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Archive for the ‘ETICHETTA: Jagjaguwar’ Category

Recensione di ANDREA MARIGO
ETICHETTA: Jagjaguwar
GENERE: Folk

TRACKLIST:
1. Flume
2. Lump Sum
3. Skinny Love
4. The Wolves (Act I and II)
5. Blindsided
6. Creature Fear
7. Team
8. For Emma
9. re: Stacks

VOTO: 4/5

 

Qualche anno fa ho visto unʼintervista di una band, di cui non ricordo il nome, dove un componente affermava, con un sorriso beffardo ma rassegnato, che se una persona suona e scrive canzoni lo fa perchè “sta male”.
Eʼ unʼaffermazione che può forse spaventare, ma non cʼè nulla di più vero.
La chicca del discorso sta nel fatto che affrontare il malessere, il dolore (verso la società, lʼamore, te stesso, quello che vuoi) è la chiave per ucciderlo. E non è altrettanto vero che le canzoni malinconiche sono quelle che poi alla fine ti piacciono di più? Quelle che porti sempre con te, perchè non lo sai neanche tu, ma sono quelle che ti muovono i sentimenti, e i sentimenti sono quelli che ti fanno sentire vivo.
Bon Iver, ovvero Justin Vernon, nel 2007 si ritira in solitudine, causa sofferenza dʼamore, scioglimento della band che aveva, conseguente smarrimento di se stesso, in una baita dispersa nei boschi. Dʼ inverno. Con la neve.
Le giornate corte, le notti lunghe, silenziose, ma forse più rumorose di qualsiasi megalopoli.
Allora quando sei da solo con te stesso e ti manca lʼamore, quello che ricevi dagli altri, fai ricorso a chi non ti tradirà mai: gli animali, la natura, la luna e la chitarra che, stai sicuro, aspetta sempre e solo te.
E il rumore del silenzio che sentivi, pian piano svanisce e ti accorgi della straordinaria e perfetta fragilità melodiosa del resto che ti circonda: la neve, il vento, le montagne, la legna, il bosco.
Nasce così “For Emma, Forever Ago”, in quattro mesi di luna che si riflette sulla neve, dove guardandola pian piano, ci si accorge che illumina quello che hai intorno come non avresti mai pensato.
Vernon adopera voce in falsetto, straordinaria.
Le voci, meravigliose, diventano spesso e volentieri corali, una chitarra acustica, dei suoni in lontananza, riverberati, giusto quel che serve per fare atmosfera.
Qualche batteria leggera perchè di più avrebbe rovinato lʼ intimità dei 9 brani, uno più straordinario dellʼ altro.
Allora qui ci senti lʼamore, la disperazione, la solitudine, lʼangoscia, la speranza, la voglia di reagire in un percorso naturale, che si evolve come la natura reale.
Sentimenti che emergono in tutte le tracce del disco.
Bisogna ricordare che, acquistabile su Itunes, vi è anche una bonus track “Wisconsin”, unʼaltra gemma, un altro cristallo di neve.
Bon Iver è una traduzione sporcata dal francese (Bon Hiver) che significa Buon Inverno, la stagione più dura delle quattro, la più introspettiva, ma forse la più magica.
Allora, visto che adesso che scrivo è dicembre e fuori fa freddo, questo disco è perfetto per dire a tutti Buon Inverno.
Godetevelo, fatevi cullare, che Vernon vi fa la migliore colonna sonora che potete trovare, per portarvi a primavera

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Recensione di ANDREA MARIGO
ETICHETTA: Jagjaguwar, 4ad
GENERE: Folk, alternative

TRACKLIST:
1. Perth
2. Minnesota
3. Holocene
4. Towers
5. Michicant
6. Hinnom, TX
7. Wash
8. Calgary
9. Lisbon, OH
10. Beth/Rest

VOTO: 3.5/5

Justin Vernon aveva sorpreso tutti nel 2008 con il bellʼesordio “For Emma, Forever Ago”,  album composto in solitudine, in una baita, disperso nei boschi e nella neve.
Lʼ attesa per questo secondo album era grande.
Justin Vernon, in arte Bon Iver, non è più quello del primo album, almeno musicalmente
parlando.
Ma, ma, ma, ma attenzione: il cambiamento, come a volte accade, non è sinonimo di passi indietro, ma di crescita, artistica sʼ intende. Nel suo nuovo lavoro il buon Justin cambia lʼapproccio e gli ingredienti ai brani, lascia invariato il suo modo di porre la voce, in quello strano falsetto, tanto particolare quanto piacevole, ma riempie i pezzi colorandoli in maniera differente e più ampia rispetto al
passato.
La chitarra acustica lascia spazio più volentieri alla chitarra elettrica, come in “Perth”, canzone bellissima e “Holocene”, altra perla, e così fa pure in “Towers” e “Michicant”.
Atmosfere che dipingono paesaggi emozionanti nel loro piccolo, nella loro intima  semplicità (la copertina parla chiaro), questi sono i pezzi migliori dellʼ album.
In “Wash” appare un pianoforte, leggero, fantastico e degli archi che danno morbidezza e  fanno da quinta teatrale al brano.
Altra misura che adotta, per cercar di dar vita a quel velo di intima ma benefica solitudine notturna che da sempre caratterizza i suoi brani, è lʼ uso di batterie mai invadenti in molti brani, come in “Minnesota, WI”.
Riaffiora poi qualche chitarra acustica “Calgary” arrivando ad usare atmosfere e tastiere pop anni 80 con percussioni sintetizzate “Hinnom, TX” e “Beth/Rest” esperimento bruttino a mio avviso, soprattutto nella traccia di chiusura dellʼ album.
In “Lisbon, OH” sfiora le intro dei Sigur Ros, a modo suo, ma qui è davvero bravo.
Bon Iver, Bon Iver ci mostra quindi un nuovo lato del cantautore americano, quel poco meno romantico rispetto allʼesordio, ma più vario.
La critica è sulla discontinuità che lʼ album presenta, causa i brani in cui vuole esagerare staccandosi da quello che sa fare meglio: il folk, anche con la chitarra elettrica.
Infine comunque pollice in su per Vernon, che ha dato conferma di essere un bravo artista, sincero, che sa fare buoni dischi.

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