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Archive for the ‘ARTISTA: Ananda’ Category

ETICHETTA: Seahorse Recording
GENERE: Grunge, alternative rock

TRACKLIST:
1. Chapter II
2. Ground
3. Soldat Perdu
4. Major E
5. Gordon Pym
6. Youth
7. Bluesman
8. How to Forget an Ocean
9. It Shines
10. Somethin’ Beats Me
11. Indian Spring
12. Massacre

Più che un diario di guerra, una storia d’amore finita. Quella tra il grunge e le band che vogliono suonarlo. Perché questo genere, che è stato uno stile di vita, una chiave di lettura della società di una certa parte d’America e poi del mondo da vent’anni fa e solo per breve tempo, e forse anche uno stato d’essere, si è trasformato in musica prima in un popoloso stuolo di seguaci che l’ha pure reso famoso, poi, sempre più, in una caricatura di sé stesso, con band che copiano le copie delle copie ed altre che tentano di non somigliare troppo ai predecessori diventando, solitamente, ridicoli.
Gli Ananda non si preoccupano di sollevarsi dal mucchio, di apparire diversi: semplicemente, il loro volere, fin troppo chiaro, è quello di rappresentare ancora quel filone, morto e sepolto, di cui sopra. Noi che in Italia di “vere” grunge band non ne abbiamo avute, perché sono quasi tutte morte subito o si sono semplicemente evolute in qualcosa di meglio (Verdena?), vediamo ora proliferare nella consueta banalità dischi come Wardiaries. E’ impensabile che il lavoro di una band comunque abile si possa stroncare in poche parole, ma proveremo ad essere concisi: strumenti alternativi come il violoncello soffocano le atmosfere acustiche di Alice in Chains, Nirvana e Stone Temple Pilots in una maniera che li cita così tanto da sembrare un plagio; le parti strumentali ricordano fin troppo i Soundgarden, forse con una virata all’italiana che perlomeno salva la faccia (“Ground”); la voce troppo fitta sembra una macchietta alla ricerca di una definizione migliore, lontana dal tipico timbro che ha fatto celebre il grunge. Sarebbe un’ottimo punto a favore di questo disco, ma l’impianto su cui si sorregge l’intera baracca è troppo fragile e si porta nel burrone anche le originali linee vocali di alcuni brani (“It Shines”, “Massacre”). Si rincorre l’autocitazione, finendo per citare le proprie influenze.

La violenza della malinconia, diceva qualcuno. E’ questo che il grunge e tutte le sue declinazioni più commerciali ha sempre voluto comunicare con quelle ballad strappalacrime che, bene o male, funzionavano nonostante un impianto fotocopia stereotipato sempre più negli anni. Gli Ananda ci hanno riprovato, a confermare l’anima meno folkloristica che il nostro tetro paese ancora ha, ma una scarsa maturità nel songwriting unita ad un pessimo uso dell’originalità come strumento compositivo, ne ha rovinato ogni possibilità di ascesa.
Non distruggiamoli troppo e ammettiamo, prima di concludere, un’ultima cosa: questo dico, nel 1994, avrebbe spaccato il culo, commisurato all’arretratezza del grunge italiano. Oggi, semplicemente, è fuori tempo massimo. Se siete ancora attaccati a quel modo di vivere la musica, è anche possibile che lo troviate fico.

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