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Archive for the ‘ETICHETTA: Soviet Studio’ Category

ETICHETTA: Dischi Soviet Studio
GENERE: Psichedelia, blues

TRACKLIST:
As Loud as Hell
Joy
Disillusion
Now I Know
Like Flowers
Intermission
Drop the Bomb, Exterminate Them All
The Flow
Psycho Blues
Small Place
Come Back Blues

Dischi Soviet Studio, collettivo artistico ed etichetta della provincia di Padova, mette a segno un altro ottimo colpo con il disco dei fiorentini Neko At Stella. Per capire di cosa si tratta, basta leggere la sequenza di generi citati nella loro biografia: shoegaze, post-rock, noise, desert rock. Ci sarebbe anche altro, ma lungi da noi proseguire troppo con le definizioni.  Il self-titled dei toscani non è certo il prodotto di menti tranquille e riposate, e l’effetto è più quello di un turbamento continuo, in grado di generare, alla fine di un lungo processo di labor lime, un parto geniale, ma sporco di sabbia, ferale e selvaggio. Massangioli e Boato sanno come giocare sporco, così come sanno insudiciare bene i suoni per renderli più pesanti, vissuti, senza cadere nei cliché del vintage che tanto va di moda quando si parla di fare rock blues moderno (non sono i Black Keys, per intenderci, né i White Stripes, che sono pur sempre validissime band nel background dei Neko at Stella). “As Loud As Hell” e “Like Flowers” sono brani stridenti e veementi, dove è difficile trovare il coraggio di qualche passaggio enfatico che ritroveremo in quei momenti più lisergici e psichedelici come “Disillusion”, ma sono egualmente ardimentosi e ben confezionati. Se si lascia perdere qualche venatura più post-romantica, l’album ha un impatto veramente devastante. E’ per questo che è quasi traumatico sentire quanto acido può suonare quel dispositivo bellico che è “Small Place”, così com’è sensazionale ricevere senza protestare i delicati ma efficaci buffetti di “Come Back Blues”, brano che palesa dall’accumulo di ascolti una sempre maggiore audacia. Le varie componenti sopracitate, sopratutto il noise e il post-rock, si fondono in maniera davvero omogenea, risultando talvolta frutto di un complesso rimescolamento di linguaggi che trascende le categorie.  Il songwriting, in particolare, è ineccepibile, mai banale anche quando tenta soluzioni sconsiderate.

Non è per niente male questo Neko At Stella, frutto di un sottobosco musicale fertilissimo come quello toscano, e che trova concretezza soprattutto nel ripercorrimento di linguaggi triti e ritriti mandando a fanculo i loro luoghi comuni. Dire che ce n’era bisogno forse è troppo esagerato, ma ci permettiamo di osare abbastanza da dire che nel duemilatredici italiano è uscito poco di meglio. Granito.

LISTEN HERE:

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profilo Facebook band: https://www.facebook.com/nekoatstella?ref=ts&fref=ts
sito etichetta (Dischi Soviet Studio): http://www.dischisovietstudio.it/

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ETICHETTA: Dischi Soviet Studio
GENERE: Garage, indie rock

TRACKLIST:
Figlio Illegittimo di Kurt Cobain
Apridenti
Retromania
12 Giugno
Il Nostro Paese Diviso in Due
Dr. Lennon
La Partita di Calcetto Infrasettimanale
Tasche Piene
Smaltire tra le Scimmie
Aiutaci Matteo
Scheletri Nascosti

Il primo full-length dei padovani MiSaCheNevica giunge così, di nuovo, come l’ottimo primo EP, per Dischi Soviet Studio, a segnare una svolta nell’ormai immobile scena veneta. Rispetto alla prima produzione, Come Pecore in Mezzo ai Lupi cambia passo e si fregia di un incedere più nineties e di sonorità più taglienti, garage e, in generale, più sporche. Il baricentro si è spostato, evidentemente, dai testi alla confezione intesa come un tutt’uno di ciò che suonano i tre musicisti, non intendendo, con questo, che le liriche non siano di grande qualità. Le parole del frontman Walter Zanon sono, di nuovo, intrise di una vivace ironia, in grado di mettere alla berlina molti dei luoghi comuni delle attuali generazioni sempre troppo impegnate a riconoscere la superiorità di quelle passate, incapaci di astrarre dal particolare e di trovare nuovi percorsi da inseguire. Il risultato, testualmente parlando, è superbo, e cerca la decadenza con spirito costruttivo riuscendo a destrutturare molte delle banalità dette da molti musicisti italiani con una caparbietà nel perseguire un messaggio che rende impossibile non riceverlo (Il Nostro Paese Diviso in Due, Figlio Illegittimo di Kurt Cobain), non tralasciando neppure venature di appariscente critica sociale e attenzione a tematiche più “serie”, come ben nasconde una delle canzoni più riuscite del disco, La Partita di Calcio Infrasettimanale. La nuova direzione, sicuramente più congeniale ad una certa urgenza comunicativa che la band non cela mai, lascia a margine le pur sempre percettibili influenze più brit in salsa alternative di Suede, Belle & Sebastien e Manic Street Preachers, ripescando da Pavement e Wire linguaggi senz’altro più ruvidi, nell’approccio chitarristico, e marziali in quello ritmico. Il livello del songwriting è in linea con il passato, pertanto la qualità è assicurata.

C’è poco da aggiungere quando si ascolta un disco così ben concepito e realizzato. In Veneto la musica coi coglioni esiste ancora, basta solo saperla cercare e ascoltare. Sarà una delle uscite del 2013, perlomeno nell’Italia settentrionale.

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ETICHETTA: Dischi Soviet Studio (distrib. Audioglobe)
GENERE: Pop italiano

TRACKLIST:
Aperitivo?
Assomigliavi a Marte
Lettera ad un Produttore
Proiettile di Lana
Chi Sono Io?
Luce d’Agosto
La Festa di San Menaio
Per Tre
Beatrice
Suo Figlio E’ Pazzo

L’attività dell’etichetta padovana Dischi Soviet Studio continua a stupire, anche stavolta. Limone, nome d’arte di Filippo Fantinato, è prima di tutto un personaggio che interpreta uno stato d’animo del suo creatore nel voler comunicare alcuni dei suoi punti di vista riguardo delle tematiche che non sono senz’altro rare nei discorsi dei giovani italiani di questo periodo. L’urgenza di dire qualcosa è sottolineata, non a caso, da una precisa puntualizzazione dentro il packaging del disco, che vuole chiarire a cosa si riferisce ogni singolo brano, come a non volersi lasciar sfuggire la possibilità di raggiungere direttamente ogni singolo ascoltatore.

Musicalmente, Spazio, Tempo e Circostanze, orbita in una sorta di sospensione tra il pop e la musica d’autore italiana, laddove i due linguaggi si fondono anche con una elettronica sintetica e minimale, quella che non punta né a far ballare con la cassa dritta né a rumoreggiare con istinti shoegaze e sperimentali. Le tinte sono fredde, semplici, i testi molto intimistici, l’atmosfera non è mai tetra ma la voce quasi sussurrata di alcuni cantati riporta sempre ad un contesto che ammicca sia a Bersani che a Silvestri e, d’altro canto, anche a certa musica d’oltremanica di quindici/venti anni fa. Il risultato delle basi è quello di un background originale e pienamente riuscito, che confeziona, insieme a testi semplici che prendono la forma di una favola avventurosa e bambinesca, pur riferendosi talvolta a tematiche più “cresciute” (Aperitivo?, La Festa di San Menaio, Suo Figlio E’ Pazzo), una nuova estetica in bilico tra fiaba, canzone italiana, ironia caricaturale e decadenza, sempre mantenendo centrale l’impianto basilare delle parole scelte. Questo poiché, così come appare il disco, la sua genialità sta tutta nel modo di narrare di questi argomenti, passando senza scatti repentini né sfumature iperboliche da un romanticismo affettato e lezioso (Assomigliavi a Marte) ad una satira non troppo mordace, ma che fa della sua scarsa audacia un punto di estrema forza. In sostanza, buona parte della qualità di questo album proviene dal songwriting inteso meramente come scrittura di parole in musica.

La prima uscita del cantautore bassanese è semplicemente una novità, uno slancio di ottimismo e una boccata d’aria fresca, in particolare per la stantia scena veneta. Questo dovrebbe bastare a renderlo fondamentale per l’attenzione di quei produttori cui la splendida e malinconica Lettera ad un Produttore si rivolge, ma in Italia la qualità è percepita diversamente. Lontano, comunque, dalla rassegnata mestizia di molti artisti italiani dell’ultimo quinquennio, riesce a risultare simpatico, a solleticare un certo entusiasmo per la musica nostrana di stampo immediato e personale, senza mai scadere nel banale. Complessivamente è un esordio senza nessuna sbavatura, perfetto anche nel suo modo di dire cose importanti senza gli arzigogoli barocchi di molti artisti sfavillanti la cui luce si è spenta da tempo (qualcuno ha detto Godano?). Piacevolissima sorpresa d’inizio anno da un’artista e un’etichetta che sono ormai un punto di riferimento nell’underground italiano.

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La recensione sarà pubblicata anche su INDIE FOR BUNNIES
ETICHETTA: Soviet Studio
GENERE: Pop rock, British rock, indie rock

TRACKLIST:
1. La Crisi dei Vampiri
2. Riduzione del Danno
3. Gomez
4. 1984
5. Silvia Silver

RECENSIONE:
Walter Zanon è l’ex frontman dei Disfunzione, formazione veneta che ha pubblicato un buon disco per Jestrai prima di frantumarsi e dare vita, indirettamente, a questo nuovo progetto prodotto da Soviet Studio, etichetta della provincia di Padova che sta promuovendo una serie di band molto interessanti, tra cui, appunto, questi MiSaCheNevica. Citarlo ad inizio di recensione serve più che altro per chi ha voglia di interpretare queste scelte comunicative all’interno di un articolo di critica, perché è proprio lui l’anima della band, con quel suo fluire romantico di parole dentro testi che pescano dalla cultura alt-pop una decadenza che invece è d’indole new wave, sembrando letteratura del 1800 senza mai cadere nelle (banali) mode citazioniste degli ultimi tempi (in realtà l’unico numero nominato viene quasi due secoli dopo, nel pezzo “1984”). Il nome della band non lascia spazio a divagazioni di sorta, e si scontra e (con)fonde benissimo con l’anima dei testi, la cui scialba profondità letteraria assurge a vero manifesto di quel tono sub-romantico che la band vuole, o riesce comunque a, comunicare.

Musicalmente i riferimenti sono tantissimi, perché disintegrando in un numero indefinibile di particelle le cinque belle tracce che compongono La Mia Prima Guerra Fredda EP si formano nuclei separati di note e segnali diversi, che si possono ricondurre a generi e band contrastanti. Pulsano a volte di Belle and Sebastian, di Suede, di Smiths, di Coldplay, di quello che facevano prima anche i Disfunzione, di poche brillanti incursioni wave à-la-Joy Division e Diaframma riadattati negli anni zero, e non tralasciano neppure la lucidità ritmica di un folk che preda continuamente il prodotto presentato dalla band con una continuità che, forse, è addirittura eccessiva.
Il sound che si ottiene con questa mescolanza duramente disambiguabile dall’insieme troppo omogeneo dei suoi ingredienti, è, in sintesi, un pop/rock dallo sguardo internazionale. La sua traiettoria, in presenza di un panorama italiano che è stanco di imitare ma continua a farlo, è quasi quella di una cometa che ha la presunzione di volersi spiaccicare su questo universo di scopiazzatori folli e revivalisti della new wave (più o) meno efficace. E ci riescono, ci riescono in particolare con due tracce: “Gomez” e la opener “La Crisi dei Vampiri”, quest’ultima una ballad malinconica e dall’animo puramente baudelariano, inserita in un contesto comunque dark wave e che non si lascia scalfire dalle sembianze di banalità di cui alcuni elementi ritmici rischiano di ricoprirla. C’è anche da dire che il livello del songwriting della band è abbastanza alto da permettere di sfuggire alle situazioni che possono sembrare antitetiche rispetto alla ricerca di un’originalità che invece è comunque presente, soprattutto nelle scelte nei suoni, dove si privilegia la morbidezza di alcune chitarre alla pesantezza graffiante delle distorsioni roboanti che qualche volta riempivano le casse degli ascoltatori dei Disfunzione.
Palesemente un bel disco. Questa band può, comunque, fare molto di più e se c’era un EP adatto a farsi notare e a dimostrare che il prossimo passo sarà una fiammata col botto, è proprio questo.

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