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Archive for the ‘ETICHETTA: Red Birds’ Category

ETICHETTA: Red Birds
GENERE: Cantautorato

Nella mente di chi ha pensato il progetto Il Sogno Il Veleno deve esserci stati tanta cultura musicale. Il risultato è un temibile ma azzeccatissimo incrocio tra Celentano e Capossela, tra gli anni ’60 e gli anni ’90, tra la cautela della forma canzone popolare e il cantautorato leggermente più lavoricchiato di Guccini, Jannacci e Buscaglione. Cinque decenni fa succedeva molto, e non ci si stanca mai di ricordarli: Piccole Catastrofi è un manifesto di questo sentore di passato migliore, tra riferimenti storici e politici e semplici racconti che da quegli anni traggono i loro colori e le loro ombre.

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ETICHETTA: Red Birds Records
GENERE: Rock psichedelico

TRACKLIST:
1. Chapter 1: The Death at Twilight of 25 Shattering Pieces of Sharpring Thin Ice
2. Chapter 2: Luna (And The Great Parade of Creatures Tiptoeing Around the Scarecrow)
3. Chapter 3: Gentle Marionette Firflies Lullabying Weavy
4. Chapter 4: The Loony Crowes Hoohaywire In The Shadows Of The Gigantic Moon
5. Chapter 5: At Twilight, Giant Farflies

Unmade Bed. Proprio come può sembrare, al primo ascolto, unmade questo disco. Sfatto, raffazzonato alla bell’e meglio. Ma siete sicuri che non sia solo perché non è di facile ascolto? Già, proprio così. Mornaite Muntide è abbastanza interessante, fin dal nome, per il suo incedere sempre molto difficile da interpretare, un disco funerario, una continua ascesa di toni (e note) di cui si nota soprattutto l’eccessivo stillicidio di rumori e suoni sperimentali, che contribuiscono alla causa del genere proposto. Psichedelia pura, quindi, palese già dal primo “capitolo” (il disco è diviso in chapters, cinque episodi che, si presume, si propongono di raccontare storie), con pochissimo spazio alla voce e il continuo folleggiare di ritmiche soffuse e sincopate, piene di riverberi, che si accompagnano alla melodia di chitarre incentivate dalle scelte nei suoni, ancora una volta concentrate sul delay e l’eco. Effetti che spopolano da sempre nel rock sperimentale, e che senz’altro giocano un ruolo fondamentale nel concretizzarsi di un sound denso e ricco di pervasive delicatezze atmosferiche. Il termine più adatto per queste canzoni così eteree è “spettrali”, un desueto ed intenso modo di definire la capacità evocativa di certi dischi post-rock che Mornaite Muntide tende a ricordare (come avremo fatto nei primi Slint, ma con delle strutture molto più anticonformiste). Certo, si può anche far fatica a dipanare la matassa di questi brani, lunghi, fuorvianti, pieni di confusione, con delle scelte di suono discutibili, ma è altrettanto vero che ogni singolo secondo di questo disco non può far altro che attestare un songwriting maturo che questa band riesce a dimostrare già dal secondo full-length. E non è poco.

Come Unmade Bed è una traccia dei Sonic Youth, questa formazione non si astiene infatti dal tributarli, seppur indirettamente, con manciate di shoegaze e noise rock come quasi nessuno ha saputo fare dopo i newyorkesi. E se in Italia nessuno ha mai provato ad elevarsi a protagonista del nutrito stuolo di adepti del filone, beh, preparatevi alla possibile invasione degli Unmade Bed, che seppur destinati a rimanere sempre di nicchia avranno comunque una lode tendenzialmente post-mortem. Allora, si dia il via all’elogio funebre accompagnato dalla splendida “Luna”.

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ETICHETTA: Red Birds
GENERE: Folk rock americano

TRACKLIST:
1. My Will To Live
2. A Part of Happiness, Two Parts of Whiskey
3. My Mother
4. She
5. No Borders
6. I’m Walking Alone
7. Sing With Me
8. Summer in Harlem
9. The Deep White Light and the Deep Blue Sea
10. Old Time Music
11. This Is All Right
12. Red River

Nico Greco è un nome che in Italia molte persone dovrebbero conoscere. Dico dovrebbero perché purtroppo siamo il paese di Vasco Rossi e Laura Pausini e tendiamo a dimenticare quando ci piaceva il folk americano d’importazione e andavamo pazzi per i cosiddetti poeti della beat generation. Lasciando stare contesti tipicamente culturali che poi sono diventati anche fucine di associazionismo politico, possiamo discendere con notevole facilità nei meandri della musica del buon Greco (and his band, cioè Claudio Carluccio, Bruno d’Ercole, Davide Marcone e Paolo Messere) e capire una cosa: a lezione, quella volta, tenevano corsi di un certo impatto emotivo, sociale e musicale nomi come Joan Baez, Bob Dylan, i Velvet Underground e Mary and the Byrds. E a frequentarle doveva esserci per forza mister Nico Greco.
Orientativamente, non è poi difficile limitarsi a descrivere questo disco come una buona dozzina di scintillanti brani in tragica veste folk rock americana, però dopotutto pensiamo che un lavoro del calibro di Blue Like Santa Cruz meriti anche qualche considerazione più complessa. Il timbro vocale del buon Greco è senz’altro dylaniano, così come sono dylaniani i rapporti tra lunghezza del brano ed intensità, e i testi. Soprattutto i testi, come evincerete già da alcuni titoli (“I’m Walking Alone”, “Summer in Harlem”). Se vogliamo capire perfettamente cosa propone questo artista, analizziamo un brano semplice ma di notevole impatto come ne troviamo tanti nel disco: il migliore è “No Borders”, brano che si avvicina come tematiche alla roots music e che senz’altro ricorda la vecchia band di Lou Reed in quanto a struttura (per questo sentite anche “She”), semplicità dei riff portanti ed atmosfere generate dall’aggrovigliarsi sempre molto compatto di armonia e ritmica. La chitarra acustica predomina all’interno del disco e questo non può far altro che aiutare a creare momenti più suggestivi e vicini a quel termine che usavamo poco fa, ovvero “folk” (ascoltate la già citata “Summer In Harlem” per comprendere, oppure la malinconica “A Part of Happiness, Two Parts of Whiskey”, uno dei brani più americaneggianti in un disco che deve tutto agli Stati Uniti).

Essenziale, direi. Essenziale per comprendere come il folk in Italia sia radicato come non mai, in tutte le sue diramazioni, pur senza avere il giusto riscontro di pubblico. Nico Greco con la sua band ha saputo esprimere quanto di meglio nello Stivale sappiamo fare per non sembrare dei vecchi cantastorie che vogliono solo imitare lo storico Dylan, riuscendo anche a personalizzare il prodotto in maniera sintetica, semplice e profonda. Se vogliamo, caratteristica. Livellata qualche pecca dal punto di vista strumentale a livello ritmico, Blue Like Santa Cruz è senz’altro un must per aficionados del genere. Strasuperconsigliato.

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