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Archive for the ‘GENERE: Rock’n’roll’ Category

ETICHETTA: Flue Records
GENERE: Rock’n’roll

TRACKLIST:
Gimme Gimme Your Hand
I’m a Cop
Black Cat
Go Back
Talking About
I’m Going to Mexico
How Does It Feel
Commit Suicide

Da un po’ di tempo in Italia si è riaffermata, complici anche due ragazzi che si chiamano Bud Spencer Blues Explosion, la voglia di sperimentare con set ridottissimi, accoppiate schizzate di chitarra e batteria che, spesso, anche per dovere di formazione, prediligono approcci rock’n’roll, punk o rockabilly. In questo caso il linguaggio scelto è il primo, una tipologia di musica che in Veneto, patria degli Sportivi, va molto, e che infatti gli sta dando ampia fama. Sono otto le tracce di Black Sheep, rapide, schizofreniche, violente, ruvide. Voglia di saturare le orecchie dell’ascoltatore con qualche sano riff hard rock che può ricordare certi Rolling Stones ma anche Iggy Pop, salvo poi riportarci alla modernità con un sound comunque patinato (registrazione analogica che non tradisce in questo senso) che rende il disco più melodico, se vogliamo.
Nessuna delle otto canzoni è particolarmente brutta, ma nessuna è particolarmente bella. Questo perché la ricerca estetica o la compostezza del songwriting non sono i fiori all’occhiello né la chiave di lettura di un disco e di una band così: la forza graffiante, il groove, la voglia di far ballare, un sound grezzo e furioso, sono queste le cose che rendono Black Sheep un ascolto imprescindibile di questa fine 2012. Non fatevelo sfuggire.

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ETICHETTA: Go Down Records
GENERE: Rock’n’roll, garage rock

TRACKLIST:
1. Speak Out
2. Money
3. The Hit
4. Down Down Down
5. Don’t Kill Time
6. You Fascinated Me
7. All Around the World
8. Better Late Than Ever
9. Never Rest on One’s Laurels
10. Go On
11. I Wonder Why
12. Go Baby Go
13. King Song
14. Devils in Heaven
15. Rock’n’Recall
16. Seven Cookies
17. All Over Again
18. The Ballad
19. Free g. There Than Go
20. Can’t Take My Eyes Off You

I The Vindicators sono una delle più gloriose rock’n’roll band italiane. Nacquero dopo lo scioglimento degli altrettanto stimati e importanti Frigidaire Tango, da breve tempo ricostituitisi, per portare un garage rock molto americaneggiante in Italia con influenze come Fuzztones, The Chesterfield, The Cynics, Fleshtones e Gruesomes. Dai due LP pubblicati sul finire degli anni ottanta, fenomeno di culto del periodo e di chi li ricordò con nostalgia per tutto il ventennio successivo, vengono colti i migliori brani per questo Greatest Hits che registra, insieme ad alcuni inediti e ad alcuni estratti dal vivo, i migliori momenti della loro carriera. Per rivivere la stessa carica di allora in un contesto che recupera il rock’n’roll come parte essenziale di una tradizione rock nazionale sempre più modaiola, senza però estrapolarlo dal suo status storico e generazionale che fu anche inizialmente anche politico. La libertà che il ballo che lo ha sempre accompagnato rappresentò fu infatti salutata come una forma di emancipazione che nessuno ha mai negato, neanche successivamente al debutto dei suoi pilastri (da Elvis in poi). In Italia, quando aprirono ai Blues Brothers, i The Vindicators non furono senz’altro fischiati e anche oggi è bene ricordarli con un “greatest hits” che, al contrario di molti altri best of, non è una mera operazione commerciale ma senz’altro un tributo serio a una formazione che merita di essere annoverata tra i migliori momenti della nostra musica.

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ETICHETTA: Alkemist Fanatix
GENERE: Rock’n’roll, folk-pop

TRACKLIST:
1. L’Infedele
2. Il Mio Mondo Cosmico
3. Lucienne
4. Tu Sei
5. Babilonia
6. L’Arte di Schiodare Le Stelle dal Cielo
7. Amen (L’Uomo che Parla in Reverse)
8. The Boys Dig the Boys
9. Lalala (Gli Anni Persi)
10. Elizabeth
11. Ode al Silenzio

Un po’ bisogna ammetterlo: fare rock’n’roll ha un enorme pregio e un enorme difetto. L’enorme difetto è che si risulta spesso pacchiani, tendenti a scelte baroccheggianti oppure talmente semplici da autodefinirsi banali; l’enorme pregio è che basta saper suonare due power chords e fai un disco che spacca a qualunque latitudine.
I Valium, se prendessimo semplicemente questa breve descrizione riguardante il genere proposto, non ne uscirebbero molto bene. Pensiamo, ad esempio, che stiamo riferendoci loro come “una delle tante band”. Allora cosa ci spinge a dire che in realtà, non sono “una delle tante band”?. La coerenza con cui un album di questa caratura viene buttato fuori nel duemilaundici, da Salerno, intriso di voglia di fare, di scatenare il culo della gente, di sporcare ancora quella chitarra per dare del salutare rock’n’roll in faccia alle persone. I Valium sono (anche) questo.
Tutto sommato non dovremo aggiungere altro: “L’Infedele”, “Lucienne”, “Amen” ed “Elizabeth” sono, ognuna a suo modo, canzoni molto simili per intensità e ambientazione, impossibili da astrarre da un contesto sixties/seventies dei più riconoscibili, ma modernizzate da un’energia alle pelli e alle sei corde che insudicia tutto di alternative rock americano e folk pop. Popolareggiante, quindi, il secondo contesto più diffuso nell’opera, anche se è meglio riconoscibile il primo, quello da motoraduno, da birra al pub, da finta balera vintage dove quindicenni ballano musica di una volta senza sentirsi ridicoli. Le continue sfuriate dentro e fuori i refrain, tra distorti che urlano fuori rabbia e voglia di divertirsi, e anche i momenti più rilassanti, dicono tutti la stessa cosa: un grido all’unisono che rende il disco più che buono, praticamente privo di difetti troppo palesi.

Coraggiosi, estroversi e “veri”, quindi verosimili, questi giovani salernitani sanno il fatto loro. Non dicendo niente di nuovo fanno molto più di tanti altri, dandosi un’immagine che, priva di stereotipi e di confezioni precostruite, si allontana sia da quella degli sbarbatelli da talent che dai mostri sacri del genere. Insomma, una certa personalità gli fa senz’altro da paraurti. Il prossimo full-length confermerà senz’altro l’anima pop ma contemporaneamente rock’n’roll di una band tutta da scoprire.

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RECENSIONE SCRITTA PER INDIE FOR BUNNIES
ETICHETTA: Autoproduzione
GENERE: Alternative rock

TRACKLIST:
1. Himalaya
2. K1
3. Lo Scatto
4. Condolisa
5. De Propaganda
6. Spot
7. La Litania
8. A Volte
9. Il Baricentro
10. Fibonacci
11. Margaret
12. K2
13. Ayalamih

Torquemada è un progetto che molti hanno già imparato ad apprezzare dalle uscite discografiche precedenti come la versione meno viscerale e più melodica dei One Dimensional Man. La scelta della lingua italiana, in questo nuovo Himalaya, proprio come faranno gli ODM nel prossimo full-length, è un ulteriore tratto in comune, ma non per questo possiamo parlare di plagio.
Himalaya, un disco che come in pochi altri casi avvalora la tesi titolo = intento (o dichiarazione d’intenti). Un obiettivo che la band si è data, un raggiungimento, comunque molto arduo da conquistare e conservare, che è senz’altro l’inscindibile legante tra testi e formule strumentali alla base dei brani: come un unico pezzo, questi tredici episodi sono uniti dagli elementi musicali più evidenti, a partire dalla bonarietà leggera e gaudente dei testi, le esplosioni delle chitarre escoriate, vibranti e graffiate, le ritmiche possenti e tendenti a distaccarsi dal blocco armonico/melodico per avere quasi un comparto a sé. Sostanzialmente un album dove ogni strumento ha i suoi motivi per ritenersi protagonista. Come accade ne “Il Baricentro”, forse il brano più incolore, che però brilla per alcune suggestive trovate classic rock-rock’n’roll che mettono in risalto soprattutto chitarra e batteria. Pomposità e grandiloquenza sono due espressioni tipiche, appunto, delle chitarre, dai toni epici quanto più sono poderosi gli arrangiamenti e tirati i riff: la title-track, “K2” e “Ayalamih”, se non servono a dimostrarvelo, non avete ascoltato il disco.

I Torquemada sono senz’altro l’alternativa valida al Teatro degli Orrori, ottemperando a tutte le osservanze quasi religiose del nuovo alternative italiano uscito dalla nicchia: la svolta più melodica e commerciale della lingua italica non gli varrà certo i bagni di folla che in alcuni tratti meritano, ma Himalaya è veramente un gran disco, dove la tensione e la malinconia dei Verdena accarezzano l’urlato grunge progressista dei primi Afterhours (con tanto di velati riferimenti politici).
Ascoltatelo, se vi piacciono le principali band alternative rock italiane degli ultimi anni, non potranno che stupirvi.

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ETICHETTA: Mia Cameretta Records
GENERE: Garage, alternative, punk

TRACKLIST:
1. Running Uptown
2. I Need A Psychologist
3. Kettle In The Sun
4. Come With Me
5. Monkey
6. Loser Blues

In puro stile Mia Cameretta, anche i Poptones propongono una devastante ed asimmetrica mistura di punk ed alternative dallo stile molto garage, che alcuni chiamerebbero lo-fi, ma che senz’altro fa riferimento a certi cromatismi grunge che comunque sono più d’attitudine che d’ispirazione. Questa raccolta di sei brani è una interessante combinazione di elementi che condividono solo il termine cazzone, un modo di (auto)interpretarsi che sembra quello delle band da sala prove che però hanno voglia di salire sul palco, suonare tre pezzi e andarsene lasciando l’amplificatore frusciare, fischiare, per poi tornare sul palco fare un bis e spaccare tutta la strumentazione. Magari anche quella degli altri.
Preoccupandosi non poco di disseminare i brani (ad esempio “Monkey”) di piccoli momenti orecchiabili, dove la melodia prende il sopravvento, anche qui, più come attitudine, come portamento, che come modo di rappresentazione. Ciò che rimane è un molotov cocktail di rabbia, aggressività, ira, collera (e voi lo sapete che non sono solo sinonimi, soprattutto in musica), che trova il suo momento massimo nella virulenza inorganica di “I Need A Psychologist”, che potremo senza problemi elevare a gonfalone dell’intero disco (che forse è piu un EP per forma e confezione). Qualche sferzata rock’n’roll si unisce vigorosamente con quel punk rock che citavamo, riportandoci quasi a certe atmosfere dei The Who: i brani corti, la cui brevità senz’altro ha uno scopo “catalitico”: depurazione, purificazione, congiunzione interminabile tra la veemenza e la cultura del catchy tune di vecchia ispirazione seventies.

Questi sei brani dimostrano, nella loro breve durata, la grande capacità di “triturare” un numero di elementi veramente notevole. Lo hanno fatto in molti, è vero, ma non tutti riescono a proporre nel duemiladieci (e nemmeno un anno dopo) un prodotto così ben organizzato nel suo essere puro caos, disordine, entropia. E noi che queste cose le abbiamo sempre apprezzato, non possiamo che parlare di una piccola perla da ascoltare in auto a volume altissimo (ma non se siete milanesi o bolognesi). Noise, noise, noise, ancora noise. La nostra scena si ripopola, alzate i calici.

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