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Posts Tagged ‘Davide Van De Sfroos’

Una dissertazione, lunga e libera, su cosa significa e cos’è stato, quest’anno, il celebre festivàl, sempre più scarso dal punto di vista musicale ma, come sempre, con qualche piccolo accenno di rivalsa da parte di musicisti che non vincono oppure, come in questo caso, che riescono a vincere nonostante la concorrenza di individui che andrebbero fisicamente eliminati. La cattiveria, ci vuole. Le grandi purghe, pure.

Il festival di Sanremo è di per sé il festival della “canzone italiana”. La canzone italiana è, per tradizione, pop: nel senso della melodia, e non della neomelodia, e nel senso “popolare”, e non si intende popolare-folk o popolare-politica, ma popolare punto e basta. Ovvio che queste accezioni hanno le loro controverse interpretazioni, ma la verità è che per capire di cosa si tratta, e quali sono i target di pubblico e di critica, bisogna riesumare una formula che fortunatamente è caduta in disuso: musica leggera. Ovvio anche che quindi non c’è spazio per il rock, per le distorsioni, per delle attitudini che siano più critiche, magari sboccate, magari politicamente schierate. Si, è vero, si sono fatti molti passi avanti per svecchiare la formula-Sanremo negli ultimi anni, ma i risultati sono stati pessimi: basta pensare all’eliminazione dei beniamini di Bonolis, gli Afterhours, oppure ai continui ripescaggi con grandi piazzamenti in classifica di cui Albano Carrisi sistematicamente si rende protagonista, due eventi che si pongono in maniera talmente antitetica da spiegare in toto cosa sia questa kermesse. E Benigni non c’entra niente; si perché i momenti più alti per il pubblico di casa sono stati i soliti prodotti dei talent show, o gli scarti di produzione di un sistema musicale italiano che fa di ogni vittima un potenziale carnefice per i nuovi arrivati, nel senso che pure laddove la carriera di un’artista si è spiaggiata (Patty Pravo, Anna Oxa) è abile a rilanciarla, con buona pace dei nuovi che rimarranno sempre sepolti. E questo è, quindi, un male, un male per Sanremo, un male per la musica, un male per le nostre orecchie.
Andiamo ad analizzare i risultati del festival. I premi sono stati affidati entrambi a Roberto Vecchioni, protagonista della musica pop veramente popolare che negli ultimi decenni, tra alti e bassi, è sempre rimasto sulla cresta dell’onda. Propone, molti anni dopo la celeberrima Samarcanda e l’eccelsa Sogna Ragazzo Sogna, una pop song che potrebbe benissimo essere paragonata a metà del suo repertorio, a partire dal titolo che ripesca a piene mani dai luoghi comuni di questo tipo di genere: “Chiamami Ancora Amore”. Ma la sua interpretazione, la struggente (a suo modo) “produzione” orchestrale che l’ha accompagnato e un testo che si accompagna perfettamente con i meccanismi sanremesi, gli è valsa sia il Premio della Critica che quello di vincitore. Se non si fosse capito, sono, dopo una ventina di anni che non succedeva, contento della scelta della gente e della giuria: nessun altro, tra gli artisti in gara, ha saputo regalare un brano che non fosse solo canzone, ma anche emozione e interpretazione, parole molto care alla Tatangelo giurata di X Factor e fortunatamente non vincitrice di un Sanremo dove si è presentata con un pezzo se possibile ancora più ridicolo di tutti quelli che ci aveva già fatto sentire. Come a dire, la paladina dell’emozione che non sa emozionare nessun altro che il suo maritino, che forse un giorno si rivelerà per essere una versione musicale del nostro pioniere della figa nazionale, cioè Silvio Berlusconi.
Non parliamo oltre di Vecchioni, per me giusto vincitore, ma andiamo ad analizzare cos’altro c’era in questo Sanremo.
I giovani non mi sono piaciuti, troppa pasta rimescolata, rimasticata, e forse anche rivomitata: “Follia D’Amore”, la canzone vincitrice, a parte un’interpretazione che musicalmente si rifà molto alle atmosfere jazz che in Italia non apprezziamo poi tanto (che ricorda comunque alcune scelte del Bublé degli ultimi tempi), non aggiunge niente di nuovo ad una scena veramente stagnante. Per il resto, poco niente. Un brano pop che merita un minimo di attenzione è “Lontano da Tutto”, di Serena Abrami ma scritto da Niccolò Fabi, in realtà banale dimostrazione di come a Sanremo si possa stupire con niente (vista la media, no?).

La devastazione continua nella sezione dei big. Davide Van de Sfroos sfoggia una ballata, “Yanez”, destinata a generare più critiche e opinioni relative all’uso del dialetto e alla localizzazione dei voti, più che apprezzamenti dal punto di vista musicale. Al Bano, Patty Pravo, Anna Oxa, Anna Tatangelo (tra i già citati), più Luca Barbarossa e Raquel del Rosario, rimangono ancorati ad un repertorio che già da anni li propone come artisti fallati/falliti che non sanno più che fare per rinnovarsi. Il problema è che Sanremo dovrebbe rappresentare quanto di meglio abbiamo in Italia.
Effettivamente, ammettiamolo, quest’anno c’erano tre artisti, completamente diversi, che rappresentano pienamente il meglio di tre diversi mondi. Nathalie Giannitrapani, pupilla di Elio vincitrice dell’ultima edizione di X Factor, ha una delle più belle voci tra chi ha vinto talent show negli ultimi anni, e propone anche brani di una certa rilevanza, nonostante si ancori in scelte metriche e melodiche che presto finiscono nel vicolo cieco della ripetitività e della non incisività (al contrario di quanto era successo col singolo che l’ha incoronata vincitrice dello show della seconda rete); Max Pezzali, ancora fortemente ancorato ad una concezione di musica pop tipicamente anni ’90 (quella buona che oggi non c’è più, guarda caso), fatica ad aggiornarsi e propone, pertanto, un brano che piace solo ed esclusivamente ai suoi fans, evidentemente troppo pochi per essere decisivi nel piazzamento in classifica, problema che si conclude con l’eliminazione definitiva la sera prima della finale; La Crus, questi provenienti dalla scena alternative rock italiana dei buoni nineties che, però, si presentano sul palco un po’ fiacchi e con un brano che non convince per niente. E pensare che in questo gruppo c’è uno dei migliori chitarristi italiani, Cesare Malfatti, insieme ad uno dei migliori artisti e produttori che la musica rock italiana ha mai conosciuto: Giovanardi. Ma non aggiungiamo altro neppure qui.
Il meglio dei prodotti dei talent, del pop italiano e dell’alternative italiano hanno prodotto, ovviamente, enormi fiaschi al festival, ma bisogna anche ammettere che dei loro tre brani, l’unico valido era “Il Mio Secondo Tempo”, dello storico pavese, che, come dicevamo, ricalca i successi a cui già ci aveva abituato con un particolare approfondimento testuale di una delle sue tematiche preferite: il passare degli anni, l’invecchiare, con relativa sferzata ottimistica, tipica di alcuni tratti della sua carriera. Se non meritava di vincere, meritava comunque il podio, e su questo, credo, non si possa discutere, visto il livello delle altre canzoni e vista anche la bellezza, quasi oggettiva, di arrangiamenti che se non brillano per originalità, brillano almeno per quello che il festival DOVREBBE rappresentare, e cioè la “musica leggera”, definizione che questo brano dagli accenti vagamente soft rock interpreta PERFETTAMENTE.

C’è poco altro da dire, a noi che essendo una webzine non abbiamo guardato le tette di Belen e della Canalis, né gli ospiti, né la conduzione di Morandi. Sarà che guardare programmi del genere in TV tende a far innervosire, meglio guardare su YouTube e seguire le news, o sarà anche che le troppe delusioni avute negli anni vedendo artisti molto validi finire ultimi o ingiustamente accantonati (mi ricordo anche di Subsonica, Elio e Le Storie Tese e Bluvertigo, per citarne solo alcuni), ma il gusto di questa kermesse si è veramente smarrito. Volete fare un piacere alla musica italiana che dite di apprezzare? Il prossimo anno, in febbraio, cercate su internet chi suona nei locali della vostra città e mandate affanculo la RAI, Sanremo e tutti quelli che vi partecipano, perché ormai, questo show, ha perso OGNI SIGNIFICATO. E lo sapete anche voi, magnati della discografia e del giornalismo, nonché causa di questo disastro.
Come direbbe l’odioso Pino Scotto, “datevi fuoco”.

Ps. Non ho nominato Emma Marrone e i Modà semplicemente per non prendermi delle denunce. Pezzo copiatissimo ed osceno, lei veramente inutile sul palco e come voce, loro talento sprecat(issim)o. Chiunque li ha votati, beh, non so cosa dire a loro, non ho parole, ecco.

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