torino)

Torna Reset Festival giunto alla terza edizione, con lo stesso spirito
che lo ha portato a
divenire un appuntamento fisso per continuare a scommettere sulla
musica emergente
torinese. Da anni lo staff del Reset Festival si occupa e “preoccupa”
di affiancare il
percorso artistico dei giovani talenti e delle nuove realtà musicali
torinesi: non a
caso, i ragazzi dello staff vengono spesso presentati come I nuovi
“angeli custodi” dei
musicisti esordienti.

Info: Mario press@reset.to.it
Associazione Verve
www.resetfestival.it
info@reset.to.it

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ETICHETTA: Fosbury Records
GENERE: Pop, elettronica

TRACKLIST:
1. Y (feat. Pacifico)
2. Il Buio (feat. Sara Mazo)
3. Cuoricino
4. Cohen
5. Lo Squalozecca (ft. Federico Fiumani)
6. Io Accuso
7. Brainstormo (ft. Sara Mazo)
8. E.M.I.
9. Il Nuovo Me (feat. Max Collini)
10. Close
11. 54G
12. La Città

Siamo arrivati alla svolta, dopo Mondo/Madre per N.A.N.O., ovvero Emanuele Lapiana, già noto per i C|O|D, che esce nel duemilaundici con un disco incendiario, con un titolo devoto alla nuova leva cantautorale: I Racconti dell’Amore Malvagio. Un lavoro personalissimo, e per questo maturo e assolutamente incandescente, pieno di quegli accenni autoreferenziali molto cupi che sempre abbiamo riconosciuti nei progetti in cui N.A.N.O. (prima e dopo questo nome) è comparso.
Imprescindibile la maniera in cui su dodici tracce di lunghezza piuttosto omogenea vengono fusi un lirismo assolutamente dark, l’elettronica dalle tonalità pop che si alimenta soprattutto degli intensissimi testi e una virulenza emotiva che suscita tremori quasi post-punk. Il contesto di base rimane quella new wave molto cara anche al più illuminato degli ospiti (il disco ne fa una vera infornata, tra Pacifico, Sara Mazo e Max Collini), ovvero Federico Fiumani, che con le sue urla straziate grida tutta la sua rabbia (e quella di Lapiana) in “Lo Squalozecca”, uno dei brani più interessanti ed intriganti del disco. In realtà la quiete iniziale, con l’esplosione centrale e un intorpidimento progressivo verso il finale sembrano quasi indicare una gradualità nei toni e nei modi, con una tracklist quindi particolarmente studiata per avere certi effetti. L’elettronica soffusa, però curatissima, di Franco Battiato e gli Offlaga Disco Pax sembra albergare in molti dei brani meno aggressivi, i quali invece si cimentano in dure filippiche noise. Mancano contenuti politici, i quali sono addirittura scansati (vedasi la critica al ’68), per dimostrare come il “fare musica per una generazione”, nell’epoca dei social network, significhi scomparire poco dopo sotto il peso dei cinguettii o dei “mi piace”, mentre l’arte, quella vera, rimane anche dopo l’autore. E sembra che N.A.N.O. miri a questo.

Tra malinconia e rabbia, uno sfogo che non passerà inosservato in questo scarno duemilaundici musicale. Straconsigliato.

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Partito in giugno dall’ HANABI di Marina di Ravenna con la presentazione del nuovo singolo Dear Fear, continua anche in questo settembre con date infuocate, la prima delle quali e’ sicuramente quella dell’I-DAYFestival di Bologna, che dal 1999 porta in terra emiliana i migliori nomi della musica alternativa. Sono passati su questo palco Offsprings, Blink 182, Deftones, Mr. Bungle, Coldplay, Mogwai, Eels, Sick of it all, NOFX, Sonic Youth, Nine inch nails, Arcade Fire, Editors, QOTSA e molti altri… Gli HHTG saranno nella serata di apertura con Arctic Monkeys (headliner della serata) per la loro unica data italiana in cui presenteranno il nuovo album ed i Kasabian, vecchia conoscenza degli ambienti indie (anche loro presenteranno alcuni brani del nuovo album).
La band ravennate ricomincia il primo di settembre all’idroscalo di Milano alla Magnolia Parade a dividere il palco con Rolo Tomassi. Come già anticipato, il 3 di settembre saranno di fronte al grande pubblico del main event punkrock in Italia, I-DAY Festival di Bologna.
Potrebbe bastare ma gli HHTG non si fermano e, dopo un’altro “passaggio a nord-est” all’Home festival di Treviso, saranno al Popkomm di Berlino con un doppio set. Poi rientro con un’altra puntata in terra milanese il 10 settembre con il Keep On Festival a Trezzo d’Adda ed a fine settembre chiuderanno con la premiazione a Faenza al Teatro Masini come miglior live 2011.
Per ottobre e novembre sono previste altre novità, italiane ma soprattutto estere, stay tuned!

Prossimi concerti :
01/09 : MILANO – Magnolia Parade (Collinetta Stage by Bloom)
03/09 : BOLOGNA – I-Day Festival (w/ Arctic Monkeys, Kasabian, White Lies, etc)
04/09 : TREVISO – Home Festival
07/09 : BERLIN (D) – Popkomm
10/09 : TREZZO D’ADDA (MI) – Keep On festival @ Live Club
23/09 : FAENZA (RA) – Tetaro Masini (premio Supersound – miglior live 2011)
31/10 : RIMINI – Velvet Rock Club (w/ Messerchups)
24/11 : LONDRA (UK) – 93 Feet East
03/12 : LEGNANO (MI) – Circolone
10/12 : QUERO (BL) – Plettro Alternative Sound

Web:
www.foolica.com // www.estragonlab.it // www.heikehasthegiggles.com

Foto:
http://files.foolica.com/ftp/images/HHTG/2011/heike_UN1.jpg (©2011 Umberto Nicoletti)
http://files.foolica.com/ftp/images/HHTG/2011/heike_UN2.jpg (©2011 Umberto Nicoletti)
http://files.foolica.com/ftp/images/HHTG/2011/heike_UN3.jpg (©2011 Umberto Nicoletti)
http://files.foolica.com/ftp/images/HHTG/2011/heike_UN4.jpg (©2011 Umberto Nicoletti)
http://files.foolica.com/ftp/images/HHTG/2011/heike_UN5.jpg (©2011 Umberto Nicoletti)

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The Webzine Suggests #16

Il nostro, e soprattutto il vostro, settembre.

giovedì 01 – AUCAN live @ REVOLUTION FESTIVAL, Padova
giovedì 01 – BANDA BASSOTTI live @ ESTRAGON, Bologna
giovedì 01 – CASINO ROYALE, BUD SPENCER BLUES EXPLOSION, SKARDY & FAHRENHEIT 451 e NON VOGLIO CHE CLARA live @ HOME FESTIVAL, Treviso
venerdì 02 – GIULIANO PALMA & THE BLUEBEATERS, MELLOW MOOD, SKA-J, IL GENIO e CAPTAIN MANTELL live @ HOME FESTIVAL, Treviso
venerdì 02 – TRE ALLEGRI RAGAZZI MORTI live @ CASA DEL POPOLO, Pordenone
venerdì 02 – VELVET live @ SUMMER ROCK 2011, Creazzo (VI)
sabato 03 – GEMBOY live @ ESTRAGON, Bologna
sabato 03 – ARCTIC MONKEYS, KASABIAN, WHITE LIES, THE WOMBATS, HEIKE HAS THE GIGGLES live @ I-DAY 2011, Bologna
sabato 03 – FRANCESCO GUCCINI live @ VILLA MANIN, Codroipo (UD)
sabato 03 – YELLOWCARD live @ ROCK PLANET, Pinarella di Cervia (RA)
sabato 03 – VERDENA, MINISTRI, LA FAME DI CAMILLA, THE PANICLES, PHINX e CALIFFO DE LUXE live @ HOME FESTIVAL, Treviso
sabato 03 – LE LUCI DELLA CENTRALE ELETTRICA live @ TEATRO ROMANO, Verona
sabato 03 – LOMBROSO live @ PUNKARRE’, Carré (VI)
domenica 04 – THE OFFSPRING, SIMPLE PLAN, NO USE FOR A NAME e TAKING BACK SUNDAY live @ I-DAY 2011, Bologna
domenica 04 – RIAFFIORA live @ JADORE, Cittadella (PD)
domenica 04 – SUBSONICA, HEIKE HAS THE GIGGLES, AUCAN e HARDCORE TAMBURO live @ HOME FESTIVAL, Treviso
martedì 06 – MODENA CITY RAMBLERS live @ ESTRAGON, Bologna
mercoledì 07 – MASSIMO VOLUME e BACHI DA PIETRA live @ ESTRAGON, Bologna
mercoledì 07 – SKA-J live @ REVOLUTION FESTIVAL, Padova
venerdì 09 – DOCTOR & THE MEDICS live @ ESTRAGON, Bologna
sabato 10 – GIOVANNI LINDO FERRETTI live @ ESTRAGON, Bologna
sabato 10 – MINISTRI live @ SOT A LA ZOPA, Transacqua (TN)
domenica 11 – GLI ATROCI live @ ESTRAGON, Bologna
mercoledì 14 – CASINO ROYALE live @ ESTRAGON, Bologna
mercoledì 14 – MINISTRI live @ FESTA DEMOCRATICA, Ponte Alto Modena (MO)

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