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Archive for the ‘ARTISTA: Red Hot Chili Peppers’ Category

ETICHETTA: Warner Bros.
GENERE: Pop rock, funky, alternative rock

TRACKLIST:
1. Monarchy of Roses
2. Factory of Faith
3. Brendan’s Death Song
4. Ethiopia
5. Annie Wants A Baby
6. Look Around
7. The Adventures of Rain Dance Maggie
8. Did I Let You Know
9. Goodbye Hooray
10. Happiness Loves Company
11. Police Station
12. Even You Brutus?
13. Meet Me At the Corner
14. Dance, Dance, Dance

Ed ecco il ritorno tanto atteso dei Red Hot che riattaccano la spina proprio da dove l’avevano staccata, con un nuovo tuffo nelle chart mondiali che si presenta, in realtà, come un’uscita poco appetitosa, soprattutto per l’assenza di Frusciante alle sei corde. Il funky della band, nella veste pop dell’era incominciata con Californication, è sempre lo stesso, profondamente radicato in quel linguaggio prevalentemente melodico che se da un lato non smette di trarre giovamento da una ottima capacità strumentale di tutti i componenti (per la prima volta anche da Kiedis), dall’altra risulta in questo momento stagnante, quasi tagliando un virtuale traguardo con eccessiva fatica.
In realtà un pugno di novità le possiamo anche individuare: si sperimenta di più con i ritmi in levare e la ballabilità del groove di basso, gli incroci tra ritornello cantato e strofa rappata si fanno più originali (ma interamente devoti all’orecchiabilità più assoluta), e Klinghoffer suona in maniera completamente diversa da John, regalando momenti di completo spaesamento al fan medio. La chitarra dei primi due brani, “Monarchy Of Roses” e “Factory of Faith”, ad esempio, è senz’altro molto diversa da quanto Frusciante avrebbe prodotto sui medesimi pezzi, utilizzando un sound diverso e uno strutturamento dei riff tutto suo. La qualità di questi due episodi invece è pesantemente discutibile.
Per il resto, sinceramente, poco da dire: il primo singolo, “The Adventures of Rain Dance Maggie” stilisticamente si avvicina ai peggiori brani di Stadium Arcadium, che non si ricordano certo per la loro bellezza. Il ritornello è debole, così come l’impianto stesso della canzone. Funziona come singolo, come funzioneranno praticamente tutti i brani ma è evidente che anche la spiccata vena melodica dei “peperoncini” si è esaurita qualche album fa, lasciando traccia di qualche imitazione di bassa tacca (“Ethiopia” e “Annie Wants A Baby” sono due brani molto catchy, ascoltabili, carini, ma ditemi che non avete già sentito queste cose in altri mille brani dei Red Hot!) che non farà certo ricordare questo disco per la rivoluzione del millennio. “Dance Dance Dance” dà il contentino tecnico/ballabile finale pur non stupendo, così come “Even You Brutus” ricorda i fasti pop di Californication ma con un distacco evidente provocato da un’evoluzione del pezzo sempre teso al suo ritornello, più che alla canzone intera. Aspetto che scorrendo il disco ritroveremo sostanzialmente lungo tutta la sua durata. Regalando il premio di brano più “radiofonico” dovremo scegliere la tiratissima “Look Around”, anche questa trascinata verso il basso da un sentore di “già sentito” che però si risolve con uno splendido ritornello, forse il migliore del disco. E se non vi piace, avete capito perché non state ascoltando un album rivoluzionario come la grossa promozione che si sta facendo lascerebbe intendere.

Abbiamo quattro ottimi musicisti, ancora carichi dal punto di vista tecnico e fisico (perché i Red Hot sono anche questo); abbiamo quattordici brani che assomigliano tutti a qualcosa di già fatto, o semplicemente si assomigliano troppo tra di loro per far risultare questo disco qualcosa di sconvolgente; infine, notiamo il progressivo finire della mentalità mainstream anche dei fan originali e poi convertiti al pop dei Red Hot, stancati dalle ultime deboli fatiche (By The Way e Stadium Arcadium) oppure semplicemente interessati ad altro. E’ giusto infine lamentare anche l’esaurimento semidefinitivo di una verve estetica e muscolare che gli anni iniziano a togliere loro, nonostante ancora gli si attribuisca un flusso d’erotismo derivante dalle canzoni che si fatica a spiegare con il fiacco risultato di questo I’m With You. La formula vincente dei Red Hot gli porterà sempre la giusta quantità di denaro e fama per giustificarne una meccanica riproduzione priva di evoluzioni, ma evidentemente è anche corretto lamentarsene.

Non ci fossero stati gli ultimi due dischi, lo avremo anche potuto apprezzare, ma in questo momento, e con questa sterile densità di qualità, purtroppo non ce n’era alcun bisogno.

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