Recensione scritta per Music Opinion Network
ETICHETTA: Artists Record
GENERE: Celtica, elettronica, world music
La stagnazione in termini di novità discografiche ha prodotto negli ultimi anni almeno due macrocategorie di artisti che, prendendo in prestito due termini del linguaggio politico, potremmo chiamare “progressisti” e “conservatori”: i primi tentano di andare avanti, superare le etichette ormai “classiche” – e bisognerebbe aprire un dibattito riguardo l’opportunità di alcune di queste – spesso contaminando, mescolando, fondendo materiale proveniente da diversi orizzonti. I conservatori, lo dice il termine stesso, rimangono attaccati a stilemi e motivi del passato, ripetendosi e contribuendo alla ciclicità del ritorno delle mode. La domanda da fare è dunque: dove si collocano i The Sidh? Intanto, chi sono? Marr, Melato, Subet e Pagliaro sono quattro musicisti già attivi in altre formazioni che si sono uniti con lo scopo dichiarato di dare una patina moderna alla musica celtica di matrice irlandese, un genere di per sé chiuso, complice l’isolazionismo di questa zona d’Europa. Per riadattare e rivedere brani tradizionali appartenenti ad un’altra cultura bisogna innanzitutto conoscerla a fondo e il quartetto lo dimostra, quantomeno sul piano musicale. Gli elementi “nuovi” si identificano qui nell’elettronica, quindi drum machine, sintetizzatori, tastiere, con strutture e accentazioni ritmiche provenienti da alcuni dei generi che più hanno aggredito massivamente l’industria musicale nell’ultimo lustro (dubstep, r’n’b, hip hop americano, drum’n’bass, glitch), senza tralasciare le tracce di folk, di prog, di punk a cui la band aveva abituato gli ascoltatori. Il risultato è un intelligente mosaico di musica vecchia e nuova, dove l’obiettivo di attualizzare ogni singolo brano può fare a volte dimenticare la presenza dell’elemento irish, anche se il contributo di strumenti come la cornamusa è determinante per mantenere il collante ideologico che regge questo lavoro. Immaginatevi i Flogging Molly che incontrano Alva Noto e gli Autechre, Shane MacGowan che canta su una produzione brostep di Nero, l’hip hop di Diplo con le uilleann pipes. L’operazione riesce sicuramente dal punto di vista della fusione dei linguaggi, grazie ad una registrazione e ad un mastering di grande classe. L’impressione che i musicisti abbiano spinto più sui suoni che sull’intensità emotiva o la naturalezza dei brani tende a minare la bellezza di alcuni momenti, ma anche questo aspetto è perfettamente controbilanciato dall’ottima capacità strumentale udibile in tutte le sezioni. E’ grazie a questo che la definizione “prog” non risulta più così fuori luogo.
Se vi piace il folk irlandese/celtico e siete curiosi di sentirlo in una maniera “diversa”, vi consigliamo questo viaggio. Se vi farà storcere il naso, vi si chiede comunque di comprendere quante capacità servano per comporre un disco del genere, frutto di un innegabile labor limae. Piacevole scoperta degna di brillare in un periodo di ombre.
Lascia un commento