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Archive for the ‘ETICHETTA: Face Like A Frog’ Category

ETICHETTA: Infecta Suoni&Affini, Venus Dischi, Face Like a Frog Records
GENERE: Indie rock, new wave, alternative rock

TRACKLIST:
1. Helsinki
2. Non Preoccuparti Bambina
3. Vendere i Soldi
4. La Provincia (con Andrea Appino)
5. Dettagli
6. L’Individualismo vi Farà Morire Soli (con Matteo Dainese e Ceskova Midori)
7. Il Figlio Gaio!
8. Padre la Smetta
9. Una Lega di Matti
10. I Pezzi di Merda Non Muoiono Mai
11. Mente Animale

Si potrebbe recensire questo disco citando qualche frase a caso, per comunicare il mood generale. Lo faremo:
E’ lui (il tuo vecchio, ndr) che ti ha detto che tutto sommato è solo una questione di testa. 
Sento di avere qualcosa di rotto in me, mi si son rotte le palle. 
Ed è il più furbo è chi ne sa approfittare e ti consiglia pure di fare uguale.
Tu guardi Helsinki con gli occhi di chi ha gli occhi stanchi di stare qui


L’individualismo-o-o vi farà morire soli
, che è anche il titolo di una delle canzoni più catchy del disco, introduce uno degli argomenti portanti del disco: la stanchezza disillusa di questi giovani ragazzi, i Nu Bohemien, verso l’italiano medio, verso quell’ipocrita egoista che non conosce sentimenti di morale comune, di vero patriottismo equo e altruista, di legalità o perlomeno di coerenza personale. Solidi e chiari i messaggi convogliati, la disgrazia delle nuove generazioni con solo un pezzo di carta igienica come laurea, metafora abusatissima ma in momenti di lucidità come quelli dell’intero spettacolare La Consuetudine del Sentito Dire sempre buona a far capire il pensiero di fondo. Ce n’è per tutti, dal Vaticano ai luoghi comuni di una società sempre più in affanno per il senso di perdita dell’identità nazionale o semplicemente di una società troppo tradizionalista (impeccabile in questo senso la logorrea velatamente politicizzata di “Una Lega di Matti”). La qualità dei testi è mediocre, con espressioni talvolta ridondanti seppur dolcemente macabre, ma l’acerbità è presto ricambiata da un sentimento post-cantautorale tipicamente folk che ricorda molto gli artisti di strada oppure i trovatori, vogliosi di raccontare storie al popolo come veri menestrelli dell’ogni giorno. Una tenuta da buskers, gonfia di chitarre acustiche e ritmi danzerecci, che gli fa certo onore.

Chi se la prende sempre in culo sono gli operai, dicono qui, loro che forse, come tanti giovani italiani, in fabbrica non ci sono andati e non ci andranno mai, ma è facile capire perché questo disco può trovare successo: si infila in una sequenza di dischi socialmente impegnati che dopo aver iniziato a stufare tempo fa sono tornati in voga tra folk rock e cantautorato, dapprima con una nuova linfa, poi con cliché che si sono riverberati fino a qui, fino a questi Nu Bohemién che pur ripetendo gli stessi schemi riescono a rompere la banalità quasi triviale di una scena stagnante. La stessa scena che dopo gli Zen Circus (anch’essi peggiorati ultimamente), il cui Andrea Appino è presente in questo disco alla sei corde, aveva perso la sua carica narrativa di una quotidianità che era stata ormai troppo sviscerata da quell’ironica opacità che li contraddistingueva per permettere nuove imitazioni.
Razionalmente non diremo che è un capolavoro, ma la musica è anche cuore ed energia. Istintivamente è emerso un vero impulso ferino, animale, selvaggio, nell’ascoltare questo disco, quasi un sentimento riottoso di prepotenza ribelle, come a dire “hanno ragione, scendiamo in piazza e spacchiamo la faccia a tutti”. Ma la terribile realtà è che l’errore nostro di italiani sta proprio lì, nel lamentarci sempre, in maniera poco costruttiva, talvolta abbassando troppo i toni fino ai livelli infimi di certa volgare musica di protesta. I Nu Bohemién, fortunatamente, non appartengono a questa categoria, ed è per questo che li apprezziamo.

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ETICHETTA: Face Like a Frog Records
GENERE: New Wave

TRACKLIST:
1.  The Solitude of The Ship (Part I)
2. Ahab
3. Ludovico
4. Summer Shade
5. Decay
6. Grasshopper in Your Hands
7. Hang Over
8. Black Dogs
9. The Solitude of the Ship (Part II)

I Mauve rappresentano più o meno quello che la musica degli anni ’90 ha saputo essere, salvo poi essere dimenticata in virtù delle nuove mode, tra revival, indie, new wave, ritorni continui di decenni passati e fashiontronica, neologismo piuttosto comprensibile direi.
Quando il post-rock, il grunge, lo shoegaze, il pulsare isterico di certe perizie trip-hop ma suonate con distorsioni e ritmiche indiavolate, e i Blonde Redhead, si uniscono, tutto quadra. I Mauve riportano in vita quel tipo di suono, lo fanno proprio senza inventare niente ma senza smarrirne gli ideali originari. E’ così che riescono a proporre un disco non tanto fresco ma contemporaneamente capace di distinguersi dalla massa informe delle uscite analoghe per una certa capacità di personalizzazione che si deve soprattutto al combo Tosi-Belfanti, vera anima del progetto, sebbene sul retro del disco compaiano anche altri nomi.
The Night All Crickets Died è, se vogliamo, il punto fermo nella carriera dei due, il disco della conferma, dell’affermazione di una maturità che trafuga con scarsa dignità tutti gli elementi migliori della visceralità e della profondità creativa dei Fugazi, ricreando una versione italica di quella band, senza neppure assomigliargli troppo. Semplicemente uno sforzo che SI DOVEVA FARE, visto che le premesse per portarlo a termine c’erano. E non poteva mancare il violoncello.
Ed eccolo qua, suggestivo, energico, voluttuoso. Sarà anche quel suo rivestimento molto garage, quasi underground, a regalargli una patina capace di elevarlo a simbolo di una generazione perduta che vuole sempre ritornare, tra fasti e passi falsi, ma a noi è piaciuto, così come ci è stato posto, diretto, senza malinconie, sfrontato e sfacciato.

Allora volete capire tutto quello che è stato detto finora? Ascoltatevi “Grasshopper”, “Ludovico” e il double act iniziale/conclusivo “The Solitude of The Ship”, le tre sfumature dell’anima dei Mauve, il perché (e come) loro suonano, il perché dovreste ascoltare questo disco. Vi avevo avvisato.

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