Recensione inclusa nel circuito Music Opinion Network
La prima cosa da chiarire riguardo L’Amore E’ Un Precario, secondo lavoro del pugliese Uross, è che con l’amore inteso come sentimento provato e vissuto con la banalità di una canzone pop qualunque non ha nulla a che spartire. Condivide con esso, soltanto, la voglia di parlarne, come un’urgenza che viene da brandelli d’esperienza forse diventati anche cicatrici. E’ strano, nel nostro paese che tanto ama l’indagine sull’amore fin dalle origini della letteratura, sentire qualcuno che parli dei rapporti o degli stati d’animo con meno leggerezza della media. L’appiattimento cui siamo abituati finisce dunque per rendere il disco meno appetitoso per le radio e gli ascoltatori più superficiali, liricamente più adeguato e compatibile con un uditorio con un background culturale medio-alto. Bisogna capirle queste metafore, queste canzoni, i riferimenti alla ricerca di sé stesso, alla polvere che sembra la cenere simbolo dell’aridità, anche di spirito, nel Grande Gatsby di Fitzgerald, al cielo (citato non solo nella strana ma splendida cover di Gaetano). Il sound effonde in ambienti diversi, con una base che riecheggia di sonorità mediterranee ma propaggini che si allontanano fino all’America nera. Non solo folk, ma anche psichedelia, viaggi spazio-temporali nei linguaggi blues e jazz, soul e musica d’autore tipica delle nostre decadi passate. Non c’è il solito De Andrè, ma ci si accontenta anche di assomigliare a qualcun altro oggi, no?
Il senso di non appartenenza a nessuna categoria musicale o letteraria ben precisa è evidente in tutte le canzoni, nel loro impianto testuale mai banale, nel loro esoscheletro che non è mai retto da un’ossatura fragile e semplicistica, ma sempre da solide architetture sonore che trovano la loro stabilità in impalcature geniali e originali. Soluzioni più popolareggianti servono solo a sostenere che questo album comunque potrebbe essere diretto a tutti, se solo la cultura media dell’ascoltatore italiano fosse quella che ha Uross. Ottimo modo di parlare, con una lingua diversa, di cose di cui tutti parlano da sempre. Farlo adesso che siamo tutti più vuoti è la vera novità.