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Archive for the ‘ARTISTA: Bloc Party’ Category

ETICHETTA: Frenchkiss
GENERE: Alternative rock

TRACKLIST:
So He Begins to Lie
3×3
Octopus
Real Talk
Kettling
Day Four
Coliseum
V.A.L.I.S.
Team A
Truth
The Healing
We Are Not Good People
Mean
Left Skeleton

Esiste una sindrome non scientificamente riconosciuta che si aggira tetra tra gli ascoltatori di musica mainstream: l’ansia da cambiamento. Ne esiste un’altra, diametralmente opposta, l’applauso cieco al cambiamento. Si parla, in sostanza, di cambio di direzione, quel salto improvviso di una band da un linguaggio all’altro che viene talvolta additato al pubblico ludibrio, altre volte osannato senza discernimento. Cercando di giudicare con estrema sincerità, pur partendo da un presupposto di apprezzamento più che onesto dei primi due dischi (saltando la mezza catastrofe para-elettronica che fu Intimacy), si giunge facilmente a separare la bellezza di alcune parti di questo disco dalla sua qualità di “nuovo” nella discografia dei londinesi. L’indie rock degli esordi, una fraseologia per certi versi ormai classica, in particolare, nella scena britannica, permea solo alcuni passaggi delle dodici (quattordici comprese le due bonus track) canzoni di questo Four, con riferimento alla loro tradizionale chitarra soft punk e ad alcune scelte di batteria (e il momento principale a ricollegarli al loro passato è il primo singolo estratto “Octopus”, che è anche il brano migliore del disco). Per il resto Kele Okereke e soci intraprendono un percorso di scoperta verso codici più propriamente punk, con inserti grunge, un lessico più generalmente hard rock e una produzione, se vogliamo, più piena e “grossa”. Il sound non differisce molto da quello di prima, ma un senso generale di suono iperpompato si sente nella potente “So He Begins to Lie” iniziale e in “Kettling”, che ricorda band alt-pop come i My Chemical Romance e i Fall Out Boy, voce, naturalmente, esclusa. In “Real Talk” ci si avvicina a scelte funk ma senza lo stile dei Red Hot dei bei tempi, producendo quindi un pezzo che scorre piuttosto insipido, così come “Coliseum”, un salto negli anni settanta senza troppo stile con un riff quasi metal che si è sentito in decine di altre canzoni, ma che si apprezza possibilmente al primo ascolto per la diversità da tutto ciò che mai è stato fatto dai Bloc Party (basta ascoltare il bizzarro screaming finale). “3×3” è la consacrazione della volontà inespressa di elevarsi a band da stadio, ma il risultato è commercialmente solo parziale. In sintesi, nessun anthem come ne ricordiamo in Silent Alarm o A Weekend In The City.

La prima sensazione che si avverte all’ascolto di questo disco, senz’altro ben suonato (vedasi un Matt Thong come sempre originalissimo dietro le pelli), è che manchi di una direzione ben precisa. Tante le strade esplorate, ma senza addentrarsi mai a fondo in nessuna. L’amaro in bocca è lasciato in particolare dalla mancanza di presa delle canzoni. Timbro vocale a parte, nessuno si è mai azzardato (a ragione) a giudicare i Bloc Party una band originale, ma è risultata sempre fondamentale in contesto indie/alternative per la bellezza quantomeno radiofonica di molti brani, vezzo che in questo disco non ricompare, pur senza una svolta intellettuale. L’impressione, dunque, è che si sia voluto fare una scelta di cambiamento ammiccante senza riuscirci. Tolto questo velo polemico, lo si ascolta facilmente, forse troppo, in particolare in virtù del dubbio, fortunatamente sventato, che le derive dance/electro di Kele Okereke (qualcuno ricorda Tenderoni?) non portassero nel baratro anche i suoi BP. E speriamo quindi in un Five, se esisterà, più convinto e convincente del predecessore.

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