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Archive for the ‘ARTISTA: Foo Fighters’ Category

Tennent’s Vital, uno dei più grandi festival che si tengono in Irlanda del Nord ormai annualmente, quest’anno presenta un programma davvero spettacolare. In particolare, la giornata del 22 Agosto, si sono alternati sul palco come tre band principali i The Cribs, vecchia conoscenza dell’universo indie di spessore, i beniamini del periodo Black Keys e i Foos.
Almeno trentamila, ad occhio, i presenti, ma le cifre potrebbero essere quasi doppie. Nel colorato contesto di Boucher Playing Fields, parco della zona industriale di Belfast, tra fiumi di birra e un onnipresente (pessimo, peraltro) sidro di mele amatissimo da irlandesi e nordirlandesi, i The Cribs sciolgono il ghiaccio in pieno pomeriggio, tra lievi scrosci di una fastidiosa pioggerellina e il sole che appare e scompare a ripetizione. Potente il loro set, veloce e carico, con l’alternanza dei due cantanti e una buona presenza scenica a fare anche da motivazione visuale per seguire la performance con interesse. Tra le migliori in scaletta “Glitters Like Gold” e “Men’s Needs”.

I Black Keys, in sintonia con il loro periodo di cresta dell’onda, hanno un grandissimo seguito pronto ad accoglierli e infatti la loro oretta di concerto è seguito da urla e salti continui senza sosta, anche nei momenti meno accesi. Accenni di pogo, anche ingiustificato, accendono i singoli più famosi come “Gold On The Ceiling”, “I Got Mine” e “Lonely Boy” ma non si disdegnano i salti nel passato di “Thickfreakness” e “Girl Is On My Mind”. Tecnicamente la band è praticamente perfetta, in particolare Daniel Auerbach, e anche gli elementi aggiunti a seconda chitarra e basso sanno il fatto loro. Sicuramente il loro blues rock non è adattissimo a contesti di questo tipo, ma hanno ormai superato questo periodo, suonando davanti a folle sempre più grandi.

Verso le otto in una fresca Belfast giunge invece il carrozzone di Dave Grohl, attesissimo come in qualunque parte del mondo. Il set di oltre due ore e mezza tocca tutta la discografia della band, con qualche sorpresa: accanto alle solite, ma sempre gradevoli, “My Hero”, “Breakout”, “Everlong” e “The Pretender”, si stagliano tutte le nuove hit del disco nuovo, le carichissime “White Limo” e “Bridge Burning” ma anche le più melodiche ed egualmente fantastiche, soprattutto live, “Dear Rosemary” e “These Days”. Dal passato si recuperano le solite “Hey, Johnny Park!” e “This Is A Call”, che non si possono tralasciare in una scaletta che ripeschi un po’ tutta la storia dei Foos. Toccanti le esibizioni acustiche di “Wheels” e “Times Like These”, in presenza della figlia di Dave, Violet, dietro gli amplificatori. Molti i momenti comici del concerto, orchestrati dal frontman, sempre migliore nel compito di animatore di folle. Dal punto di vista tecnico non serve sprecare caratteri: sono semplicemente perfetti, e un impianto ottimo con un equilibrio dei suoni che riesce a rendergli giustizia trasforma Belfast in una rock discoteca gigante, con la gente egualmente coinvolta dalla prima alla ventiduesima canzone, senza sosta.

I ragazzi di queste zone non ricevono molti di questi festival, ricorda anche Dave. Senz’altro anche la loro presenza, con qualche nota di colore per elementi particolarmente pittoreschi, garantisce la buona riuscita di un festival così, del quale è opportuno ricordare anche l’ottima organizzazione, fantascientifica per noi italiani abituati all’incapacità dei nostri addetti ai lavori. Tutte le band sono uscite a testa alta, così come il pubblico, per una giornata veramente indimenticabile.


SETLISTS

THE CRIBS
Come On, Be A No-One
Hey Scenesters!
Mirror Kissers
Glitters Like Gold
I’m a Realist
Chi-Town
Cheat On Me
Be Safe
City of Bugs
Men’s Needs

BLACK KEYS
Howlin’ For You
Next Girl
Run Right Back
Same Old Thing
Dead and Gone
Gold On The Ceiling
Thickfreakness
Girl Is On My Mind
Your Touch
Little Black Submarines
Money Maker
Strange Times
Nova Baby
Tighten Up
Lonely Boy
I Got Mine

FOO FIGHTERS
White Limo
All My Life
Rope
The Pretender
My Hero
Dear Rosemary
Learn to Fly
Arlandria
Cold Day In The Sun
Generator
Walk
These Days
Monkey Wrench
Hey, Johnny Park!
This Is A Call!
Bridge Burning
In The Flesh? (Pink Floyd cover)
Best of You
-encore-
Wheels
Times Like These
Breakout
Everlong

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E così, tra critiche ed elogi, è arrivata l’edizione duemilaundici del celebre festival all’Idroscalo di Milano, spostato stavolta su una distesa di cemento che sarebbe la cosiddetta Arena Concerti della nuova fiera di Rho. Da settimane internet è in fermento per le pesanti restrizioni che si volevano imporre ai fans, costretti, si diceva, a non introdurre nessuna cibaria all’interno dell’area del festival, dovendo così sborsare decine di euro per passare la giornata che, come previsto, è stata lunga e afosa. Così non è stato.
Nefandezze italiote a parte, passiamo alla musica. L’ordine di esecuzione ha visto ovviamente iniziare la kermesse i vincitori del concorso indetto da Sony Italia, gli About Wayne, selezionati per una cover dei Foo Fighters appositamente registrata: il loro rock melodico scalda la folla, ancora ben lontana dal raggiungere i trentamila che si registrano invece in serata, ricordando, nel breve lasso di tempo occupato dalle loro tre canzoni, prima i 30 Seconds to Mars, poi gli Incubus. Un’esibizione sentita, gradevole e onesta, che senz’altro non ha deluso.
Lo stesso si può dire degli Outback, band accolta con una certa approvazione seppur ci sia ancora un clima d’indifferenza per il troppo caldo che spinge molti ad inventare stratagemmi d’ogni tipo pur di ripararsi dal sole: dietro gli stand, dietro i bagni chimici, seduti a ridosso dei banconi dei bar a farsi mandare via. Ma tanto vale provare. La sicurezza della band sul palco ha contribuito a concretizzare una performance matura e liscia, incisiva pur se nella sua brevità ha mancato nel suscitare il giusto interesse.
I Ministri, band amatissima dal sottoscritto fino all’uscita di Fuori, disco invece mediocre, si rendono autori di una performance ottima dal punto di vista scenico, appena discreta da quello tecnico, cosa che significa che stiamo davvero guardando i tre milanesi. La gente conosce le loro canzoni, apprezzando soprattutto gli ormai classici del rock italiano mainstream “Diritto al Tetto” e “Tempi Bui”, non disdegnando il salto nel passato di “I Nostri Uomini Ti Vedono”, ma rintuzzando un po’ le nuove, accolte in maniera un po’ meno calorosa ma sempre in un clima di generico apprezzamento. Buon momento di gloria italiana? Forse, ma con i pezzi nuovi manca qualcosa, e non lo si può negare.
Con i Flogging Molly i primi movimenti fisici aprono le strade a quello che sarà un vero e proprio tormento tra spintoni e anche un pizzico di maleducazione: durante il loro set di ottimo punk rock (o celtic punk, come lo chiamano) la gente ha iniziato a scaldarsi, non riuscendo comunque a rimanere tutto il tempo immobile sotto il palco a causa di un solleone che cuoce veramente l’asfalto e chi lo calpesta. Gran concerto, veloce e carico; sono le tipiche band che non sentono gli anni passare, e a noi non può che far piacere.
Ai Band of Horses è toccato il mio personale momento di doverosa disattenzione. Il riposo pre-pogo non mi ha permesso di seguirli con la giusta concentrazione, ma il loro indie melodico non stupisce né delude, e si colloca in quel faldone sterminato di band che rischiamo di perdere d’occhio quotidianamente per un sovrappiù che non terminerà mai di aggiungere pagine al suo catalogo.
Quando salgono sul palco i The Hives l’aria inizia a soffiare stemperando un po’ gli animi. La carica del loro indie rock scatena in pochi secondi un pogo esagerato ma ancora godibile, mentre, saltando a pié pari alcuni prevedibili singoli, si stillano brani nuovi e momenti più celebri come “Tick Tick Boom”, cantata a squarciagola da migliaia di persone. Una performance veramente energica, calda e ben suonata. Inconcepibile come sia stato possibile per loro suonare in smoking.
Sembra incredibile, ma c’era qualche centinaio di persone che aspettava il furoreggiante live dei Social Distortion, vere leggende punk che hanno ovviamente confermato la loro notoria vena da animali da palcoscenico. “Mommy’s Little Monster” la migliore in scaletta, ma il pubblico ha apprezzato di più molti altri momenti, stranamente anche tratti dagli ultimi lavori. C’è anche chi urla “il rock siete voi, altro che Foo Fighters”, ma forse hanno sbagliato posto perché la gente inizia a trepidare per l’attesa.
Cinquanta minuti per la vera leggenda sul palco, se proprio non vogliamo già considerare tale anche il buon Dave. Iggy Pop coi fidi The Stooges distilla quasi un’ora di gonfissimo rock, sporco e cattivo, che anche nei momenti più melodici gratta in maniera quasi innaturale considerata l’età del vecchio cantante, che conserva comunque un’energia sul palco e una voce che non molti coetanei si possono permettere. Muscoli flaccidi e inguardabili a parte, un grande uomo e un grande artista, che non ha rinnegato neppure le sue enormi capacità di intrattenitore. Spaccare l’asta del microfono, a un certo punto, sembrava quasi obbligatorio.

Arrivati al momento più atteso, l’impressione è che la scaletta sia stata costruita in maniera intelligente, generando una sorta di crescendo anche nell’interesse del pubblico che ha portato ad applaudire soprattutto le band del tardo pomeriggio. Sono le 22.30 in punto quando i Foo appaiono sul palco, e con l’estrema aggressività del nuovo disco inaugurano una setlist che non cesserà di movimentare corpi e corde vocali per due ore tirate, un po’ meno di quanto si sta attualmente facendo tra tour americano ed europeo. E’ evidente che la band è in forma, soprattutto Taylor Hawkins che dietro le pelli fa un lavoro semplicemente ineccepibile; altrettanto precisi e potenti sono stati gli altri, complice anche un impianto potentissimo che, al contrario di quanto successo due settimane fa con i System of A Down, ha colpito a morte tutti gli astanti con un muro di suono spaventoso, ma pulito e pienamente comprensibile. Dave Grohl è tutto ciò che video su YouTube e interviste a raffica su MTV confermano: una sorta di divinità della musica moderna, acclamato in ogni momento, tanto da notare il grande calore del pubblico italiano che viene giustamente ringraziato. Ma non c’è miglior ringraziamento della musica: solo cinque i brani del nuovo album, i migliori (a parte “Dear Rosemary”, gloriosa assente) del lotto, e quindi parliamo di “Bridge Burning”, “Arlandria”, “White Limo” e i due estratti “Walk” e “Rope”, quasi tutti nella prima metà della setlist; non mancava nessuna delle grandi hit, sempre richiestissime, come “Everlong” in chiusura, “All My Life”, “Best of You” e “Learn To Fly”. Canzoni meno prevedibili, ma perfette come timing all’interno della scaletta, sono state “Generator”, “Stacked Actors” e “Let It Die”, mentre le presenze fisse solitamente meno amate “Cold Day in The Sun” e “Skin and Bones” hanno invece riscosso lo stesso enorme successo di tutte le altre. Spazio anche a due cover, “Tie Your Mother Down” dei Queen e “Young Man Blues” di Mose Allison, eseguite perfettamente proprio come tutto il set, impreziosito da molti allunghi, simil-jam e depistaggi all’interno dei brani più conosciuti, com’è il caso anche di “My Hero” e “Breakout”. Qualcuno sbadiglia, ma i più accorti non possono che stupirsi di fronte all’affiatamento visualizzato sul palco. C’è anche una nota di colore: le voci riguardo la presenza di Novoselic, si erano già lasciate tramortire dai silenzi degli ultimi giorni, ma chi ancora se l’aspettava ha sollevato qualche grido, soprattutto quando Dave, quasi prendendo in giro, ha ricordato che vent’anni fa “suonava in una band che si chiamava….Scream”. Credevate stesse per dire Nirvana vero?

Che dire, le quasi dieci ore consecutive di musica hanno mandato a casa quasi tutti con il sorriso, mentre anche baracchini e bagarini levavano le tende coi loro rotoli di banconote. La polizia, stavolta, non ha fatto nessun blitz contro i falsari di maglie: che dire, non è questo l’importante. La calura, il sole e le critiche iniziali non sono riuscite a rovinare una giornata che si è dimostrata del tutto divertente, valendo ogni singolo centesimo dei cinquantasei euro del biglietto. Cifra onesta, stranamente.
Con qualche accorgimento in più l’arena all’interno di questo polo fieristico può diventare un punto di riferimento per i grandi eventi musicali, ma per evitare svenimenti dovuti all’afa ci si deve premunire perlomeno di personale per distribuire gratuitamente acqua ghiacchiata. Molti si sono anche lamentati della gestione dell’anello frontale, una sorta di area VIP che è stata a più riprese definita tale oppure “zona di decompressione”: avere il braccialetto per entrarci costava, a confermare un nuovo latrocinio che fa ad aggiungersi ai tanti inflitti ai poveri fans della musica in Italia.
La musica è stata la vera protagonista, allontanando ogni presentimento di delusione già dopo i Flogging Molly: lo si rifarebbe ogni giorno, alle stesse condizioni, con le stesse band. Veramente fantastico.

SETLIST: FOO FIGHTERS
1. Bridge Burning
2. Rope
3. The Pretender
4. My Hero
5. Learn to Fly
6. White Limo
7. Arlandria
8. Breakout
9. Cold Day in The Sun
10. I’ll Stick Around
11. Stacked Actors
12. Walk
13. Monkey Wrench
14. Let it Die
15. Generator
16. Times Like These
17. Young Man Blues (Mose Allison cover)
18. Best of You
19. Skin and Bones
20. All My Life
21. Tie Your Mother Down (Queen cover)
22. Everlong

SETLIST: IGGY POP & THE STOOGES
1. Raw Power
2. Search and Destroy
3. Gimme Danger
4. Shake Appeal
5. 1970
6. Open Up and Bleed
7. I Got A Right
8. I Wanna Be Your Dog
9. No Fun

SETLIST: SOCIAL DISTORTION
1. Bad Luck
2. Nickels and Dimes
3. Story of My Life
4. Mommy’s Little Monster
5. Machine Gun Blues
6. Ball and Chain
7. Gimme the Sweet and Lowdown
8. Don’t Drag Me Down
9. California (Hustle and Flow)
10. Can’t Take It With You
11. Ring of Fire (Johnny Cash cover)

SETLIST: THE HIVES
1. Come On
2. Main Offender
3. Go Right Ahead
4. Die Alright
5. Walk Idiot Walk
6. Hate To Say I Told You So
7. Bigger Hole to Fill
8. No Pun Intended
9. Take Back the Toys
10. Try It Again
11. Won’t Be Long
12. Tick Tick Boom

SETLIST: BAND OF HORSES
1. Laredo
2. Is There a Ghost
3. The Great Salt Lake
4. Islands on the Coast
5. NW Apt.
6. Wicked Gil
7. Ode to LRC
8. The Funeral

SETLIST: FLOGGING MOLLY
1. The Likes of You Again
2. Revolution
3. Drunken Lullabies
4. Requiem for a Dying Song
5. Saints and Sinners
6. Float
7. Devil’s Dance Floor
8. Don’t Shut ‘Em Down
9. What’s Left of the Flag
10. Seven Deadly Sins

SETLIST: MINISTRI
1. Il Sole (E’ Importante che Non Ci Sia)
2. I Nostri Uomini ti Vedono
3. Mangio La Terra
4. Noi Fuori
5. Tempi Bui
6. Diritto al Tetto
7. Abituarsi alla Fine

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ETICHETTA: Roswell/RCA
GENERE: Alternative rock

TRACKLIST:
1. Bridge Burning
2. Rope
3. Dear Rosemary
4. White Limo
5. Arlandria
6. These Days
7. Back & Forth
8. A Matter of Time
9. Miss The Misery
10. I Should Have Known
11. Walk

Esistono persone che hanno avuto il coraggio di mettere in discussione qualcosa fatto da Dave Grohl? Se si, presentatemele, sarebbe veramente un onore poter capire dove, e soprattutto se, nella sua carriera ha fatto qualcosa che non andava bene. Per non fraintendere, prima di continuare a leggere ascoltatevi Wasting Light, per non arrivare prevenuti: i Foo Fighters, tra le rock band americane mainstream, sono sempre stati non solo i più famosi ma anche i più sfrontati, geniali e freschi nel mischiare i linguaggi più propriamente commerciali della melodia e del power chord punk rock, rimanendo però una spanna sopra gli altri grazie ad un songwriting energico e muscolare, mai ripetitivo e mai abbandonato a soluzioni discontinue di inversioni di rotta o rinuncia di un percorso concretizzatosi sommariamente dopo la fine dell’esperienza dei Nirvana.
Energico e muscolare, dicevamo, proprio come lo stile di Dave Grohl batterista, e Wasting Light è propriamente l’album in cui la sua essenza di folle picchiatore di pelli più che in ogni altro emerge, nella costruzione delle linee vocali e, ancor di più, in quelle di chitarra. Seguendo due bisettrici che non lo tagliano precisamente a metà, spostando l’asse verso la prima che citerò, questo loro settimo full-length è divisibile in: brani cattivi, meno tradizionali, lontani dal sound a cui siamo abituati, dove prevale lo screaming che Dave aveva abbandonato dopo il self-titled; brani melodici che si preoccupano molto spesso di andare alla deriva creando sensazioni molto simili ad un agrodolce o, trasformandolo in musica, in un piano-forte che non fa altro che generare ulteriore tensione e appeal nei brani. Lo vogliamo tradurre in titoli di canzoni? Alla prima categoria appartengono “Bridge Burning”, “White Limo” e “Arlandria”, quest’ultima, insieme al singolo “Rope” e a “Dear Rosemary” situata in un punto di congiuntura tra le due classificazioni, che portano a “Walk” e “These Days”, nell’altro versante: tutti e sei i brani citati virano verso un sound molto diverso, con le chitarre a graffiare molto più che negli ultimi tre dischi, la batteria a sorreggere un comparto ritmico che non è mai stato così impulsivo e nervoso, un basso poco presente ma che svolge egregiamente la sua funzione un po’ troppo impostata sull’accompagnamento più classico. Stupefacente invece tutto il lavoro alla voce, che riesce a trasformare un timbro fin troppo riconoscibile in un catalizzatore per linee vocali che sfuggono ad ogni definizione, in una convergenza tra orecchiabilità radiofonica e impropria agitazione stoner/metal, con una strizzata d’occhio a Josh Homme e Bob Mould, tra l’altro ospite nel disco (ma c’è anche Novoselic, seppur non pubblicizzato come ogni buon “commerciante di musica” avrebbe fatto, altro punto a favore del disco, che prosegue su quella falsariga di buonismo rock che li ha sempre tenuti lontani dall’essere stadium band in Europa, se escludiamo la Gran Bretagna).
Un punto debole è senz’altro da individuare nella pesantezza dei brani che, ascoltati di fila più di qualche volta, rischiano di far saltare la sensazione di stupore iniziale: dopotutto è sempre stata una caratteristica dei Foo, ma in questo caso l’innalzamento dei toni rischia di minare ulteriormente l’effetto sorpresa sull’ascoltatore, per questo è consigliabile ascoltarlo a piccole dosi, tenendo conto che non tutti i brani sono propriamente “dei singoli” come molti fan si aspettano.

La presenza nel disco di scelte metal (“White Limo”), southern rock (“Back & Forth”, che ricorda vagamente i Kings of Leon meno banali) e, esageriamo con le definizioni, power-pop (“Rope”), trasforma Wasting Light nel vero disco definitivo dei Foo Fighters: nessuno lo definirà mai il migliore, ma un critico onesto dovrà riconoscerne la vocazione di album della conferma, conferma che Dave Grohl non deve più dimostrare niente a nessuno, forte di una personalità che non si realizza solo sul palco ma anche dietro le quinte, nei lavori di composizione di un disco che effettivamente attestano una maturità musicale di cui alcuni ancora dubitavano. Ora non potete più farlo.

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