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Archive for giugno 2011

ETICHETTA: Produzioni Dada
GENERE: Pop rock, new wave

TRACKLIST:
1. Enemy
2. I Hate You
3. Love Is A Warmgun
4. I Can’t Stay
5. My Doll
6. Teen Attitude
7. Wake Up
8. Ghost Town
9. Change
10. Without You

La scena gardesana non sfiorisce: gli Speedliner, da Desenzano, nati appena un anno fa, arrivano al primo full-length senza passare dal via, prodotti direttamente da Fausto Zanardelli, in arte Edipo. La pulizia del sound che lui sempre ricerca si riverbera quindi anche nel disco di questi ragazzi, che non sembrano certo dei neofiti vista la raffinatezza di alcuni arrangiamenti.
New-wave e synth-pop tra le chiavi di lettura più semplici da carpire, mentre si scende in sentieri più determinati dall’introspezione indie rock, sporcandosi di The Bravery e parzialmente dei nuovi Band of Horses.
Non stupisce la presenza di filtri depechemodiani più o meno diffusi, laddove l’ispirazione prima di questo mondo oscuro, quasi dark, è proprio il cantato di Dave Gahan. Non ci si abbandona a particolari momenti di riflessione, certo, ma i contenuti sono validi, soprattutto dal punto di vista musicale e letterario: contestualmente, si sceglie la critica della società per fare un viaggio all’interno del mondo di tutti i giorni, dei rapporti interpersonali e del quotidiano. Le formulazioni più evidenti sono quelle del pop-rock, manifestazioni evidenti di una scelta di ricerca dell’orecchiabilità, anche nelle scelte lessicali.

In sostanza, un disco semplice, che non aggiunge niente di nuovo alla nostra scena, né tantomeno al suo riferimento più esplicito: quello indie dalle venature dark, se vogliamo post-punk. Gli Speedliner possono senz’altro personalizzare ulteriormente la loro produzione, e le venature più caratteristiche che si riscontrano in momenti come “My Doll”, “Teen Attitude” e “Change” senz’altro lasciano ben sperare. Li rivaluteremo a tempo debito.

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Sonisphere. Per parlarne ci dobbiamo dividere il lavoro in capitoli perché le cose da dire non sono poche.
Il divertimento, stavolta, non è stato smorzato da sviste organizzative che hanno alterato il buonumore a molti fan dei Foo Fighters o dei System of A Down, per citare alcuni degli appuntamenti più attesi e criticati (in primis per i prezzi). Vediamo nel dettaglio cos’è toccato a noi di The Webzine nella trasferta imolese.

LA MUSICA
– Il cartellone
Le band che si sono alternate sul palco del Sonisphere sono state molte, tutte straniere, ma meno di quante si era annunciato. A pochi giorni dall’inizio dei concerti i gruppi che si sarebbero dovuti esibire sullo stage secondario sono stati spostati al main o tolti dal calendario, con conseguente sdegno di alcuni che lamentavano la necessità di diminuire il prezzo del biglietto. In realtà era ovvio che a biglietti già venduti in grandi cifre non si poteva fare granché, ma la strategia di cancellazione dell’Apollo Stage si può senz’altro spiegare come un taglio delle spese per arginare i pochi guadagni. Meno personale e meno consumi. Ma ne parleremo poi.
Nella distribuzione delle band si nota una concentrazione metal il primo giorno, con Apocalyptica, Rob Zombie, Motorhead, Slipknot e Iron Maiden, mentre gli Alter Bridge, esibitisi nel giorno successivo, potevano essere la ciliegina sulla torta che è invece rimasta inserita altrove come una specie di macchia nera. In generale però il pubblico era abbastanza omogeneo così come si poteva apprezzare la “vicinanza di genere” delle band del primo giorno, e quella di “target” del secondo.

– Le esibizioni
Quasi tutte le band hanno fatto la loro porca figura. Non si può parlare di grandi errori o performance scarse: dagli headliner fino alle band del mattino, sul palco si sono alternati grandi professionisti e bestie da palco d’ogni sorta. Iron Maiden, Motorhead, Rob Zombie, Mastodon e The Cult hanno fatto registrare le esibizioni tecnicamente più buone, e ovviamente Linkin Park, Slipknot e Maiden si sono anche goduti il calore del pubblico che era lì quasi solo per loro. In scaletta per tutti e tre i singoli storici, e brani più nuovi dei recenti lavori (per gli Iron si denota la buona scelta di inserire in setlist solo i pezzi migliori del mediocre The Final Frontier, in particolare “The Talisman”, ottima dal vivo). Chester Bennington si è reso protagonista di una performance vocale spettacolare che recupera lo screaming perduto negli ultimi anni per restituire uno show unico: anche la loro scaletta è stata molto buona, riprendendo anche rarità come “From The Inside”; decenti anche le canzoni più recenti, che all’interno di un concerto abbastanza breve sono riuscite a ricavarsi uno spazietto intermedio che ha giovato alla loro buona resa. Deboli invece le esibizioni di Funeral For A Friend e i Guano Apes.
Anche i Sum 41 si sono guadagnati il rispetto di molti presenti, tra i quali non mancavano i detrattori; lo show è stato piuttosto debole dal punto di vista tecnico, ma il coinvolgimento ha spostato l’ago della bilancia in posizione favorevole. “In Too Deep”, “Still Waiting” e “The Hell Song”, da singoloni quali sono, hanno anche scatenato un pogo notevole, trascinando la folla anche nel momento del “metal medley”, con ovvia presenza di “Master of Puppets” (lo avevano fatto anche gli Apocalyptica il giorno prima, insieme all’inno di Mameli).
I My Chemical Romance, che avevo parzialmente gradito al loro live al Palasharp di qualche mese fa, hanno invece patito il tipico comportamento deleterio da pubblico italiano: fischi e oggetti lanciati, principalmente per pregiudizi, perché la performance è stata intensa e carica. Gerard e soci hanno così lasciato il palco prima di terminare il set in maniera piuttosto sbrigativa e indelicata, ma comprensibile.
La perfezione di Motorhead e Mastodon, invece, non si tocca. Classe allo stato puro, specialmente per i rispettivi batteristi.
Slipknot interessanti, con il basso nascosto (com’era prevedibile), ma non più carichi come un tempo: Joey Jordison si è reso protagonista di un concerto pessimo, incapace di sostenere ritmi precisi con la doppia cassa. Gli anni passano per tutti, ma la gente sembra ancora amarli. Eccellenti “The Heretic Anthem” e “People=Shit”.
Assolutamente da sottolineare l’impianto pessimo, che cambiava di volume ogni metro di spostamento, non arrivando a “colpire” appieno chi si trovava a 100 metri dal palco. Da notare come anche Bruce Dickinson abbia maledetto l’impianto pubblicamente, con grande felicità degli organizzatori. O anche questa volta se ne fregheranno?

L’ORGANIZZAZIONE
Sicuramente sopra il livello di chi ha organizzato Rock in Idrho e altri festival. La location era abbastanza ben gestita, nelle sue dimensioni ridotte: i prezzi di parcheggio e consumazioni erano nella media, anche se continuo a definire delinquenti tutte le situazioni in cui l’acqua costa più di un euro e il parcheggio più di due euro. Questione di umanità e buonsenso, no?
Il prezzo del biglietto è stato parzialmente ripagato dalla qualità delle band e dal campeggio gratuito, mentre la fontanella per rinfrescarsi e la distribuzione gratuita d’acqua davanti alle transenne sotto il palco erano davvero necessarie per non morire sotto la cappa d’afa creatasi su questa enorme distesa di cemento. L’autodromo di Imola non è certo la location perfetta, ma del resto individuare posti migliori in zona non doveva essere facile, e quindi non criticheremo questa scelta. Una nota di colore s’ha da fare: i preservativi distribuiti gratis dalle promoter di Control sono finiti per volare gonfiati a palloncino sopra le teste della gente, con un simpatico siparietto del cantante dei Papa Roach che ne ha “catturato” uno giunto sul palco.

PUBBLICO E CIFRE
Le cifre sono contorte: 25.000 il primo giorno, dato condiviso da molte fonti, mentre per il giorno successivo si oscilla insicuramente tra 8.000 e 15.000. Non solo non sono grandi numeri, ma non sfiorano minimamente le affluenze record dei festival internazionali e sono due le cause prime: la concomitanza con molti eventi importanti, molto costosi, in tutta Italia e per tutto l’anno, e il prezzo del biglietto. Un festival italiano, con il regime di vita che abbiamo qui, può costare MASSIMO 40 euro per valere quello che viene speso. In caso contrario sarà impossibile.
In ogni caso il pubblico è stato molto caloroso, dimostrandosi freddo solo con alcuni nomi (MCR, Mastodon, certi momenti dei Bring Me The Horizon), seguendo con voce e corpo quasi tutte le performance: i big erano ovviamente i più attesi, nonostante alcuni abbiamo mostrato disinteresse andandosene dopo Slipknot e Sum 41. Kyuss Lives! in grande spolvero con il recupero della loro tradizione desert, ma il nocciolo meno duro dei fans (il 90%) non ha gradito.

Sostanzialmente un edizione sottotono rispetto a quanto poteva essere. Spazi poco utilizzati, artisti alla rinfusa, pubblico dei piccoli eventi (c’era più gente a vedere Jovanotti a Casalecchio di Reno che a vedere i Linkin Park, ad esempio). Poteva andar meglio, ma l’autodromo più rock d’Italia è stato comunque un importante teatro di vera musica in questo caldo giugno, e ancora una volta c’è stata la dimostrazione palese di quanto inarrestabili siano Lemmy e Bruce Dickinson. Up the irons e ci vediamo alle prossime edizioni del Sonisphere italiano, di nuovo all’Enzo Ferrari.

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alcune setlist

IRON MAIDEN
Satellite 15…The Final Frontier
El Dorado
2 Minutes to Midnight
The Talisman
Coming Home
Dance of Death
The Trooper
The Wicker Man
Blood Brothers
When the Wild Wind Blows
The Evil That Men Do
Fear of the Dark
Iron Maiden
(encore)
The Number of the Beast
Hallowed Be Thy Name
Running Free

SLIPKNOT
(sic)
Eyeless
Wait and Bleed
The Blister Exists
Before I Forget
Disasterpiece
Psychosocial
The Heretic Anthem
Duality
Spit It Out
People=Shit
Surfacing

PAPA ROACH
Getting Away With Murder
…To Be Loved
Kick In The Teeth
Forever
Between Angels and Insects
Hollywood Whore
Lifeline
Burn
Dead Cell
Scars
Last Resort

MOTORHEAD
Iron Fist
Stay Clean
Get Back in Line
Metropolis
Over the Top
One Night Stand
The Chase is Better Than the Catch
In the Name of Tragedy
I Know How to Die
Going to Brazil
Killed by Death
Ace of Spades
Overkill

GUANO APES
Quietly
Oh What A Night
You Can’t Stop Me
Open Your Eyes
Sunday Lover
Big in Japan
Lords of the Boards

LINKIN PARK
The Requiem
Faint
Lying From You
Given Up
What I’ve Done
No More Sorrow
From the Inside
Jornada del Muerto
Waiting for the End
Numb
The Radiance
Iridescent
The Catalyst
In The End
Bleed it Out
Empty Spaces
When They Come for Me
Papercut
New Divide
Crawling
One Step Closer

MY CHEMICAL ROMANCE
Na Na Na (Na Na Na Na Na Na Na Na Na)
Give ‘em Hell Kid
Planetary (GO!)
Hang ‘em High
The Only Hope for Me is You
House of Wolves
Bulletproof Heart
Mama
Vampire Money
Teenagers
Welcome To the Black Parade
Helena
I’m Not Okay (I Promise)

SUM 41
Reason to Believe
The Hell Song
Skumfuck
We’re All To Blame
Walking Disaster
Sick of Everyone
Over My Head (Better Off Dead)
Motivation
Screaming Bloody Murder
Metal Mayhem
Fat Lip
In Too Deep
Still Waiting

THE CULT
Rain
Every Man and Woman Is A Star
Electric Ocean
Sweet Soul Sister
Horse Nation
Rise
Lil’ Devil
Dirty Little Rockstar
Phoenix
Wild Flower
She Sells Sanctuary
Love Removal Machine

KYUSS LIVES!
Gardenia
Thumb
One Inch Man
Supa Scoopa and Mighty Scoop
Odyssey
Green Machine

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E iniziava così anche il Summer Tour 2011 degli Afterhours, mentre fervono le attese per il prossimo disco di cui si parla molto bene (in un intervista su Rockol ha partecipato al clamore anche Alberto Ferrari dei Verdena, che ha avuto però la fortuna di ascoltarlo) e la band, ritrovato l’ex Xabier Iriondo in pianta più o meno stabile, si era già resa protagonista di una potente esibizione in occasione del concerto pro-Pisapia in pieno periodo elettorale, prima di un tour anglofono all’estero.
Non c’è traccia, ovviamente, della lingua inglese in questa data inaugurale (solo in un misterioso brano difficilmente identificabile): le canzoni che vengono eseguite ricalcano in buona parte la scaletta del Summer Tour 2010, con il giusto spazio dato ai brani più potenti del repertorio vecchio e nuovo, propendendo stavolta più per quest’ultimo: molti i brani presi da Quello Che Non C’è, con la reinclusione in setlist della title-track, “Bye Bye Bombay”, “Sulle Labbra”, “Varanasi Baby” e “Bungee Jumping”. Le danze sono aperte da “La Verità che Ricordavo” e “L’Estate”, che riportano alle atmosfere del precedente tour: si ritorna poi alle preferite dei milanesi, “E’ Solo Febbre” (devastata da alcuni problemi tecnici), “Il Sangue di Giuda”, “La Sottile Linea Bianca” e versioni un po’ più cariche di “Carne Fresca” e “Ci Sono Molti Modi”. Molto sbiadita invece “Pochi Istanti nella Lavatrice”. Stupefacente la parte finale del concerto, con “Il Paese E’ Reale” unplugged, il ritorno glorioso di “Bianca”, assente da quasi dieci anni e un nuovo arrangiamento di “Pop”, anche questa rientrata in scaletta dopo tanto tempo: fantastica. La ciliegina sulla torta, “Voglio Una Pelle Splendida”, unico brano storico proposto, vista l’assenza totale di “Non E’ Per Sempre”, “Male di Miele”, “Dentro Marilyn” e “Strategie”. Per una volta, applaudiamo alla scelta.

La carica degli After nazionali non si sta esaurendo, anzi cresce con il ridefinirsi di un sound che ricorda il periodo di Germi e Hai Paura del Buio. Non si può nascondere la verità: senza Xabier tutto questo non sarebbe possibile. Ottimo Agnelli alla voce, che rischia sempre più di lasciare le corde vocali sul palco, ma riesce comunque a cavarsela bene tra screaming e pulito da pelle d’oca in puro stile Manuel. Tante imprecisioni di basso e batteria, ma ci siamo talmente abituati che ormai non conta più.
Un live ottimo, coinvolgente, in una piazza calda ma dal pubblico troppo variegato (il concerto era gratuito), che includeva quindi tanti curiosi dell’ultim’ora. I fans erano comunque numerosi e il calore si è sentito, complice un set che ha saputo ripercorrere ancora una volta la grande carriera della band di Agnelli, Prette e soci. Incorreggibili geniacci dell’alternative nostrano.

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Il primo numero di PEN MOVES, la nuova rubrica di The Webzine che dà la parola agli artisti che dicono la loro sui loro testi e la loro produzione, parte all’arrembaggio con MEZZAFEMMINA.
Le tracce del disco Storie a Bassa Audience, che avevamo recensito qui, sono state spiegate per noi dall’autore in persona.

L’album, traccia per traccia, raccontato da Mezzafemmina

Articolo 1
La storia amara e surreale di Casale Monferrato e della sua fabbrica Ethernit, raccontate dal punto di vista di un ragazzo che cerca disperatamente di far finta di nulla ma alla fine deve rassegnarsi anche lui “alla grottesca assuefazione di incontrarci puntualmente all’ennesimo funerale”

Le prigioni del 2000
La storia di un ragazzo che subisce la spersonalizzazione dei centri commerciali e vuole urlare al mondo la sua condizione di precarietà, consapevole di “meritare di più”

Insanity show
La storia di una società, della società occidentale che ci riempie di benessere ma ci rende tutti ugualmente vulnerabili alla patologia, in una sorta di tragicomica democrazia.

I pinguini si comprano il cappotto
La storia del mio amore per Torino e per il Sud, raccontate attraverso le metafore del freddo e del caldo

Giochi da grandi
La storia di Walter, un pedofilo che si rende conto di aver bisogno di aiuto ma altrettanto consapevole che “la società pensa soltanto a reprimere”.

Iside
La storia di Iside, una ragazza che racconta le violenze subite in famiglia ma anche la sua decisione di mettere fine a quel circolo vizioso, a quell’ “orrore mentre la famiglia era in festa”.

Brace
La storia di un’illusione, di un attimo inaspettato, di un’estate di irrazionalità, vissuta clandestinamente tra onde e sabbia.

Sorrisi e balle varie
La storia di una società che ha perso il valore della fatica e si culla su una comodità e su una condizione di benessere generale che “rende l’uomo più innocuo e sterile”

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Ve la ricordate la privacy?

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Tornano le note a margine. Chissà che non restino.

DIGITALISM – I LOVE YOU DUDE (V2, 2011)
Il pop elettronico e sintetico che negli anni ’90 ha fatto la fortuna di Chemical Brothers e Fatboy Slim è ormai diventato facile da riprodurre. I Digitalism avevano debuttato con un prodotto fresco e saccente, e questa volta sono tornati con la stessa cosa: scarno in quanto ad originalità, è comunque uno degli esempi principali di come agli europei piaccia (far)ballare. Julian Casablancas regala un tocco di classe indispensabile in “Forrest Gump”, ma non è la più bella del disco. Attese novità per non dichiarare bancarotta, ma I Love You Dude resiste molto bene.
VOTO: 3.5 su 5

BRUNORI SAS – VOL. 2 POVERI CRISTI (PICICCA, 2011)
Il nuovo episodio di quella che si appresta a diventare una saga storica nella tradizione cantautorale alternativa italiana è, se possibile, superiore al grande “Vol. 1”. Rino Gaetano e Capossela c’erano anche l’altra volta, ma sono scomparsi Ciampi e il primo Carboni per fare spazio agli eccessi di zelo più tipici della nuova guardia (Dente, Vasco Brondi, Dimartino). Brunori però è meno vivace, e si piega più difficilmente a certe virate populiste degli altri: sogni distrutti, tragedie e banalità quotidiane sono raccontate, di nuovo, con grandi divagazioni verbali che tengono i piedi a terra, fedeli a De André e le sue maniere rozze ma delicate allo stesso tempo. Fantastico.
VOTO: 4.5 su 5

GANG GANG DANCE – EYE CONTACT (4AD, 2011)
Da New York, furoreggiando in chart digitali e orecchie di musicofili poco estremi ma attenti: il loro electro pop dal sapore retrò per una volta non si tinge di toni vintage solo per soldi e figa. Tra oriente, dream/synth pop e scismi dance, distrugge ogni tentativo di insurrezione digitale degli ultimi anni, quasi tutti svaniti in poca cosa (Hot Chip, Knife, Digitalism, Animal Collective, Crystal Castles, i nuovi Gang of Four, tutti bravi ma nelle ultime uscite meno dei GGD). Sbiaditi per scelta, luccicano tra mille nomi per una provocante originalità che affascina nonostante alcune tonalità non brillino certo per l’innovazione dei loro colori: Eye Contact è un disco da non perdere di vista.
VOTO: 4 su 5

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ETICHETTA: Acid Cobra Records
GENERE: Indie rock, post-rock, sperimentale

TRACKLIST:
1. La Condanna
2. Transoceanica
3. De Rosario
4. Un Fiore per il Capitano
5. La Lettera
6. A.M.A.N.O.
7. Da Quando Mi Hai Abbandonato…
8. Ago e Filo
9. Scena Muta
10. L’ospedale Vecchio/I Sette Giri del Corrente

Elegante e ricco d’immagini e colori: Addio! Amore Mio è un disco completo che noi definiremo quasi l’evoluzione post-rock di una contaminazione virale tra Baustelle, Offlaga Disco Pax e Giardini di Mirò, con sonorità internazionali. La voce, incandescente e soffuso meccanismo di propaganda sperimentale, riempie solo i momenti più delicati e lascia agli strumenti il protagonismo che solitamente compete a dischi noise o post-qualcosa.
I TV Lumière sono, anche per questo, una formazione interessante, i cui brani raccontano storie che le parole difficilmente riescono a descrivere senza l’ausilio della musica. La malinconia quasi esistenzialista disegna variopinte tele d’avanguardia, alla faccia di tutti i proclami alternative della nostra nuova tradizione nazionale.
Rapiscono, quasi sequestrano, l’ascoltatore con i tortuosi voli di pianoforte in “A.m.a.n.o.” e le scintille post-rock ultraritmate di “De Rosario”. I titoli, un po’ fuori luogo a volte, sembrano voler significare sempre il contrario della canzone stessa (“La Condanna”, “Ago e Filo”). La comunicazione pare sempre interrompersi, ma l’opera trova una sua concentrazione solo dopo un doveroso assorbimento nel tempo. Il rischio della troppa diluizione c’è, ma lo si smembra pian piano, carpendo i segreti di questo sound che si frappone certamente tra la nostra tradizione strumentale troppo saldamente ancorata ai GDM sopracitati (e, quando c’è di mezzo il piano, un po’ ai momenti meno suonati degli …A Toys Orchestra) e quella ultimamente così declinata dai Mogwai. Le scelte un po’ garage nel sound gli danno un’aura da band emergente che ne nobilita lo stile.

E’ trascinante, a suo modo sfacciato, e non si lascia schiacciare dal peso delle influenze troppo evidenti. TV Lumière è un progetto a sé stante, lontano dal perdere il dono dell’originalità, infuso dal tocco classico ma contemporaneamente sperimentale di una band che dimostra abilità e maturità compositiva in ogni nota. Senza gridare al miracolo, parleremo di questo disco per qualche mese come un delicato diversivo alla musica di tutti i giorni, o un palliativo per le delusioni che accompagnano sia la nostra scena mainstream che quella underground. Ci si sta risvegliando? Ce lo dirà il loro prossimo full-length.

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ETICHETTA: Seahorse Recording
GENERE: Grunge, alternative rock

TRACKLIST:
1. Chapter II
2. Ground
3. Soldat Perdu
4. Major E
5. Gordon Pym
6. Youth
7. Bluesman
8. How to Forget an Ocean
9. It Shines
10. Somethin’ Beats Me
11. Indian Spring
12. Massacre

Più che un diario di guerra, una storia d’amore finita. Quella tra il grunge e le band che vogliono suonarlo. Perché questo genere, che è stato uno stile di vita, una chiave di lettura della società di una certa parte d’America e poi del mondo da vent’anni fa e solo per breve tempo, e forse anche uno stato d’essere, si è trasformato in musica prima in un popoloso stuolo di seguaci che l’ha pure reso famoso, poi, sempre più, in una caricatura di sé stesso, con band che copiano le copie delle copie ed altre che tentano di non somigliare troppo ai predecessori diventando, solitamente, ridicoli.
Gli Ananda non si preoccupano di sollevarsi dal mucchio, di apparire diversi: semplicemente, il loro volere, fin troppo chiaro, è quello di rappresentare ancora quel filone, morto e sepolto, di cui sopra. Noi che in Italia di “vere” grunge band non ne abbiamo avute, perché sono quasi tutte morte subito o si sono semplicemente evolute in qualcosa di meglio (Verdena?), vediamo ora proliferare nella consueta banalità dischi come Wardiaries. E’ impensabile che il lavoro di una band comunque abile si possa stroncare in poche parole, ma proveremo ad essere concisi: strumenti alternativi come il violoncello soffocano le atmosfere acustiche di Alice in Chains, Nirvana e Stone Temple Pilots in una maniera che li cita così tanto da sembrare un plagio; le parti strumentali ricordano fin troppo i Soundgarden, forse con una virata all’italiana che perlomeno salva la faccia (“Ground”); la voce troppo fitta sembra una macchietta alla ricerca di una definizione migliore, lontana dal tipico timbro che ha fatto celebre il grunge. Sarebbe un’ottimo punto a favore di questo disco, ma l’impianto su cui si sorregge l’intera baracca è troppo fragile e si porta nel burrone anche le originali linee vocali di alcuni brani (“It Shines”, “Massacre”). Si rincorre l’autocitazione, finendo per citare le proprie influenze.

La violenza della malinconia, diceva qualcuno. E’ questo che il grunge e tutte le sue declinazioni più commerciali ha sempre voluto comunicare con quelle ballad strappalacrime che, bene o male, funzionavano nonostante un impianto fotocopia stereotipato sempre più negli anni. Gli Ananda ci hanno riprovato, a confermare l’anima meno folkloristica che il nostro tetro paese ancora ha, ma una scarsa maturità nel songwriting unita ad un pessimo uso dell’originalità come strumento compositivo, ne ha rovinato ogni possibilità di ascesa.
Non distruggiamoli troppo e ammettiamo, prima di concludere, un’ultima cosa: questo dico, nel 1994, avrebbe spaccato il culo, commisurato all’arretratezza del grunge italiano. Oggi, semplicemente, è fuori tempo massimo. Se siete ancora attaccati a quel modo di vivere la musica, è anche possibile che lo troviate fico.

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Recensione scritta per INDIE FOR BUNNIES
ETICHETTA: K7!
GENERE: Electro, indie, dance

TRACKLIST:
1. Konkylie
2. Church and Law
3. Parix
4. Chestnut
5. The Same Scissors
6. Jets
7. Kelly
8. On The Move
9. Whoever Made You Stand So Still
10. Add Ends

I When Saints Go Machine sono un premiatissimo quartetto danese che da qualche anno attira una crescente attenzione dei media attraendo, ovviamente, anche la nostra. Konkylie è il primo full-length ma segue un bellissimo EP, Fail Forever, che un po’ ci aveva dimostrato il soffice dance pop di una band delicata ma abile a far ballare in quattro quarti con inserimenti sperimentali levigati ma ancora limitati. E’ con questa nuova uscita che il sound si perfeziona, aprendo le porte a sferzate di electro-pop britannico in grado di balzare dagli MGMT ai TV On The Radio, senza disdegnare Talking Heads e Eurythmics, includendo quindi inserti più banali à-la-nuovanewwave. Il songwriting modesto ma originale della band nordeuropea si sente soprattutto nella title-track, in “Parix” e in “Kelly”, dove furoreggiano con un synth pop semplicistico e di facile comprensione, istantaneo nella presa, e di piena ispirazione scandinava. Non mancano incroci con la musica orchestrale più sinfonica (“Church and Law”), così come non si tengono lontani neppure i Depeche Mode, che lasciano un’ingenua ma indelebile traccia in molti dei brani più pop.

Una produzione fresca, intelligente e normodotata ci presenta un disco genuino e pulito, forse un pochino troppo lindo; le sbavature non sono contemplate e questo può piacere, ma un’anima più live poteva giovare ai momenti più (realmente) dance, come ci insegnano Justice e Does It Offend You Yeah!, giusto per accostare nuovamente la band ad orizzonti indie più moderni.
Essenzialmente il disco non eccelle in nessuna sua caratteristica, ma si colloca in quella fascia in cui originalità, precisione chirurgica e un estro creativo profondo e mai acerbo riescono a renderlo interessante. A prescindere. Lo si ascolta volentieri, ma si aspetta il probabile salto di qualità definitivo.

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E così, tra critiche ed elogi, è arrivata l’edizione duemilaundici del celebre festival all’Idroscalo di Milano, spostato stavolta su una distesa di cemento che sarebbe la cosiddetta Arena Concerti della nuova fiera di Rho. Da settimane internet è in fermento per le pesanti restrizioni che si volevano imporre ai fans, costretti, si diceva, a non introdurre nessuna cibaria all’interno dell’area del festival, dovendo così sborsare decine di euro per passare la giornata che, come previsto, è stata lunga e afosa. Così non è stato.
Nefandezze italiote a parte, passiamo alla musica. L’ordine di esecuzione ha visto ovviamente iniziare la kermesse i vincitori del concorso indetto da Sony Italia, gli About Wayne, selezionati per una cover dei Foo Fighters appositamente registrata: il loro rock melodico scalda la folla, ancora ben lontana dal raggiungere i trentamila che si registrano invece in serata, ricordando, nel breve lasso di tempo occupato dalle loro tre canzoni, prima i 30 Seconds to Mars, poi gli Incubus. Un’esibizione sentita, gradevole e onesta, che senz’altro non ha deluso.
Lo stesso si può dire degli Outback, band accolta con una certa approvazione seppur ci sia ancora un clima d’indifferenza per il troppo caldo che spinge molti ad inventare stratagemmi d’ogni tipo pur di ripararsi dal sole: dietro gli stand, dietro i bagni chimici, seduti a ridosso dei banconi dei bar a farsi mandare via. Ma tanto vale provare. La sicurezza della band sul palco ha contribuito a concretizzare una performance matura e liscia, incisiva pur se nella sua brevità ha mancato nel suscitare il giusto interesse.
I Ministri, band amatissima dal sottoscritto fino all’uscita di Fuori, disco invece mediocre, si rendono autori di una performance ottima dal punto di vista scenico, appena discreta da quello tecnico, cosa che significa che stiamo davvero guardando i tre milanesi. La gente conosce le loro canzoni, apprezzando soprattutto gli ormai classici del rock italiano mainstream “Diritto al Tetto” e “Tempi Bui”, non disdegnando il salto nel passato di “I Nostri Uomini Ti Vedono”, ma rintuzzando un po’ le nuove, accolte in maniera un po’ meno calorosa ma sempre in un clima di generico apprezzamento. Buon momento di gloria italiana? Forse, ma con i pezzi nuovi manca qualcosa, e non lo si può negare.
Con i Flogging Molly i primi movimenti fisici aprono le strade a quello che sarà un vero e proprio tormento tra spintoni e anche un pizzico di maleducazione: durante il loro set di ottimo punk rock (o celtic punk, come lo chiamano) la gente ha iniziato a scaldarsi, non riuscendo comunque a rimanere tutto il tempo immobile sotto il palco a causa di un solleone che cuoce veramente l’asfalto e chi lo calpesta. Gran concerto, veloce e carico; sono le tipiche band che non sentono gli anni passare, e a noi non può che far piacere.
Ai Band of Horses è toccato il mio personale momento di doverosa disattenzione. Il riposo pre-pogo non mi ha permesso di seguirli con la giusta concentrazione, ma il loro indie melodico non stupisce né delude, e si colloca in quel faldone sterminato di band che rischiamo di perdere d’occhio quotidianamente per un sovrappiù che non terminerà mai di aggiungere pagine al suo catalogo.
Quando salgono sul palco i The Hives l’aria inizia a soffiare stemperando un po’ gli animi. La carica del loro indie rock scatena in pochi secondi un pogo esagerato ma ancora godibile, mentre, saltando a pié pari alcuni prevedibili singoli, si stillano brani nuovi e momenti più celebri come “Tick Tick Boom”, cantata a squarciagola da migliaia di persone. Una performance veramente energica, calda e ben suonata. Inconcepibile come sia stato possibile per loro suonare in smoking.
Sembra incredibile, ma c’era qualche centinaio di persone che aspettava il furoreggiante live dei Social Distortion, vere leggende punk che hanno ovviamente confermato la loro notoria vena da animali da palcoscenico. “Mommy’s Little Monster” la migliore in scaletta, ma il pubblico ha apprezzato di più molti altri momenti, stranamente anche tratti dagli ultimi lavori. C’è anche chi urla “il rock siete voi, altro che Foo Fighters”, ma forse hanno sbagliato posto perché la gente inizia a trepidare per l’attesa.
Cinquanta minuti per la vera leggenda sul palco, se proprio non vogliamo già considerare tale anche il buon Dave. Iggy Pop coi fidi The Stooges distilla quasi un’ora di gonfissimo rock, sporco e cattivo, che anche nei momenti più melodici gratta in maniera quasi innaturale considerata l’età del vecchio cantante, che conserva comunque un’energia sul palco e una voce che non molti coetanei si possono permettere. Muscoli flaccidi e inguardabili a parte, un grande uomo e un grande artista, che non ha rinnegato neppure le sue enormi capacità di intrattenitore. Spaccare l’asta del microfono, a un certo punto, sembrava quasi obbligatorio.

Arrivati al momento più atteso, l’impressione è che la scaletta sia stata costruita in maniera intelligente, generando una sorta di crescendo anche nell’interesse del pubblico che ha portato ad applaudire soprattutto le band del tardo pomeriggio. Sono le 22.30 in punto quando i Foo appaiono sul palco, e con l’estrema aggressività del nuovo disco inaugurano una setlist che non cesserà di movimentare corpi e corde vocali per due ore tirate, un po’ meno di quanto si sta attualmente facendo tra tour americano ed europeo. E’ evidente che la band è in forma, soprattutto Taylor Hawkins che dietro le pelli fa un lavoro semplicemente ineccepibile; altrettanto precisi e potenti sono stati gli altri, complice anche un impianto potentissimo che, al contrario di quanto successo due settimane fa con i System of A Down, ha colpito a morte tutti gli astanti con un muro di suono spaventoso, ma pulito e pienamente comprensibile. Dave Grohl è tutto ciò che video su YouTube e interviste a raffica su MTV confermano: una sorta di divinità della musica moderna, acclamato in ogni momento, tanto da notare il grande calore del pubblico italiano che viene giustamente ringraziato. Ma non c’è miglior ringraziamento della musica: solo cinque i brani del nuovo album, i migliori (a parte “Dear Rosemary”, gloriosa assente) del lotto, e quindi parliamo di “Bridge Burning”, “Arlandria”, “White Limo” e i due estratti “Walk” e “Rope”, quasi tutti nella prima metà della setlist; non mancava nessuna delle grandi hit, sempre richiestissime, come “Everlong” in chiusura, “All My Life”, “Best of You” e “Learn To Fly”. Canzoni meno prevedibili, ma perfette come timing all’interno della scaletta, sono state “Generator”, “Stacked Actors” e “Let It Die”, mentre le presenze fisse solitamente meno amate “Cold Day in The Sun” e “Skin and Bones” hanno invece riscosso lo stesso enorme successo di tutte le altre. Spazio anche a due cover, “Tie Your Mother Down” dei Queen e “Young Man Blues” di Mose Allison, eseguite perfettamente proprio come tutto il set, impreziosito da molti allunghi, simil-jam e depistaggi all’interno dei brani più conosciuti, com’è il caso anche di “My Hero” e “Breakout”. Qualcuno sbadiglia, ma i più accorti non possono che stupirsi di fronte all’affiatamento visualizzato sul palco. C’è anche una nota di colore: le voci riguardo la presenza di Novoselic, si erano già lasciate tramortire dai silenzi degli ultimi giorni, ma chi ancora se l’aspettava ha sollevato qualche grido, soprattutto quando Dave, quasi prendendo in giro, ha ricordato che vent’anni fa “suonava in una band che si chiamava….Scream”. Credevate stesse per dire Nirvana vero?

Che dire, le quasi dieci ore consecutive di musica hanno mandato a casa quasi tutti con il sorriso, mentre anche baracchini e bagarini levavano le tende coi loro rotoli di banconote. La polizia, stavolta, non ha fatto nessun blitz contro i falsari di maglie: che dire, non è questo l’importante. La calura, il sole e le critiche iniziali non sono riuscite a rovinare una giornata che si è dimostrata del tutto divertente, valendo ogni singolo centesimo dei cinquantasei euro del biglietto. Cifra onesta, stranamente.
Con qualche accorgimento in più l’arena all’interno di questo polo fieristico può diventare un punto di riferimento per i grandi eventi musicali, ma per evitare svenimenti dovuti all’afa ci si deve premunire perlomeno di personale per distribuire gratuitamente acqua ghiacchiata. Molti si sono anche lamentati della gestione dell’anello frontale, una sorta di area VIP che è stata a più riprese definita tale oppure “zona di decompressione”: avere il braccialetto per entrarci costava, a confermare un nuovo latrocinio che fa ad aggiungersi ai tanti inflitti ai poveri fans della musica in Italia.
La musica è stata la vera protagonista, allontanando ogni presentimento di delusione già dopo i Flogging Molly: lo si rifarebbe ogni giorno, alle stesse condizioni, con le stesse band. Veramente fantastico.

SETLIST: FOO FIGHTERS
1. Bridge Burning
2. Rope
3. The Pretender
4. My Hero
5. Learn to Fly
6. White Limo
7. Arlandria
8. Breakout
9. Cold Day in The Sun
10. I’ll Stick Around
11. Stacked Actors
12. Walk
13. Monkey Wrench
14. Let it Die
15. Generator
16. Times Like These
17. Young Man Blues (Mose Allison cover)
18. Best of You
19. Skin and Bones
20. All My Life
21. Tie Your Mother Down (Queen cover)
22. Everlong

SETLIST: IGGY POP & THE STOOGES
1. Raw Power
2. Search and Destroy
3. Gimme Danger
4. Shake Appeal
5. 1970
6. Open Up and Bleed
7. I Got A Right
8. I Wanna Be Your Dog
9. No Fun

SETLIST: SOCIAL DISTORTION
1. Bad Luck
2. Nickels and Dimes
3. Story of My Life
4. Mommy’s Little Monster
5. Machine Gun Blues
6. Ball and Chain
7. Gimme the Sweet and Lowdown
8. Don’t Drag Me Down
9. California (Hustle and Flow)
10. Can’t Take It With You
11. Ring of Fire (Johnny Cash cover)

SETLIST: THE HIVES
1. Come On
2. Main Offender
3. Go Right Ahead
4. Die Alright
5. Walk Idiot Walk
6. Hate To Say I Told You So
7. Bigger Hole to Fill
8. No Pun Intended
9. Take Back the Toys
10. Try It Again
11. Won’t Be Long
12. Tick Tick Boom

SETLIST: BAND OF HORSES
1. Laredo
2. Is There a Ghost
3. The Great Salt Lake
4. Islands on the Coast
5. NW Apt.
6. Wicked Gil
7. Ode to LRC
8. The Funeral

SETLIST: FLOGGING MOLLY
1. The Likes of You Again
2. Revolution
3. Drunken Lullabies
4. Requiem for a Dying Song
5. Saints and Sinners
6. Float
7. Devil’s Dance Floor
8. Don’t Shut ‘Em Down
9. What’s Left of the Flag
10. Seven Deadly Sins

SETLIST: MINISTRI
1. Il Sole (E’ Importante che Non Ci Sia)
2. I Nostri Uomini ti Vedono
3. Mangio La Terra
4. Noi Fuori
5. Tempi Bui
6. Diritto al Tetto
7. Abituarsi alla Fine

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Prima del listone mensile, non dimenticatevi che oggi c’è il ROCK IN IDRHO 2011 all’Arena Fiera di Rho (MI). Buon prezzo del biglietto rispetto all’appena passato, malandato (fortunatamente) HJF e il prossimo in arrivo Sonisphere Festival. Non perdetevi quindi Foo Fighters, Social Distortion, Iggy Pop & The Stooges, Flogging Molly, The Hives, Band of Horses, Ministri e Outback.

16.06.2011 SKA-J @ ROOTS, CULTURE, FUTURE FESTIVAL 2011, Rovigo
16.06.2011 …A TOYS ORCHESTRA @ FESTIVAL DELLA MUSICA INDIPENDENTE, Bologna
17.06.2011 RUMATERA @ ON STAGE PARTY, Monselice (PD)
17.06.2011 PHINX @ BEACH PARTY: VILLA CAFFO, Rossano Veneto (TV)
17.06.2011 RED WORMS’ FARM e DON VITO & I VELENO @ ISOLA BIANCA FESTIVAL, Pontelagoscuro (FE)
17.06.2011 PERTURBAZIONE @ FESTIVAL SUONIVISIONI, San Felice sul Panaro (MO)
17.06.2011 ULTIMA FASE & THE RIDDIM SHOOTERS BAND e ADRIATIC ROOTS SOUND SYSTEM @ ROOTS, CULTURE, FUTURE FESTIVAL 2011, Rovigo
17.06.2011 MINISTRI e DUBBY DUB @ SHERWOOD FESTIVAL 2011, Padova
17.06.2011 I LIMES @ CRESE SUMMER VILLAGE, Muggia (TS)
18.06.2011 TRE ALLEGRI RAGAZZI MORTI @ ARTIVISIVE FESTIVAL, Soliera (MO)
18.06.2011 CASINO ROYALE @ FABRIK FESTIVAL, Udine
18.06.2011 THE NATURAL DUB CLUSTER e R.ESISTENCE IN DUB @ ROOTS, CULTURE, FUTURE FESTIVAL 2011, Rovigo
18.06.2011 DANIELE SILVESTRI e IOSONOUNCANE @ SHERWOOD FESTIVAL, Padova
18.06.2011 FATBOY SLIM, DEADMAU5, AFROJACK e molti altri @ ELECTROVENICE FESTIVAL, Venezia
18.06.2011 CUT e THE VILLAINS @ INDIEWOOD, Biasole (RE)
18.06.2011 TERZOBINARIO, PAOLA TURCI e PRHOME @ ANTEPRIMA VOCI PER LA LIBERTA’ 2011, Rosolina (RO)
19.06.2011 PESTAFANGO & K-SOUL SQUAD @ ISOLA BIANCA FESTIVAL, Pontelagoscuro (FE)
19.06.2011 OMAR PEDRINI @ GOLOSINE FESTIVAL, Golosine (VR)
19.06.2011 BOM CHILOM SOUND & TAWERNA SOUNDSYSTEM @ ROOTS, CULTURE, FUTURE FESTIVAL 2011, Rovigo
21.06.2011 IL PAN DEL DIAVOLO @ VICOLO BOLOGNETTI, Bologna
22.06.2011 ALMAMEGRETTA e RAIZ @ SHERWOOD FESTIVAL, Padova
22.06.2011 BOYSETSFIRE @ PIEFFE FACTORY, Lucinico (GO)
23.06.2011 SIMONA GRETCHEN, BOB CORN e ZEUS @ SUMMER DAYS FESTIVAL, Copparo (FE)
23.06.2011 LOMBROSO @ SHERWOOD FESTIVAL, Padova
24.06.2011 AFTERHOURS @ IL ROCK E’ TRATTO, Savignano sul Rubicone (FC)
24.06.2011 BUD SPENCER BLUES EXPLOSION @ FESTAMBIENTE, Vicenza
24.06.2011 MAURO ERMANNO GIOVANARDI e MANZONI @ SHERWOOD FESTIVAL, Padova
24.06.2011 GIORGIO CANALI PLAYS JOY DIVISION @ BORGHI E FRAZIONI IN MUSICA, San Giorgio di Piano (BO)
24.06.2011 CRISTINA DONA’ @ BOTANIQUE FESTIVAL, Bologna
24.06.2011 RIAFFIORA @ INGRUMA, Santorso (VI)
25.06.2011 BUD SPENCER BLUES EXPLOSION e …A TOYS ORCHESTRA @ WHAT IS ROCK, Portomaggiore (FE)
25.06.2011 SALUTI DA SATURNO @ BOTANIQUE FESTIVAL, Bologna
25.06.2011 THE CHARLESTONES @ CRESE SUMMER VILLAGE, Muggia (TS)
25.06.2011 LINEA 77 @ HAPPY BEER DAY, Trebaseleghe (PD)
25.06.2011 REZOPHONIC @ TEATRO BUSNELLI, Dueville (VI)
25.06.2011 CASINO ROYALE @ SPUTNIK FESTIVAL, Castelmaggiore (BO)
25.06.2011 ALPHA BLONDY e THE SOLAR SYSTEM + BOM CHILOM @ SHERWOOD FESTIVAL, Padova
25.06.2011 FABRI FIBRA @ VILLA MANIN, Codroipo (UD)
26.06.2011 AGNOSTIC FRONT @ WHAT IS ROCK, Portomaggiore (FE)
26.06.2011 PAINS OF BEING PURE AT HEART @ HANA-BI, Marina di Ravenna (RA)
26.06.2011 SILVER ROCKET @ SUMMER DAYS, Copparo (FE)
27.06.2011 AFRICA UNITE @ BOTANIQUE FESTIVAL, Bologna
28.06.2011 KORN e LINEA 77 @ PIAZZOLA LIVE FESTIVAL, Piazzola sul Brenta (PD)
28.06.2011 GENTLEMAN & THE EVOLUTION @ STABILIMENTO AUSONIA, Trieste
28.06.2011 MARIPOSA, EVERYBODY TESLA e MARCO NOTARI @ BOTANIQUE FESTIVAL, Bologna
29.06.2011 TRE ALLEGRI RAGAZZI MORTI in PASOLINI, L’INCONTRO @ EMERGENCY FESTIVAL, Ferrara
29.06.2011 ONE DIMENSIONAL MAN @ SHERWOOD FESTIVAL, Padova
30.06.2011 MARCO PARENTE @ SHERWOOD FESTIVAL, Padova
30.06.2011 ANNIE HALL @ EMERGENCY DAYS, Ferrara
30.06.2011 THE STRAITS @ CAMPO SPORTIVO, Ronciglione (TV)
30.06.2011 UNEPASSANTE e MARIANE DISSARD @ BOTANIQUE FESTIVAL, Bologna

E infine, l’imperdibile (se non per il prezzo):

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ETICHETTA: RNC Produzioni
GENERE: Reggae, roots, rap, ska

<img class=”alignnone” title=”se proprio bel cio” src=”http://www.outune.net/wp-content/images/RadiciNelCementoFiestaCover.jpg&#8221; alt=”” width=”360″ height=”354″ />

TRACKLIST:
1. Er Traffico de Roma
2. Alla Rovescia
3. Quelli Dentro
4. La Vita E’ Na Guera
5. Cicileu
6. L’Acqua
7. Bella Ciccia
8. Ansai Come Ce Piace
9. La Cucina Casareccia
10. Echelon
11. So’ Rugantino
12. Sognando Jamaica
13. Me Ne Vojo Annà
14. Skarabiniere
15. E Io Ero Sandokan
16. Bella Ciao
17. Fiesta!

Era il novantatre quando con il nome Roots in Concrete questi ragazzi di Roma iniziarono a riempire i club del loro reggae melodico ma concreto, presto celebre anche per la delicatezza dei contenuti. Il nome in italiano ne ha suggellato la fama. A otto anni arriva il primo disco live, un piccolo regalino per i fan che serve anche a dimostrare ai meno affezionati la carica e la verve che la formazione laziale sa comprimere all’interno di un set dal vivo, emotivamente e strumentalmente, non trascurando mai l’azione efficace di un reggae ormai protagonista di molte delle migliori iniziative musicali del nostro paese. Insomma, un genere che, se fatto con le palle, piace anche a chi non è abituato ad ascoltarlo. E qui, c’è anche del rap, ad orientare in maniera ancora più divertente e, se vogliamo, generica, il manifesto d’azione della band. Radici nel Cemento è un progetto che rientra proprio in questa nicchia di fortunati <em>outsider</em> e questo disco ne é la conferma, trasportando su supporto fisico quella passione nel suonare che è la prima causa del coinvolgimento non solo mentale che ascoltandoli dal vivo si può subire. Consigliato.

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ETICHETTA: Domino
GENERE: Indie pop, synth-pop

TRACKLIST:
1. Lion’s Share
2. Bed of Nails
3. Deeper
4. Loop The Loop
5. Plaything
6. Invisible
7. Albatross
8. Reach a Bit Further
9. Burning
10. End Come Too Soon

Destrutturare un impianto costruito e istituito con la delicatezza di uno scultore di cristalli non è certo un lavoro semplice. Soprattutto se era davvero fatto di cristallo.
Essenzialmente, ascoltare Smother significa trovarsi di fronte all’involuzione decisiva nella carriera di una band che ha fatto del pop un terreno da esplorare in maniera visionaria ed estetica. Abbandonandosi alle più caustiche delle scosse metaboliche, procedimenti che si intersecano tra loro senza volerlo creando un intreccio di art, synth e alternative pop come da tempo non se ne sentiva. Sempre con le dovute riserve.

Smiths & co. avevano lasciato un segno incancellabile nelle uscite discografiche precedenti, ma i Wild Beasts hanno pensato bene di mandare prematuramente in pensione le chitarre graffianti e tipicamente indie che hanno sempre caratterizzato il lato grintoso e vivace del loro sound, per trarre in inganno l’ascoltatore più mediocre con un impianto più melenso e pop, accelerando la rincorsa agli ingredienti che mantengono, salde, le redini delle classifiche sempre più spopolate. Ma scostando la porta socchiusa che cela la verità, si scopre che non è così: Smother è tutt’altro che commerciale, e svela scintillanti soluzioni romantic pop che protendono i propri fasci neuronali verso un rock energetico ma privo dei suoi aspetti più visibili. Mancano distorsioni possenti, componenti esageratamente ballerine, stereotipi indie e cantati da gorgheggiare come forsennati nelle popolari fashion disco da post-live degli ultimi anni: rimane il forte senso di evocazione e riflessione emanato dagli strumenti più particolari inseriti in questo lavoro, partendo dal glockenspiel per finire con il dulcimer e le pulsazioni elettroniche più intimistiche. Più art di così, non troverete granché.

Con perle di alt pop come “Albatross”, soporifera quanto seducente, e “Deeper”, rimasuglio di vecchie prostrazioni Talking Heads ma rigiocata in un ambito più moderno e radioheadiano, non si può certo parlare di dietrofront. Il passo in avanti c’è stato, forse con una falcata troppo poco ampia, ma si parla pur sempre di un disco di grande qualità. Maturo e completo.
Prova del nove al prossimo turno.

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ETICHETTA: Fonosfere Records:
GENERE: Progressive

TRACKLIST:
1. Alla Deriva
2. L’Abbandono
3. Forse Altrove
4. Nella Corrente
5. Il Vuoto Necessario
6. Di Nuovo Quiete
7. Materia e Memoria
8. Dolcezza del Tempo
9. Senza Radici
10. Lontano da Casa
11. Il Senso delle Cose
12. Mentre Tutto Cambia

Materia e Memoria. Un nome alquanto generalista che non può certo indicare nulla all’ascoltatore quando ancora non ha avuto modo di nutrirsi dell’opera cui fa riferimento.
Materia e Memoria. Sostanzialmente, due termini che in musica sono stati tradotti un po’ da tutti, con mille espedienti, forse anche troppi. E allora, come lo fa Salvo Lazzara col suo progetto solista denominato già da tempo Pensiero Nomade?

Che dire, il percorso rimane lo stesso dei lavori precedenti, giusto per chiarire i primi eventuali dubbi. E’ innegabile che sia stato sin qui un percorso ben seguito ed esplorato, con alcune intersezioni geniali tra generi, ma è altrettanto incontrastabile definire questo tipo di musica ormai “vecchia”, non tanto anagraficamente ma forse per l’ispirazione che inizia a cedere sotto il peso delle imitazioni e del decadere della qualità media delle musiche date alle stampe. Salvo Lazzara ha sempre dimostrato di essere un gradino sopra a tutta quella serie infinita di cantautori progressive jazz che esprimono tutta la loro tecnica con uno strumento che svolge la funzione di una voce solista, in questo caso la chitarra, e in Materia e Memoria era logica una riproposizione di questa scelta stilistica (ed altre ad essa collegata).
Sperimentazione di tipo chitarristico, elettronica ed etnica (se vogliamo usare un termine nuovo ma già desueto, world music), riescono a riportare l’attenzione sul tipo di genere, che riesce sempre a stupire per le dinamiche, per i tecnicismi inseriti e per le contaminazioni che arrivano, spesso, inattese, e questo contribuisce a regalare, se il termine mi è concesso, carisma al disco, e a Lazzara stesso. Il sound è prevalentemente à la page, scorrevole, a passo coi tempi, tendente a modernizzare un jazz che si è, nel tempo, fuso con il progressive (e tempo fa nella fusion, potente anche in Italia), utilizzando suoni che tendiamo a ritrovare nella frangente progressiva più metallizzata degli ultimi tempi (percussioni e basso soprattutto).
La cosa che più stupisce di questo disco però è la sua diversità dalla media degli album jazz moderni. Possiamo definirlo jazz, giusto? Differisce sostanzialmente per il mood creato, non essendo né sensibile ad atmosfere swing ballerine e goderecce, né orientato ad un blues tetro e puramente malinconico. All’orizzonte si stagliano strane ma fitte visioni orientaleggianti, che penetrano il nostro udito in maniera chiara e pressante soprattutto dopo tre o quattro ascolti ripetuti a stretto giro: è una ricerca che, se può risultare inconcludente ai meno esperti di sperimentazioni non ancora collaudate nella pop culture, contiene elementi di purificazione, quasi di avvicinamento alle masse. Accostamenti, quindi, di matrice mainstream, soprattutto nell’impianto melodico. Quello ritmico è invece più sinuoso, spronando l’ascoltatore a rinchiudersi in una difficoltà d’interpretazione che comunque bilancia bene con la leggerezza di alcuni arrangiamenti (“Di Nuovo Quiete”).

Non stiamo certo parlando di un disco per tutti, ma l’intendimento principale di Salvo Lazzara non fa riferimento ad un bacino d’utenza. Evidentemente, l’interesse primo è quello di emettere della buona musica, sincera e accorata, senza passare per stratagemmi discografiche e virate radiofoniche. La produzione è notevole, mentre gli arrangiamenti, pur con qualche minimo sobbalzo, districano bene i nodi del prog più puro per restituire una comprensibilità dei linguaggi che giova senz’altro anche al grande pubblico. Quello, però, che la cultura musicale ce l’ha davvero. Bel disco.

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ETICHETTA: Domino
GENERE: Indie rock, alternative

TRACKLIST:
1. She’s Thunderstorms
2. Black Treacle
3. Brick By Brick
4. The Hellcat Spangled Shalalala
5. Don’t Sit Down Cause I Moved Your Chair
6. Library Pictures
7. All My Own Stunts
8. Reckless Serenade
9. Piledriver Waltz
10. Love Is A Laserquest
11. Suck It And See
12. That’s Where You’re Wrong

“Suck It And See” ha già fatto discutere per il suo titolo, offensivo per gli americani, simpatico per gli inglesi. A fare chiarezza ci ha pensato anche Turner, ma a noi questo interessa relativamente: gli alfieri dell’indie rock del ventunesimo secolo, il revival del post-punk nato addirittura dai social network, hanno già dimostrato di voler cambiare sound con il precedente, mediocre ma fresco, Humbug, dal quale sono già trascorsi due anni. Sotto l’occhio vigile di Josh Homme, si profilava nelle scelte sonore della band un background stoner e grunge, che questa volta si ripropone, acutizzato in alcuni momenti, più pacato e sommerso in altri.
Sostanzialmente non c’è niente di originale o di nuovo dentro Suck It And See, un disco più pop/rock, leggero, catchy, interessante dal punto di vista radiofonico, ma forse un po’ meno da quello prettamente musicale; sono presenti, come dicevamo, momenti più stoner che sembrano i Black Sabbath meno doom con il sound modern British, a partire dal singolo “Don’t Sit Down Cause I Moved Your Chair”, alla più criptica “Brick My Brick”. Dai simpatici testi delle due citate, si passa anche a ballad strappalacrime che vantano ben pochi legami con i primi due dischi, più ballerini e festaioli, delle scimmie artiche: la title track e anche “Black Treacle”, danno la giusta dimensione di questa scelta di direzione, ma le reminiscenze beatlesiane che già introducevano certi eleganti momenti in Humbug rimangono in “Piledriver Waltz”, che poi già si era sentita nel disco da solista del frontman.

Le scelte pop fanno la loro figura, inquadrate in un contesto rock tipicamente inglese (Oasis, Beatles e Black Sabbath i punti di riferimento forse anche troppo evidenti) che si pone degli obiettivi concreti, in bilico tra la volontà di sfondare ancora nelle classifiche come agli inizi e fare qualcosa di “diverso”. Questa seconda sfida non sembra facile da vincere, ma la strada imboccata è quella giusta: anche Humbug sembrava l’ultimo capitolo della loro carriera, quello che ne prefigurava la fine, e quindi questo Suck It And See diventa un disco da rivalutare, stupefacente perché supera ogni aspettativa, regalando anche la possibilità di prospettare qualcosa di ulteriormente buono per il futuro. Sul resto, non si può certo gridare al miracolo e aspetteremo le versioni live, dove gli Arctic Monkeys davvero non hanno mai deluso.

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E così per quarantamila persone è arrivato il momento della reunion dei System of a Down, una delle band più famose, amate e originali uscite dal calderone nu metal di fine 20° secolo. Cinque anni di silenzio e poi rieccoli a calcare i palchi con una tournée americana/europea che si diceva destinata a lasciare il segno. E’ stato davvero così?
Premettendo che sono la band preferita di chi sta scrivendo e che ogni cosa che hanno fatto è stata consumata e adorata fino al logoramento della dignità personale, sono costretto a sollevare subito un muro di critiche:
– la scaletta di ventisei brani (trenta nel tour americano) suonati tutti di fila senza quasi mai considerare il pubblico, accelerando quasi tutti i brani, come se ci fosse bisogno di finire presto per scappare a letto
– la freddezza dei componenti sul palco, a volte intenti a ridere tra di loro ma generalmente distaccati e più concentrati su sé stessi che sulla band
– il sound veramente penoso che si è originato solamente durante il loro concerto mentre per i quattro opening acts era tutto molto buono. La batteria di John e la chitarra di Daron avevano un mix veramente pessimo, gonfio di alti, che ha contributo non poco a rovinare il mood collettivo.

Detto questo, si inizia a parlare delle cose positive. La setlist è stata senz’altro costruita in maniera intelligente, inserendo elementi da tutti i dischi: le sorprese di “Darts” e “I-E-A-I-A-I-O” ci stavano, piccole varianti sul tema dalla già arcinota scaletta statunitense (assenti gloriose “Attack”, “Soldier Side” e “Pluck” che a dire il vero ci sarebbero state molto bene); ottimi momenti da pogo selvaggio “Cigaro”, “Bounce” e “BYOB”. L’esecuzione strumentale è stata sopra la media rispetto a come si ricordavano i System, soprattutto l’intonazione di Serj che negli ultimi due tour 2005-2006 iniziava a cedere e la chitarra di Malakian, quasi sempre preciso nonostante qualche trovatella poco geniale (ad esempio nel bridge di “Needles”); la batteria di John, al di là del suono veramente osceno, è stata declassata ad accompagnamento, ma non per questo l’armeno ha suonato male (lasciamo stare un megascazzo su “Lost In Hollywood”), infilando qualche fill extra interessante in quasi tutti i brani.

“Italy deserves a better prime minister than Silvio Berlusconi” è stata una delle poche frasi pronunciate da un Serj che si dichiara un po’ malato, ma questo non incide sulla performance a livello tecnico, anche se perdere il tempo su “Question!” non era certo necessario. In generale, il buon Sergio (come viene chiamato dai cori tra la folla) ha svolto veramente un gran lavoro, senza urlare, ma mantenendo sempre il controllo della situazione.
Potremo dire che a fronte di una freddezza evidente, i veri protagonisti sono stati i presenti: migliaia di persone a ballare, pogare e urlare ogni singola parola, un clima veramente di festa come non se ne vedevano da tempo. E dentro qualche esagerazione fisica si è nascosto il vero succo della giornata: l’amore dei fans per questa grande band.

Una grande giornata di movimento si è consumata anche grazie alle band di apertura. Con l’eccezione di Danzig, pessimo e addirittura cacciato a suon di bottiglie di vetro, le altre band hanno contribuito allo spettacolo in maniera determinante:
gli Anti Flag ad aprire le danze hanno scatenato subito un vero disastro, grazie anche ad una fighissima cover di “Should I Stay or Should I Go” e la discesa del batterista nel pubblico con tanto di cassa e rullante. Tipica punk band da pogo. I Volbeat, band molto particolare con un genere indefinibile, vedono l’interesse scemare man mano che la performance avanza ma riescono comunque a strappare l’approvazione del pubblico. I Sick of It All si candidano invece ad highlight della giornata, forse addirittura meglio dei SOAD stessi: il loro hardcore punk ha veramente distrutto ogni equilibro tra la gente, moshpit ovunque (compreso il famoso “wall of death”). Fantastici, veramente.

Da non dimenticare anche il sillogismo nato da un gruppo di urlatori:
“Vasco Rossi pezzo di merda”
“Berlusconi pezzo di merda”
“Berlusconi sei Vasco Rossi”
Non fa una piega.

La distesa di cemento su cui si erge la fiera di Milano è destinata a diventare il tempio della musica live? Ci sono molti grossi eventi quest’estate e sicuramente i System of A Down sono stati la ciliegina sulla torta, l’unico (per ora) sold-out. I prezzi di parcheggio e cibarie erano veramente esagerati, ma ormai la gente è abituata a questi latrocini per cui si è soliti premunirsi. Per il resto che dire: una grande giornata, veramente una grande giornata, con i suoi alti e bassi, come tutte le grandi giornate dovrebbero essere.

SETLIST:
SYSTEM OF A DOWN
Prison Song
Soldier Side (intro)
B.Y.O.B.
I-E-A-I-A-I-O
Needles
Deer Dance
Radio/Video
Hypnotize
Question!
Suggestions
Psycho
Chop Suey!
Lonely Day
Bounce
Kill Rock’n’Roll
Lost in Hollywood
Forest
Science
Darts
Aerials
Tentative
Cigaro
Suite-Pee
War? (extended version)
Toxicity
Sugar

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CARONTE – CARONTE (Pogoselvaggio! Records, 2011)
Pastone selvaggio di psichedelia, progressive e rock sperimentale di derivazione principalmente americana (noise, funk e metal compresi nel prodotto dei palermitani). La miscela cola in maniera molto produttiva nei due brani del self/titled, un lavoro interessante, vario, completo, dove ogni strumento si prende i suoi momenti da protagonista. Il risultato finale forse risente un po’ di alcune pecche nel songwriting, ma si potrà tutto sistemare al prossimo full-length. Essenzialmente un gran debutto.
VOTO: 3.5 su 5

MATHI’ – PETALIRIDENTI (Autoproduzione, 2011)
Napoli è una fucina di talenti da molto tempo, soprattutto quando si tenta di abbandonare la tradizione popolaresca dialettale. In questo caso si è tentato di coniare il cantautorato italiano con l’alternative più sperimentale della nostra penisola (…A Toys Orchestra, Giardini di Mirò, forse addirittura qualcosa degli Yuppie Flu), con un risultato molto interessante: un disco variopinto, dalle atmosfere poetiche, dove i testi hanno un peso anche troppo evidente e rischiano di fagocitare le bellezze delle categorie strumentali. Dopotutto Petaliridenti è quanto di meglio poteva nascere con le premesse che la band ha messo in atto, gran disco.
VOTO: 3.5 su 5

AMYCANBE – THE WORLD IS ROUND (Open Productions, 2011)
Un quarto d’ora di delizie poetiche, oniriche, ispirato alla Stein, da cui è tratto anche il titolo del disco; un universo sperimentale, tecnicamente perfetto, dove il pianoforte si colloca nel suo mondo di strumento emozionante e d’accompagnamento. Non mancano le influenze classiche, in questo bellissimo album di grande musica italiana cantata in inglese: è tutto molto dolce, come ci insegnano in patria anche gli …A Toys Orchestra, e la voce femminile aiuta. Semplicemente un piccolo miracolo, aspettando ulteriori full-length che possano bissare le bellezze romantiche di questo EP.
VOTO: 4.5 SU 5 

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Marlowe: il primo videoclip Chiedi al Buio dall’album Fiumedinisi | RollingStone | Musica.

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I suggerimenti per la prima quindicina di giugno. L’estate è lunga. Pay attention

GIUGNO:
01 – FILASTINE e VAGHE STELLE @ SUMMER STUDENT FESTIVAL 2011, Padova
01 – BUD SPENCER BLUES EXPLOSION @ APARTAMENTO HOFFMAN, Conegliano Veneto (TV)
01 – THE VILLAINS @ BARICENTRO, San Martino Buon Albergo (VR)
02 – SYSTEM OF A DOWN, SICK OF IT ALL, ANTI FLAG e altri @ FIERA DI MILANO, Rho (MI)
02 – EX-OTAGO @ HEY SUN! FESTIVAL, Padova
02 – FUZZ FUZZ MACHINE @ MOTORADUNO SPIRITI LIBERI, Sarmede (TV)
02 – RIAFFIORA @ CAFFE AL DUOMO, Cittadella (PD)
03 – PINO SCOTTO @ MOTORADUNO SPIRITI LIBERI, Sarmede (TV)
03 – LINEA 77 @ PEGOROCK, Pegognaga (MN)
03 – WAVE PICTURES @ HEY SUN! FESTIVAL, Padova
03 – CANADIANS, ZABRINSKY e CINEMABIANCHINI @ ZOOM ZOOM FESTIVAL, Noventa Padovana (PD)
03 – GEO’S @ APARTAMENTO HOFFMAN, Conegliano Veneto (TV)
03 – NON VOGLIO CHE CLARA @ ARCA MUSIC FESTIVAL, Castelfranco Veneto (TV)
04 – WILL & THE  YOUNG @ APARTAMENTO HOFFMAN, Conegliano Veneto (TV)
04 – MOVIE STAR JUNKIES @ SPRINGAFIORI FESTIVAL, Maserada sul Piave (TV)
04 – GIORGIO CANALI plays JOY DIVISION @ CSA GROTTAROSSA, Rimini
04 – VERDENA @ CIAO LUCA FESTIVAL 2011, Gradisca d’Isonzo (GO)
04 – SICK TAMBURO @ CIPRE’ LAB, Venezia
04 – MARIPOSA e CARPACHO @ HEY SUN! FESTIVAL, Padova
04 – JON SPENCER BLUES EXPLOSION @ TEATRO MIELA, Trieste
05 – ANNIE HALL @ HEY SUN! FESTIVAL, Padova
05 – ULTIMA FASE, ADRIATIC ROOTS e altri @ VISION CAFE, Rovigo
05 – SIR OLIVER SKARDY & I FAHRENHEIT 451 @ TRECENTALLORA, Trecenta (RO)
06 – CALIBRO 35 @ TEATRO PERLA, Bologna
06 – VERDENA @ PIAZZA SANTA CROCE, Firenze
07 – AVENGED SEVENFOLD @ PALASPORT, Treviso
09 – COLDPLAY, BEADY EYE, CESARE CREMONINI, ECHO & THE BUNNYMEN e WE ARE SCIENTISTS @ HEINEKEN JAMMIN FESTIVAL, Venezia
10 – WELCOME BACK SAILORS, BE FOREST e NU BOHEMIEN @ ISOLA BIANCA FESTIVAL, Pontelagoscuro (FE)
10 – CAPTAIN MANTELL, ALKENE e THE SUPEREGOS @ HOMEPAGE FESTIVAL, Udine
10 – SMART COPS @ APARTAMENTO HOFFMAN, Conegliano Veneto (TV)
11 – LET’S GET LOST, DADAMATTO e IL MALTEMPO @ ISOLA BIANCA FESTIVAL, Pontelagoscuro (FE)
11 – TRE ALLEGRI RAGAZZI MORTI @ GRAN TEATRO GEOX, Padova
11 – CUT @ SONIKART, Ferrara
12 – APPINO, ALESSANDRO FIORI, ANDREA COLA, CASO e molti altri @ ISOLA BIANCA FESTIVAL, Pontelagoscuro (FE)
12 – MARLENE KUNTZ @ GRAN TEATRO GEOX, Padova
13 – ROY PACI & ARETUSKA @ GRAN TEATRO GEOX, Padova
13 – TRE ALLEGRI RAGAZZI MORTI @ THE PARK, Treviso
13 – CINDERELLA @ ESTRAGON, Bologna

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