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Archive for the ‘GENERE: Sperimentazione Chitarristica’ Category

ETICHETTA: Wallace, Phonometak
GENERE: Xabier Iriondo

TRACKLIST:
Elektraren Aurreskua
Irrintzi
Il Cielo Sfondato
Gernika Eta Bermeo
Reason to Believe
Preferirei Piuttosto Gente Per Bene…Gente per Male
The Hammer
Itziar en Semea
Cold Turkey

Xabier Iriondo, l’ex Afterhours poi rientrato per il nuovo Padania (e, prima, nel Summer Tour che li ha rivisti riprendere in mano il vecchio repertorio), dopo aver più volte dimostrato le sue intenzioni di partecipare ad un’avventura solista, non pago degli innumerevoli progetti in cui lo si è visto comparire (Six Minute War Madness, No Guru, A Short Apnea, Uncode Duello e The Shipwreck Bag Show, senza dimenticare le incursioni con Damo Suzuki, gli An Experiment in Navigation, Ovo ed altri), sbarca con un vero e proprio lavoro solista che recupera, in parte le sue origini. Basco da parte di padre, lo vediamo ripescare, nel titolo del disco (in tiratura limitata a cinquecento copie) e di quattro delle nove canzoni che lo compongono, quella tradizione trasmessa dal genitore, utilizzando come nome per il lavoro un termine, Irrintzi, che designa un gruppo nazionalista basco il quale, a sua volta, eredita il nome da un termine in lingua basca tradizionale che rappresenta un urlo alto e prolungato. 
Otto dei nove brani di questo (falso) esordio sono pregni di quella vena noise disturbata e disturbante che lo contraddistingue sostanzialmente in ogni suo contributo, compositivo e non, alle band sopracitate. Dai sibili cacofonici della title-track al sax che distrugge la labile melodia che tendeva all’orecchiabile, stranamente, in “Il Cielo Sfondato”, vediamo uno Xabier in grande spolvero che dipinge su una tela macabre linee di tensione, paura e allucinazione, tra grida, suoni scomposti e taglienti, riverberi e ritmi indiavolati e privi di logica (“Elektraren Aurreskua” su tutte). Ad uscire dallo schema più propriamente sperimentale ci pensa “Cold Turkey”, cover di quel Lennon che si vide rifiutare la canzone da Paul McCartney per i suoi legami con l’esperienza di dipendenza da droghe che toccò allo stesso John, uno dei pochi brandelli più orecchiabili.

Lasciarsi scappare un lavoro così raffinato, pur nella sua fastidiosa virulenza e particolarità, sarebbe un reato. Partecipate alla strana esperienza del suo ascolto. 

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ETICHETTA: La Tempesta Dischi
GENERE: Acustica, folk chitarristico
TRACKLIST: Nessuna (unica traccia)

Avete mai ascoltato John Fahey, Jack Rose, Robbie Basho o Sandy Bull? Tra folk, blues e cantautorale con una particolare attenzione al solo chitarristico, sono tutti nomi storici nel genere, ma lontani dal nostro paese (non solo geograficamente). Difficile trovare un Basho italiano e difficile anche prevedere che un accostamento così evidente potesse giungere da Gionata Mirai, già in Teatro degli Orrori e Super Elastic Bubble Plastic, bands sulla cresta dell’onda che sicuramente hanno un curriculum tale da portare ulteriore attenzione anche verso questo Allusioni e il tour che ne segue.
In poco meno di mezzora, un disco con un’unica traccia che non lascia percepire altro che una chitarra, che rincorre continui arpeggi e assoli che oltre a denotare una grandissima tecnica nel fingerpicking del buon Mirai, sicuramente più illuminato qui che nelle altre sue formazioni, sottolineano un songwriting molto maturo che riesce anche a veicolare “qualcosa”. Il disco scorre veloce, certo, ma riesce comunque a lasciare un segno, grazie a quelle sensazioni che si avvertono da ogni piccolo cambio, in volume, in tonalità, nel passeggiare veloce ma molto sentito di una dodici corde suonata veramente con il cuore. L’animo blues che emerge è sicuramente una novità se consideriamo il personaggio e il suo background e stupisce la maniera con cui un grande senso di malinconia si scioglie amaramente insieme a momenti molto più allegri che si (con)fondono senza quasi linea di demarcazione, tanto splendide sono la scrittura e l’esecuzione di questi “pezzi”.

Un disco a suo modo inutile, ma che lascia un profondo solco nella memoria di questo vuoto duemilaundici. Che se ci sono dischi così, tanto scadente non è.

“ALLUSIONI” TOUR by Virus Concerti
18.11.11 Rockerill, Charleroi (BELGIO)
19.11.11 Water Moulin, Tournai (BELGIO)
22.11.11 DNA, Bruxelles (BELGIO)
23.11.11 Bateau Ivre, Mons (BELGIO)
26.11.11 Conchetta, Milano
02.12.11 Cooperativa Portalupi, Vigevano (PV)
03.12.11 La Tempesta al CSO Rivolta, Marghera (VE)
04.12.11 Round Midnight, Trieste
05.12.11 Radio Capodistria, Trieste
06.12.11 Teatro della Concordia, Venaria Reale (TO)
07.12.11 Blackat, Piacenza
08.12.11 Keydrum, Sarno (SA)
09.12.11 Istanbul Cafe, Squinzano (LE)
10.12.11 I Sotterranei, Copertino (LE)
15.12.11 Supernova, Bologna
16.12.11 Circolo delle Arti, Mariano Comense (CO)
18.12.11 Magnolia, Segrate (MI)
22.12.11 Al Vapore, Marghera (VE)
04.01.12 Apartamento Hoffman, Conegliano Veneto (TV)
05.01.12 Morgana Music Club, Benevento
06.01.12 Festinalente, Aversa (CE)
07.01.12 Chromazone, Atripalda (AV)
08.01.12 Mermaid’s Tavern, Pontecagnano Faiano (SA)
14.01.12 Arcipelago, Cremona
21.01.12 Blah Blah, Torino
11.02.12 Cinema Vekkio, Corneliano d’Alba (CN)

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ETICHETTA: Red Birds Records
GENERE: Rock psichedelico

TRACKLIST:
1. Chapter 1: The Death at Twilight of 25 Shattering Pieces of Sharpring Thin Ice
2. Chapter 2: Luna (And The Great Parade of Creatures Tiptoeing Around the Scarecrow)
3. Chapter 3: Gentle Marionette Firflies Lullabying Weavy
4. Chapter 4: The Loony Crowes Hoohaywire In The Shadows Of The Gigantic Moon
5. Chapter 5: At Twilight, Giant Farflies

Unmade Bed. Proprio come può sembrare, al primo ascolto, unmade questo disco. Sfatto, raffazzonato alla bell’e meglio. Ma siete sicuri che non sia solo perché non è di facile ascolto? Già, proprio così. Mornaite Muntide è abbastanza interessante, fin dal nome, per il suo incedere sempre molto difficile da interpretare, un disco funerario, una continua ascesa di toni (e note) di cui si nota soprattutto l’eccessivo stillicidio di rumori e suoni sperimentali, che contribuiscono alla causa del genere proposto. Psichedelia pura, quindi, palese già dal primo “capitolo” (il disco è diviso in chapters, cinque episodi che, si presume, si propongono di raccontare storie), con pochissimo spazio alla voce e il continuo folleggiare di ritmiche soffuse e sincopate, piene di riverberi, che si accompagnano alla melodia di chitarre incentivate dalle scelte nei suoni, ancora una volta concentrate sul delay e l’eco. Effetti che spopolano da sempre nel rock sperimentale, e che senz’altro giocano un ruolo fondamentale nel concretizzarsi di un sound denso e ricco di pervasive delicatezze atmosferiche. Il termine più adatto per queste canzoni così eteree è “spettrali”, un desueto ed intenso modo di definire la capacità evocativa di certi dischi post-rock che Mornaite Muntide tende a ricordare (come avremo fatto nei primi Slint, ma con delle strutture molto più anticonformiste). Certo, si può anche far fatica a dipanare la matassa di questi brani, lunghi, fuorvianti, pieni di confusione, con delle scelte di suono discutibili, ma è altrettanto vero che ogni singolo secondo di questo disco non può far altro che attestare un songwriting maturo che questa band riesce a dimostrare già dal secondo full-length. E non è poco.

Come Unmade Bed è una traccia dei Sonic Youth, questa formazione non si astiene infatti dal tributarli, seppur indirettamente, con manciate di shoegaze e noise rock come quasi nessuno ha saputo fare dopo i newyorkesi. E se in Italia nessuno ha mai provato ad elevarsi a protagonista del nutrito stuolo di adepti del filone, beh, preparatevi alla possibile invasione degli Unmade Bed, che seppur destinati a rimanere sempre di nicchia avranno comunque una lode tendenzialmente post-mortem. Allora, si dia il via all’elogio funebre accompagnato dalla splendida “Luna”.

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ETICHETTA: Bosco Rec., Into My Bed
GENERE: Sperimentale, ambient

Se l’Italia della musica ha bisogno di qualcosa, è proprio di sperimentazioni. Persa tra l’alternative rock d’imitazione, l’indie rock d’importazione e il cantautorato, nessuno più sperimenta. Nessuno, a parte quei pochi che possiamo avere l’onore di far rappresentare a Daniele Brusaschetto e Mirco Rizzi.
Con il progetto Ich Niente, nato da tempo ma sempre molto sommerso, mai arrivato (fortunatamente) agli entusiasmi del popolo medio, i due prendono chitarre e pedaliere di effetti e creano un disco profondamente radicato nella tradizione ambient dei due chitarristici (vedasi Labradford), oppure di progetti come Stars of the Lid e Loscil, indefinibile, se non con le emozioni che è in grado di suscitare. Con un piglio dreamy che gli conferisce un’aura più malinconica che aggressiva, senza esagerazioni post-qualcosa né tecnicismi esasperati. Solo tanta voglia di comunicare note che si traducono poi in immagini oniricamente proiettate nella nostra mente, paesaggi, nuovi mondi, probabilmente qualche delirio astronomico. Sarebbe bello sapere esattamente quello che volevano evocare, ma l’importante è sapere che l’unico take in cui è stato registrato “Incerchio” è bastato a creare una piccola perla di sperimentale chitarristica di forte impronta minimale, che se non soddisferà le forti apprensioni dei fan del post-rock (visto che è l’unica eccezione che certa gente sembra apprezzare nel 2011), con congeniali tattiche jazz nell’incedere e l’anemica assenza di ritmo che come una malattia modifica geneticamente l’indole del disco, trasformandolo in un viaggio lungo trentatre minuti, viaggio che solo se ascoltato a luce spenta nella propria camera, con il volume al massimo, può abbeverare i nostri fasci neuronali di provvidenziali ed immaginifiche sensazioni.
Consigliato.

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