ETICHETTA: 42
GENERE: Folk pop
TRACKLIST:
1. Restiamo in Casa
2. Satellite
3. La Zona Rossa
4. Un Giorno di Festa
5. Oasi
6. Le Foglie Appese
7. Quando Tutto Diventò Blu
8. I Barbari
9. La Distruzione di un Amore
10. Sottotitoli
11. S’Illumina
12. Il Mattino dei Morti Viventi
13. Bogotà
Quando nel 2010 Lorenzo Urciullo, esponente non certo di scarsa importanza degli ottimi Albanopower, decise di formare i Colapesce, probabilmente non si aspettava l’attenzione mediatica poi raggiunta. Con una vaga tensione ad un folk trapiantato a forza nei territori più agibili dell’indie pop, e testi in italiano che, nonostante la lieve ridondanza di alcune scelte lessicali, non sfigurano affatto nel loro insieme, questo lavoro si presenta come uno straordinaria prova di coraggio e di maturità musicale, frutto di una crescita artistica raggiunta dentro e fuori il progetto Colapesce, in anni spesi a comporre musica ispirandosi anche al contesto sociale siracusano, per questo tiepido e pieno di colori.
“Il Mattino dei Morti Viventi” e “I Barbari” nascondono venature storico-culturali che attingono alla quotidianità, malcelando una tipologia descrittiva, nella scelta delle parole, che ammicca a De André o, guardando altrove, a Dickens. E’ realismo che non prescinde dai sentimenti (“Bogotà”, “Restiamo in Casa”), comprendente anche una capatina veloce nel mondo della critica politica in “La Zona Rossa”. Musicalmente regna sempre quell’atmosfera folkeggiante che nei momenti più quieti si avvicina a Yo La Tengo e Grizzly Bear, in quelli più tesi ai Band of Horses (“Quando Tutto Diventò Blu”). I testi, dicevamo, scadono a volte in una sorta di atrofia espressiva, ma a controbilanciarne la debolezza c’è il comparto suonato, l’anima pulsante di questo “meraviglioso declino” che, nonostante nessun episodio in grado di farlo decollare e brillare come un pezzo memorabile della discografia nostrana, è di per sé un imprescindibile viaggio all’interno del racconto in puro stile pop italiano (e non è un caso se molti lo accostano a Battisti), che difficilmente si potrà ignorare nei mesi a venire. Emotivamente, la sua tranquillità solare e immaginifica ci può sicuramente far sentire tutti un poco meglio.
Infine, è lodevole in particolare notare che questo disco manca di una delle manie dei nuovi artisti italiani: volersi inserire forzatamente dentro i binari dell’alternative italiano, in quel settore che fa prosperare le grosse webzine abili a “creare scene”, inseguendo i soliti grossi nomi (Verdena, Marlene Kuntz, CCCP, ecc.) che da vent’anni ormai influenzano la maggior parte del nuovo rock. Colapesce è infatti un progetto a sé stante, latentemente influenzato dai grossi nomi del folk statunitense (ci sono almeno tre brani dei Fleet Foxes che possono spiegare benissimo questa interpretazione: “Mykonos”, “Meadowlarks” e “Grown Ocean”), ma che vive di luce propria, senza la terribile necessità di somigliare a qualcuno che localmente faccia tendenza; insanità tipica, quest’ultima, dei cantautori della “nuova leva”.
Niente di miracoloso, ma almeno ascoltiamo qualcosa di diverso, di non particolarmente derivativo, con una strizzata d’occhio al focus psicologico e all’empatia di molti testi di Amor Fou e La Crus. Più che un meraviglioso declino, un sorprendente debutto.