ETICHETTA: Controrecords
GENERE: Cantautorato
TRACKLIST:
1. La Rebellion
2. Amore Amore Amore
3. Dal Carcere
4. Il Ragazzo e la Città
5. Dimenticata
6. A Night at Holiday Inn
7. L’Ultima Parola
8. Un Nome Che Sia Vento
9. Il Concerto
10. Sol Major para Comandante
11. Opera du Sahel
Su Paolo Andreoni, cantautore bergamasco, si potrebbe speculare e dissertare a lungo. Che genere faccia, che direzione voglia dare al disco, quale sia il succo o il filo comune di queste undici tracce, tutto ciò sembra sfuggire. Una cosa innegabile e certa c’è: non siamo di fronte ad un personaggio normale, piuttosto all’incarnazione di una fenomenologia cantautorale tutta italiana che muove i suoi passi distinguendosi a pieno titolo da tutta la superficie mainstream (Brunori Sas, Dente, Vasco Brondi, ecc.) per stropicciare spartiti delle vecchie glorie di Santercole, Lauzi e, perché no, Paoli e Dalla, ricoltivando quella passione per la musica di contenuto che, diciamoci la verità, ultimamente si è persa.
Tradizionale, comunque, lo è poco questo Un Nome Che Sia Vento, mélange di ogni cosa si possa immaginare suonata, dal blues alla musica etnica, dal folk a De Andrè. La title-track e “Il Concerto” hanno molto del genovese, ma la perdita di identità del disco continua lungo tutta la sua durata, sterzando a destra e a manca, un po’ alla deriva, assestando duri colpi al concetto di semplicità d’ascolto. Fluttua un po’ qua un po’ là Andreoni, tra la semplicità spontanea ma a suo modo lirica di “Dimentica” e gli anni ottanta di “Dal Carcere. Ci sono poi quei brani, come “Il Ragazzo e la Città”, che ti fanno pensare a Dylan e Springsteen, ma con un respiro più italiano, come una sorta di quest cavalleresca aggiornata ai nostri tempi, con l’America deludente di Fitzgerald che diventa la Lombardia (senza mai citarla). La libertà, sicuramente fondamentale per questo disco a livello testuale, si traduce comunque in una sorta di attitudine free jazz, non dimenticando neanche le derive etniche/tribali degli ultimi lavori dei CSI (e non a caso è il primo disco del Consorzio Suonatori Indipendenti ad essere citato dall’autore stesso come una sua influenza, Ko De Mondo; c’è poco invece di un altro disco citato, Kid A dei Radiohead), pur se distante da un’ispirazione politica o un respiro caldo d’impegno sociale. Intimismo e platonismo, più che altro.
Una volta sprecate tutte queste parole lo possiamo dire: questo disco è un toccasana per questa scena, un vero, piccolo, cristallino capolavoro.
tutto vero. grazie. Paolo A