ETICHETTA: Autoprodotto
GENERE: Elettronica, indietronica
TRACKLIST:
1. Fill Every Corner
2. Nuclear Sand
3. Magnets
4. Law
Non è che individuando un filo conduttore semantico nei titoli delle canzoni si risolva tutto, però devo ammettere che, senza nemmeno rifletterci tanto, ascoltando il disco e poi leggendo il retro del CD, ho avuto, per un momento, questa impressione. E poi un nuovo ascolto, e l’impressione ha iniziato a svanire, mentre divampava il calore new wave da una Verona dove il genere è quasi inedito, soffocato dall’onda metallara che fatica a spegnersi (e dal poco interesse dei locali). Antenna Trash è un progetto molto interessante, che già visivamente, per l’artwork, richiama i bei momenti della carriera dei Joy Division; ma, una volta analizzate le quattro tracce, dischiude un mondo infinito di possibilità interpretative che neanche la Divina Commedia. Nel senso che i riferimenti sono molti e il songwriting della band è senz’altro abbastanza complesso e maturo da non lasciar adito a dubbi circa la preparazione storico-musicale, strumentale e forse anche letteraria della band.
Le atmosfere, dense di anni ottanta e derivati, almeno nell’elettronica moderna (vedi glitch, hop, indietronica), pullulano di costanti “electro” come pochi artisti della scena internazionale hanno saputo fare; motivi fortemente devoti ad una causa dance che ricordano i disturbi dei Justice quando sono più orecchiabili, i The Glitch Mob nei momenti di incontenibile soffocamento industriale (“Nuclear Sand”), anche un po’ post-punk nel modus operandi, nel comporre un pezzo e nel dargli sostanza e credibilità. La tendenza a rumori e suoni che catapultano il tutto in un universo più noise, e quindi più moderno, come in “Magnets”, svolge la funzione catalizzatrice più importante per l’espressione “di genere” di Ded Comes For Ded, come dire che il ponte tra passato e presente è rappresentato da inserimenti elettronici che desumono dal groove ballabile un contesto più ampio di ricerca del suono. Non è una frase astrusa come può sembrare, il succo è tutto lì, la cura negli arrangiamenti e nella scelta del sound, così come si palesa man mano che si ripete l’ascolto del breve disco una forzata strizzata d’occhio alle tre decadi passate come biglietto d’ingresso per tracciare le regole per il futuro della musica elettronica, perlomeno in ambito europeo: italiani o non italiani, potrebbero anche sfondare all’estero, se solo qualcuno prendesse in mano l’idea di esportarli.
Una band assolutamente geniale, nel modo di presentarsi, nella loro opposizione all’acerbo manierismo di certa elettronica imbizzarrita e priva di stimoli che si frappone tra tutto ciò che di serio ancora esce dalla nostra penisola; l’exploit positivo di questi ragazzi veneti potrà senz’altro fungere da sprone o da leva d’avviamento per altre approfondite esplorazioni dell’universo tutto moderno della indietronica più studiata, tranquilla nelle pose ma intensamente nebulosa nel processo di costruzione che nasconde. Grandissima prova, davvero.