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Archive for the ‘ARTISTA: Max Pezzali’ Category

RECENSIONE A CURA DI EMANUELE BRIZZANTE

Potremo riassumere questa recensione in poche parole: Max Pezzali, la storia della musica pop italiana, idolo delle folle, che si conferma tale in una calda serata di maggio in quel di Padova. Uno dei personaggi più amati di sempre della scena musicale nostrana giunge al Gran Teatro Geox, atteso da qualche migliaio di persone delle più svariate estrazioni (gente di ogni età, ma in particolare nella fetta 20-30, seppur non manchino adulti e bambini), con l’ultima tappa della prima tranche del Terraferma Tour 2011, finora abbastanza fortunato e che, di per sé, merita tutti i bagni di pubblico che ha avuto e che anche questa data ha portato ai suoi occhi.
Troviamo quindi nel palazzetto con il parcheggio più caro del Veneto, un Pezzali in grande spolvero, più intonato del solito, un po’ stanco forse di ripetere la stessa scaletta in ogni data (mica lo sceglie il pubblico però, o sbaglio?), con anche le stesse frasi nel presentare i brani, che riesce comunque ad infondere il suo ormai proverbiale buonumore che traspare da ogni suo brano dell’epoca migliore, gli anni novanta. Anni novanta che questa sera rivivono dalle note dei più celebri successi, “Hanno Ucciso L’Uomo Ragno”, “Come Mai” e “Nord Sud Ovest Est” tra le più amate, ma non disdegnando neppure le chicche come “Con Un Deca” e “Rotta x Casa di Dio”, che come il resto del concerto sono sommerse da un accompagnamento corale di un pubblico calorosissimo. Oltre a tutti i singoli, riarrangiati dalla band che Max si porta dietro in questo tour (composta, tra gli altri, da Megahertz, stravagante tastierista padovano, e Sergio dei Bluvertigo) in maniera piuttosto carica (oserei dire rock), anche il periodo post-883, che si ricorda principalmente per “Lo Strano Percorso” e “Il Mondo Insieme a Te”, forse i suoi due migliori pezzi del decennio 2000-2010. Per iniziare la decade successiva invece abbiamo Terraferma, album sempre molto scarico rispetto alla vecchia tradizione 883 ma che conferma comunque un talentuoso Pezzali nella stesura di testi che ormai vagheggiano abbastanza spesso tra l’amore e le classiche tematiche del tempo che passa o della gioventù (argomenti che solo “Gli Anni” e “La Regola dell’Amico” possono parlare con una coerenza storica e culturale contestualizzati nel periodo in cui uscirono).
Le migliori tra quelle inserite in scaletta, da questo nuovo lavoro post-sanremese, senz’altro “Ogni Estate C’è” e “Il Mio Secondo Tempo”. Una punta di critica si potrebbe azzardare per la scelta di unire in medley acustici alcuni dei migliori brani mai scritti dal pavese, ovvero “Nient’Altro Che Noi” e “Io Ci Sarò”, facendone solo una porzione, lasciando invece intera la decente ma noiosa title-track dell’ultimo lavoro Terraferma. Scelte condivisibili in un tour di presentazione di un album, che speriamo non si ripetano nella prevedibile (e sperata) tournée autunno/inverno.

Di Max Pezzali non stupisce più il riconoscibilissimo timbro della voce, né la timidezza che ne rende tanto impacciati quanto simpatici gli interventi. Non stupiscono i brani storici che tutti conoscono a memoria (ci fosse stata una sola persona a non cantarli quella sera a Padova), né gli ottimi musicisti che lo accompagnano. Stupisce, anzi sbalordisce, il segno che è riuscito a lasciare in uno stuolo di fans incredibilmente fedele che dopo vent’anni di carriera non accenna a smettere di seguirlo, unendo persone di diversa provenienza sociale e di diversa età, attraversando affezionati di ogni genere musicale, tutti ugualmente felici di poter gridare “sciallallà” o “sei un mito”, frase che questo concerto non può far altro che confermare riferita al vero mito degli anni ‘90, come molti cartelloni indicano tra il pubblico. Non serve ripeterne il nome, ne abbiamo parlato finora. Gran concerto, veramente.

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I diritti dei video sono di LY89FRA e MTQ91

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ARTICOLO A CURA DI ALESSIA RADOVIC, già pubblicato anche su GOOD TIMES BAD TIMES

Ore 21.15 circa. Mi guardo intorno e al Gran Teatro Geox vedo persone di ogni tipo: adolescenti, genitori con figli, coppie giunte al loro secondo tempo (cit.), ventenni, trentenni, quarantenni e anche qualche fan “del metallo”.
Quando le luci si spengono e lui entra il boato è fortissimo, pari a quello che si potrebbe sentire trovandosi davanti ad una rockstar. Volete sapere chi è lui? Ve lo dico subito: Max Pezzali. Alcuni di voi storceranno il muso, altri sorrideranno sornioni. Coloro che sorridono sanno che, volente o nolente, Max Pezzali,  in particolare nella figura di leader degli 883, fa parte della storia della musica italiana.
Tornando al concerto, si poteva pensare ad un inizio col botto e invece s’inizia col brano che dà il titolo all’ultima opera (che ci sembra più piacevole della precedente) di Max, “Terraferma”. Segue “Credi” e zio Max consiglia ai giovani di non credere a chi dice loro di non saper “correre, vivere, scegliere, combattere” perchè a lui, da ragazzo, dicevano lo stesso.
A seguire il pezzo sanremese “Il mio secondo tempo”; ma com’è potuto arrivare così in basso nella classifica? Ulteriore prova che tutto quello che non viene apprezzato dalla giuria sanremese verrà poi apprezzato dal pubblico. Altri due pezzi dell’ultimo album, il primo “Ogni estate c’è”, un pezzo ritmato alla “Bella vera” che ti proietta subito in spiaggia, mentre il secondo “Tu come il sole (risorgi ogni giorno)” è una ballad da “tempo delle mele” che però non ci dispiace. Si prosegue sulla stessa lunghezza d’onda con “il mondo insieme a te”, “Sei fantastica” e “Lo strano percorso”.
E finalmente si giunge al momento che tutti stavamo aspettando, quando partono le prime note di “Rotta per casa di Dio”: il palazzetto si anima inaspettatamente, la gente si guarda incredula e inizia a saltare e cantare insieme al loro idolo, probabilmente ricordando le esperienze di una vita fa.
A questo punto s’invertono i ruoli, Max ci chiede di cantare al suo posto le canzoni che sono entrate nella nostra vita, le chitarre intonano “Io ci sarò” e il pubblico in visibilio la interpreta all’unisono, stessa cosa per “Se tornerai”, “Come deve andare” e “Me la caverò”.
Si riparte con “Quello che capita” per arrivare poi al momento clou della serata.
Come dice Max quella di Padova è l’ultima data e può succedere di tutto e sulle prime note dell’Uomo Ragno, il tastierista Megahertz (vero nome Daniele Dupuis, qualcuno se lo ricorda in apertura dei Bluvertigo all’Idroscalo?) viene issato a delle funi e vestito da supereroe volteggia nel “cielo”.
Si torna alla realtà e proiettando sul megaschermo immagini della vittoria ai mondiali 2006 tutti insieme si canta “La dura legge del goal” (era proprio necessario concludere con il solito “Popopopo”? i White Stripes sono quasi 5 anni che hanno il singhiozzo).
Su “Come mai” decido di darmi un’altra occhiata in giro e ogni bocca si sta muovendo, chiunque lì dentro conosceva le parole di questo pezzo da novanta. Ci si diverte ancora e si torna a ballare con “Tieni il tempo”, “Nord Sud Ovest Est” e “La regola dell’amico”.
Altro medley acustico affidato al pubblico, stavolta seguito da tastiera “Nient’altro che noi”, “Ti sento vivere”, “Eccoti” e “Una canzone d’amore”, gli innamorati si baciano e Max sorride felice.
Siamo quasi giunti alla fine con “Nessun rimpianto” dove un deciso Pezzali dice che quella porta lui non la aprirà e infine “Gli anni”, a mio parere uno dei migliori brani di sempre.
E’ tempo di bis con “La regina del Celebrità”, il probabile nuovo singolo “Quello che comunemente noi chiamiamo amore” e “Sei un mito” come degno finale.
E’ tempo di tornare al 2011.  Ciao ciao anni ’90.

* Piccola curiosità: per leggere i testi Max usava un’iPad, lo stesso modello che sto usando io per scrivere questa recensione: che coincidenza!

SETLIST:
Terraferma
Credi
Il Mio Secondo Tempo
Il Tempo Vola
Ogni Estate C’è
Tu Come il Sole (Risorgi ogni Giorno)
Il Mondo Insieme a Te
Sei Fantastica
Lo Strano Percorso
Rotta x Casa di Dio
(medley)
Io Ci Sarò
Se Tornerai
Come Deve Andare
Me la Caverò
(fine medley)
Quello che Capita
Hanno Ucciso L’Uomo Ragno
La Dura Legge del Gol
Come Mai
Tieni il Tempo
Nord Sud Ovest Est
La Regola dell’Amico
(medley)
Nient’Altro che Noi
Ti Sento Vivere
Eccoti
Una Canzone d’Amore
(fine medley)
Nessun Rimpianto
Con un Deca
Gli Anni

-BIS-
La Regina del Celebrità
Quello che Comunemente Noi Chiamiamo Amore
Sei un Mito

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Una dissertazione, lunga e libera, su cosa significa e cos’è stato, quest’anno, il celebre festivàl, sempre più scarso dal punto di vista musicale ma, come sempre, con qualche piccolo accenno di rivalsa da parte di musicisti che non vincono oppure, come in questo caso, che riescono a vincere nonostante la concorrenza di individui che andrebbero fisicamente eliminati. La cattiveria, ci vuole. Le grandi purghe, pure.

Il festival di Sanremo è di per sé il festival della “canzone italiana”. La canzone italiana è, per tradizione, pop: nel senso della melodia, e non della neomelodia, e nel senso “popolare”, e non si intende popolare-folk o popolare-politica, ma popolare punto e basta. Ovvio che queste accezioni hanno le loro controverse interpretazioni, ma la verità è che per capire di cosa si tratta, e quali sono i target di pubblico e di critica, bisogna riesumare una formula che fortunatamente è caduta in disuso: musica leggera. Ovvio anche che quindi non c’è spazio per il rock, per le distorsioni, per delle attitudini che siano più critiche, magari sboccate, magari politicamente schierate. Si, è vero, si sono fatti molti passi avanti per svecchiare la formula-Sanremo negli ultimi anni, ma i risultati sono stati pessimi: basta pensare all’eliminazione dei beniamini di Bonolis, gli Afterhours, oppure ai continui ripescaggi con grandi piazzamenti in classifica di cui Albano Carrisi sistematicamente si rende protagonista, due eventi che si pongono in maniera talmente antitetica da spiegare in toto cosa sia questa kermesse. E Benigni non c’entra niente; si perché i momenti più alti per il pubblico di casa sono stati i soliti prodotti dei talent show, o gli scarti di produzione di un sistema musicale italiano che fa di ogni vittima un potenziale carnefice per i nuovi arrivati, nel senso che pure laddove la carriera di un’artista si è spiaggiata (Patty Pravo, Anna Oxa) è abile a rilanciarla, con buona pace dei nuovi che rimarranno sempre sepolti. E questo è, quindi, un male, un male per Sanremo, un male per la musica, un male per le nostre orecchie.
Andiamo ad analizzare i risultati del festival. I premi sono stati affidati entrambi a Roberto Vecchioni, protagonista della musica pop veramente popolare che negli ultimi decenni, tra alti e bassi, è sempre rimasto sulla cresta dell’onda. Propone, molti anni dopo la celeberrima Samarcanda e l’eccelsa Sogna Ragazzo Sogna, una pop song che potrebbe benissimo essere paragonata a metà del suo repertorio, a partire dal titolo che ripesca a piene mani dai luoghi comuni di questo tipo di genere: “Chiamami Ancora Amore”. Ma la sua interpretazione, la struggente (a suo modo) “produzione” orchestrale che l’ha accompagnato e un testo che si accompagna perfettamente con i meccanismi sanremesi, gli è valsa sia il Premio della Critica che quello di vincitore. Se non si fosse capito, sono, dopo una ventina di anni che non succedeva, contento della scelta della gente e della giuria: nessun altro, tra gli artisti in gara, ha saputo regalare un brano che non fosse solo canzone, ma anche emozione e interpretazione, parole molto care alla Tatangelo giurata di X Factor e fortunatamente non vincitrice di un Sanremo dove si è presentata con un pezzo se possibile ancora più ridicolo di tutti quelli che ci aveva già fatto sentire. Come a dire, la paladina dell’emozione che non sa emozionare nessun altro che il suo maritino, che forse un giorno si rivelerà per essere una versione musicale del nostro pioniere della figa nazionale, cioè Silvio Berlusconi.
Non parliamo oltre di Vecchioni, per me giusto vincitore, ma andiamo ad analizzare cos’altro c’era in questo Sanremo.
I giovani non mi sono piaciuti, troppa pasta rimescolata, rimasticata, e forse anche rivomitata: “Follia D’Amore”, la canzone vincitrice, a parte un’interpretazione che musicalmente si rifà molto alle atmosfere jazz che in Italia non apprezziamo poi tanto (che ricorda comunque alcune scelte del Bublé degli ultimi tempi), non aggiunge niente di nuovo ad una scena veramente stagnante. Per il resto, poco niente. Un brano pop che merita un minimo di attenzione è “Lontano da Tutto”, di Serena Abrami ma scritto da Niccolò Fabi, in realtà banale dimostrazione di come a Sanremo si possa stupire con niente (vista la media, no?).

La devastazione continua nella sezione dei big. Davide Van de Sfroos sfoggia una ballata, “Yanez”, destinata a generare più critiche e opinioni relative all’uso del dialetto e alla localizzazione dei voti, più che apprezzamenti dal punto di vista musicale. Al Bano, Patty Pravo, Anna Oxa, Anna Tatangelo (tra i già citati), più Luca Barbarossa e Raquel del Rosario, rimangono ancorati ad un repertorio che già da anni li propone come artisti fallati/falliti che non sanno più che fare per rinnovarsi. Il problema è che Sanremo dovrebbe rappresentare quanto di meglio abbiamo in Italia.
Effettivamente, ammettiamolo, quest’anno c’erano tre artisti, completamente diversi, che rappresentano pienamente il meglio di tre diversi mondi. Nathalie Giannitrapani, pupilla di Elio vincitrice dell’ultima edizione di X Factor, ha una delle più belle voci tra chi ha vinto talent show negli ultimi anni, e propone anche brani di una certa rilevanza, nonostante si ancori in scelte metriche e melodiche che presto finiscono nel vicolo cieco della ripetitività e della non incisività (al contrario di quanto era successo col singolo che l’ha incoronata vincitrice dello show della seconda rete); Max Pezzali, ancora fortemente ancorato ad una concezione di musica pop tipicamente anni ’90 (quella buona che oggi non c’è più, guarda caso), fatica ad aggiornarsi e propone, pertanto, un brano che piace solo ed esclusivamente ai suoi fans, evidentemente troppo pochi per essere decisivi nel piazzamento in classifica, problema che si conclude con l’eliminazione definitiva la sera prima della finale; La Crus, questi provenienti dalla scena alternative rock italiana dei buoni nineties che, però, si presentano sul palco un po’ fiacchi e con un brano che non convince per niente. E pensare che in questo gruppo c’è uno dei migliori chitarristi italiani, Cesare Malfatti, insieme ad uno dei migliori artisti e produttori che la musica rock italiana ha mai conosciuto: Giovanardi. Ma non aggiungiamo altro neppure qui.
Il meglio dei prodotti dei talent, del pop italiano e dell’alternative italiano hanno prodotto, ovviamente, enormi fiaschi al festival, ma bisogna anche ammettere che dei loro tre brani, l’unico valido era “Il Mio Secondo Tempo”, dello storico pavese, che, come dicevamo, ricalca i successi a cui già ci aveva abituato con un particolare approfondimento testuale di una delle sue tematiche preferite: il passare degli anni, l’invecchiare, con relativa sferzata ottimistica, tipica di alcuni tratti della sua carriera. Se non meritava di vincere, meritava comunque il podio, e su questo, credo, non si possa discutere, visto il livello delle altre canzoni e vista anche la bellezza, quasi oggettiva, di arrangiamenti che se non brillano per originalità, brillano almeno per quello che il festival DOVREBBE rappresentare, e cioè la “musica leggera”, definizione che questo brano dagli accenti vagamente soft rock interpreta PERFETTAMENTE.

C’è poco altro da dire, a noi che essendo una webzine non abbiamo guardato le tette di Belen e della Canalis, né gli ospiti, né la conduzione di Morandi. Sarà che guardare programmi del genere in TV tende a far innervosire, meglio guardare su YouTube e seguire le news, o sarà anche che le troppe delusioni avute negli anni vedendo artisti molto validi finire ultimi o ingiustamente accantonati (mi ricordo anche di Subsonica, Elio e Le Storie Tese e Bluvertigo, per citarne solo alcuni), ma il gusto di questa kermesse si è veramente smarrito. Volete fare un piacere alla musica italiana che dite di apprezzare? Il prossimo anno, in febbraio, cercate su internet chi suona nei locali della vostra città e mandate affanculo la RAI, Sanremo e tutti quelli che vi partecipano, perché ormai, questo show, ha perso OGNI SIGNIFICATO. E lo sapete anche voi, magnati della discografia e del giornalismo, nonché causa di questo disastro.
Come direbbe l’odioso Pino Scotto, “datevi fuoco”.

Ps. Non ho nominato Emma Marrone e i Modà semplicemente per non prendermi delle denunce. Pezzo copiatissimo ed osceno, lei veramente inutile sul palco e come voce, loro talento sprecat(issim)o. Chiunque li ha votati, beh, non so cosa dire a loro, non ho parole, ecco.

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