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Archive for the ‘ETICHETTA: Black Nutria’ Category

Primo numero di microreviews. Per qualche giorno pubblicheremo corte recensioni di nuovi dischi, tutte scritte da Emanuele Brizzante.
Buona lettura.

TONY LA MUERTE – DIMONIOCOLOMBO
Black Nutria Label
Folk

Tony La Muerte è un progetto singolare, anche in senso letterale (è una one-man band). Dimoniocolombo è pregno di quel folk rock dalla carica rivoluzionaria tipicamente punk di band come i Gogol Bordello o gli Ska-P; è un allucinante viaggio nella musica fatta per divertire e divertirsi, completo e sgraziato a causa di tutte quelle pazze ballad schitarrate e piene di incazzatura molesta che hanno reso grandi altri, e che renderanno grande anche lui. “Tramontana” e “John”, brevi e schizofreniche, disegnano il ritmo del disco. L’atmosfera la dà invece “Ho Finito il Sudoku”, sulla quale spicca anche la qualità tecnica del musicista.
Fari puntati su questo progetto.

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ETICHETTA: Black Nutria Independent Label
GENERE: Indie rock, noise rock, alternative rock

TRACKLIST:
1. Consequences
2. Rust
3. Dismembered
4. Sailing Away
5. U.T.W.
6. The Last Man
7. Ignorance
8. Guilty

Black Nutria. Polar For The Masses. Silence.
E silenzio sia in quel di Vicenza per una delle band più celebri del panorama veneto che arriva, con questo Silence, a dare alle stampe il terzo disco, dopo due ottimi lavori: “Blended” e, retrocedendo, “Let Be Me Here”. Si arriva così ad una piccola perla di indie rock dagli influssi fortemente nineties, che attesta la buona salute della scena da cui provengono, promossi da un’etichetta fortemente devota a quest’ultima, soprattutto per un legame territoriale che è piuttosto evidente nella scelta delle band.

L’equazione [indie + punk (molto blando e melodico) + testi in inglese + sound vagamente garage + noise anni novanta] sembra, non solo matematicamente, funzionare. Sulla carta rende questo disco un gioiellino di vaghissima musica rock come tanti, cioè un buon lavoro all’interno di un percorso che stanno battendo un po’ troppe persone. Ideologicamente parlando, una scelta poco convincente. Ma è sul campo, nei loro live, nei ripetuti ascolti del disco sparato a massimo volume che si capisce la sua vera anima rock, un disco puramente rock dove finalmente vengono soppressi quei synth new wave che sporcano tutta la musica indipendente degli ultimi anni, con un sound che si spoglia di tutte le possibili levigature e si presenta sporco come le migliori band statunitensi del settore. E’ la varietà che dimostra a saturare il nostro udito per bene, appagandolo gradualmente con sensazioni ed emozioni sempre diverse, ad esempio quando parte il groove vagamente electro di “U.T.W.”, o nelle linee vocali del ritornello di “Consequences” che sembrano prima un plagio di “I Was Made For Loving You”, ma poi si rivelano una buona trovata al limite dell’orecchiabilità che regala a questo pezzo il titolo di brano più radiofonico.
L’anima del disco è comunque ruvida, graffiante, se vogliamo tagliente, affidando alle chitarre e al basso quasi sempre distorto il compito di abradere, quasi raschiare, la superficie molto piatta che la batteria contribuisce a creare, con ritmi sempre molto semplici, precisi e diretti. Piano contro forte, oppure, semplicemente, compartecipazione, compenetrazione. E’ evidente anche la matrice noise di alcune sezioni che sembrano “troppo lunghe” (es. il finale della già citata “U.T.W.”), ma che svelano la presenza, nel range delle ispirazioni, dei migliori momenti dei Sonic Youth. Tutto ciò è ampiamente ripulito grazie alla presenza di un sound temperato e mite, di stampo britannico, in brani molto carichi ed aggressivi come “The Last Man”, canzone della quale si ricordano soprattutto la melodia vocale, molto easy-to-remember, i forti inserimenti chitarristici, e la batteria tipicamente rock’n’roll.

I pregi di questo disco sono senz’altro un’esterofilia ridotta ai minimi termini nonostante le influenze vengano tutte da lì e i testi siano in inglese, e l’estrema ed efficace personalizzazione di un genere che sta diventando troppo seguito per meritarsi ancora di essere appannaggio di tutti. Com’è possibile quindi che due possibili difetti diventino motivo di gloria per un disco?
Molto semplice, i Polar for the Masses ci sanno fare e miscelano lo straniero al nostrano inserendo nel frullatore il proprio background musicale insieme ad un personale gusto che notiamo essere tipicamente veneto. No, non parliamo di inflessioni dialettali nella voce, perché l’inglese in alcuni tratti è dannatamente perfetto, ma di quell’attitudine rock’n’roll che la (nostra) scena veneta sta ormai facendo proprio, esattamente come la band.
Un disco essenziale per capire lo status dell’underground in questa regione e, più in generale, in Italia. Procuratevelo (anzi, ascoltatelo nell’anteprima qui sotto, finché c’è!).

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