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Archive for the ‘ETICHETTA: Domus Vega’ Category

Dopo Serj Tankian un’altra doppia recensione per i lettori di The Webzine. La recensione numero 1, di Marco Bergami, è tratta da Metallized e gentilmente concessa dall’autore per The Webzine. La seconda è mia e la scrissi nel 2010 per il mio vecchio blog Good Times Bad Times.

ETICHETTA: Domus Vega
GENERE: Alternative prog rock

TRACKLIST:
1. Ondanomala
2. La Prova del Vuoto
3. Nel Mezzo
4. Sfere
5. Sinestesia
6. Dal Rosso Al Blu
7. Opus
8. Magnum Opus
9. Dal Nero Al Bianco

Recensione n° 1 – a cura di Marco Bergami

… guardo intorno fra milioni di variabili
e riconosco la stessa sostanza – ENERGIA
nel propagarsi di onde di scambio
che confondo nel SuonoColore
e in simultanea percezione
comprendo le trasposizioni
nella simbolica universale
l’interagire delle cose
in comuni vibrazioni
sempre più alte
sinestesi in aumento …

Queste alcune delle parole racchiuse nella quinta traccia, Sinestesia; non potevo rubare parole migliori per definire
sinteticamente il vigore e la complessità che lascia filtrare l’ascolto di Nel Mezzo.
Primo full-lenght per i Mano-Vega, band del basso Lazio dotata di elevato talento, capace di fondere la complessità
strutturale del progressive-rock con la massività di una profonda filopoesia concettuale.

Rabbiosi nei confronti di un sistema opprimente, Nel Mezzo contrappone una forte disamina sulla claustrofobicità di una
vetusta dottrina legata ai fondamenti di Materia-Lavoro-Famiglia, lasciando respiro e speranza grazie al profondo ed
intimo idealismo di libertà ed umiltà nell’affrontare la vita.

Un platter dinamico, spesso dissonante, intelligentemente articolato tra vaste e morbide ambientazioni sull’orlo della
psichedelia, eleganti passaggi costruiti grazie all’aiuto di synth, handsonic e programmazioni, squarciando le spirituali
ricostruzioni con irrequiete scodate prog-rock, il tutto legato da un’adeguatissimo canto-parlato.

Un Valerio D’Anna straordinario, ideatore e produttore di se stesso, abile musicista che è riuscito ad azzeccare
perfettamente la formula Mano-Vega proprio grazie al particolare espressività dello strumento voce, utilizzato per
recitare e non per cantare, che orna accuratamente la compessità del sound, evitando intelligentemente una probabile
saturazione di suoni.

Sto ascoltando Nel Mezzo da quasi 2 mesi perchè ho subito intuito il valore aggiunto contenuto al suo interno e non mi
sarei mai permesso di criticare frettolosamente un platter così prezioso.
Lo volevo fare mio, lo volevo assaporare fino alle viscere per capirne la vera essenza, studiarlo cercando di viaggiare
parallelamente agli esecutori, succhiando ogni sfumatura possibile per poter esprimere un giudizio depurato degli
entusiasmi dei primi passaggi.

Dopo decine di ascolti, l’interesse nei confronti di Nel Mezzo non accenna a calare; la vasta articolazione tangente a tanti
mondi trasforma la mia attrazione in puro magnetismo denso di curiosità; un platter privo di noia che mette sullo stesso
piano d’importanza tutte le tracce presenti, in quanto in ognuna di esse non emerge una struttura portante che porta ad
una precisa identificazione della traccia, ma tutto sembra mutare e cambiare ascolto dopo ascolto.
I Mano-Vega non sono un concertato di novità, il prog-rock veleggia su di noi da più di 30 anni ma il combo Frusinate vi
farà provare una piacevolissima sensazione di freschezza, troverete ossigeno per i vostri polmoni e se fossi un potente
discografico non esiterei un secondo nell’investire tutto quello in mio possesso per sostenere una band di questo calibro.

Che termine usare per definirli utlizzando una sola parola? … geniali.
Recensione n° 2 – a cura di Emanuele Brizzante 

I Mano-Vega sono l’ennesimo capitolo della storia progressive italiana. Siamo arrivati nel 2010 e questa scena non smette di proliferare, anche se, ovviamente, le particolarità e le caratteristiche originali continuano a diminuire, scusatemi il gioco di parole, progressivamente. Piano però, qui non si parla di prog storico influenzato dai magnifici seventies del nostro paese, ma di un prodotto che guarda con occhio piuttosto malizioso agli USA e al prog metal più moderno ed elettronico. In questo genere, tanto di cappello a chi riesce a non essere pallosamente ridondante, ma quando si parla di questo, nel duemiladieci vengono per forza in mente i DreamTheater, band che, è risaputo, sta veramente scoppiando nella continua ricerca di ghirlande e ghirlandine per abbellire un pacchetto ormai squarciato dagli anni. I Mano-Vega, per fortuna, non sono tra quelle band e producono un disco simpatico, nel senso che i fan del prog (più metal che rock, ma anche rock) potranno ascoltarlo e gradirlo senza troppi problemi, soprattutto se non hanno pretese.
Funzionano gli arrangiamenti, i modi in cui si dimostra con palese indifferenza un’abilità tecnica ottima in tutti gli strumenti, le scelte nei suoni (quasi tutte) e nei titoli, talvolta criptici, altre volte abbastanza terra terra da allontanare ogni simbolo retorico (invece chiaramente richiamato in “Sinestesia”) che nella loro musica (e siamo alla lista delle cose che Non Funzionano) abbondano, vuoi perchè quando il prog lo vuoi fare ma ascolti troppo le band più moderne ti perdi, vuoi perchè non è cosa da tutti. Sia chiaro, questo disco non è scadente, né banale, anzi contiene degli sprazzi d’ingegno notevoli ed evidenzia un songwriting mai acerbo che questi ragazzi, così talentuosi, sono riusciti a convogliare in nove bellissime tracce. L’attenzione critica è da porre più che altro nella direzione di un’imitazione che qualche volta sconfina nel tributo, vedasi i riferimenti a band come Tool e Porcupine Tree (e perfino la copertina ce li ricorda), abbassando di poco il livello medio di tutto il lavoro. La forte presenza di elettronica richiama alla nostra mente anche alcune sferzate di Trent Reznor, non solo quello dei Nine Inch Nails più celebri ma anche quello del periodo pro-internet che l’ha visto pubblicare la quadrupla release Ghosts, acclamata solo da chi ne capiva davvero qualcosa di quello che lui aveva intenzione di fare. Non diteci che ai Mano-Vega Reznor non piace. Ottimo, in ogni punto, il dosaggio delle componenti elettriche e quelle, invece, elettroniche, con effetti e sintetizzatori, coadiuvati anche da programmazioni, che spuntano improvvisamente senza mai esagerare. Grande presenza anche del theremin, uno strumento difficile da usare ma che viene inserito qui e là tentando di non cadere nel burrone della sovrabbondanza, dal quale ci si salva per poco.

La band compone, in sintesi, un disco fragile ma ricco di spunti, citazioni, riflessioni e segni di un’intelligenza e una maturità artistica che si possono soltanto definire notevoli. Essere già una band “svezzata” al proprio debutto non è cosa da tutti, ma, come dichiarano all’interno del packaging di Nel Mezzo, questo lavoro è stato composto in sei anni. Se è vero, sono troppi. Se non è vero, spiegateci perchè.
Fatto sta che a noi è piaciuto abbastanza. 

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