Recensione a cura di RENATO RANCAN
ETICHETTA: Consorzio Produttori Indipendenti
GENERE: Noise rock
1. 3 di 3
2. Retrattile
3. L’agguato
4. Cenere
5. Come stavamo ieri
6. Overflash
7. Ape Regina
8. L’esangue Deborah
9. Ti giro intorno
10. E non cessa di girare la mia testa in mezzo al mare
11. Il vile
Sto scrivendo nel marzo 2012, dei posati Marlene Kuntz sono appena passati per Sanremo, mostrando la copia sbiadita di se stessi, scusa usata tra l’altro per pubblicare il secondo best of in tre anni… non è un gruppo venduto, ma solo spento, un mozzicone incenerito che nausea da morire, soprattutto per il ricordo di cosa ha saputo regalare.
Scrivono ancora con stile elegante e in parte coerente, ma non ci si riesce più a scaldare alla loro fiamma, così da dieci anni a questa parte ogni nuovo album viene accolto con crescente noia e delusione, “Il Vile” invece fu una sorpresa, un pugno, un amplesso, un miracolo.
Vent’anni fa erano solo dei ragazzi stralunati di Cuneo formati musicalmente a forza di concorsi, a pensarci fa sorridere la loro strumentazione dell’epoca, Ibanez con Floyd Rose e multieffetti della Boss, ma già su quei palchi Cristiano Godano, chitarrista e cantante, sbavava e si contorceva nelle paranoie che caratterizzano i primi tre album, viscido in una tensione oscena che trapassava anche dagli strumenti dei compostissimi Tesio e Bergia.
A forza di demo, influenzati fin troppo dai CCCP, finirono nelle caldi mani di Gianni Maroccolo, fondamentale basso dei primi Litfiba e appunto dei tardi CCCP poi CSI, che curò quel “Catartica” che più di un album era già un best of, una raccolta di canzoni scritte in più di un lustro che, pur pagando dazio in disomogeneità, spazzava via gran parte della fiorente musica indipendente italiana dei primi anni ’90, sia per i testi, densi un lirismo raffinato e verboso praticamente unico nel panorama italiano, che per le trame sonore, una vincente miscela di Sonic Youth e Nick Cave, in numerosi istanti in grado di superare gli stessi maestri.
Dopo un un album di tale bellezza e importanza, vollero fare qualcosa di veramente nuovo: abbandonare del tutto le nostalgie dell’America, e diventare finalmente provinciali, ponendo Cuneo come un mare inquinato da cui non più scappare ma dove strisciare, leccare, vomitare e morire per provare i brividi più caldi degli anni ’90. Nacque un mostro, uno dei mostri più belli della musica italiana: “Il vile” non è una successione di brani, ma un blocco unico quasi a formare una creatura, la caratterizzazione di una persona, un flusso continuo di armonici acidi, distorsioni cullanti e urla lancinanti, che narrano di stupri, overdose e paranoie morbose intrecciati a poesie dedicate a donne intoccabili, come se parlasse Dante o Petrarca della donna angelo, come se fosse la stessa cosa che parlare del marcio dell’uomo, un miracolo appunto.
“Overflash” è l’emblema del mood di questo disco, due storie sovrapposte e difficilmente distinguibili: un uomo disperato in preda ad un’overdose fatale, e un uomo in volo altissimo che deliziato si sogna “fighe blu”, i due si chiamano, il morente lo supplica di non partire ma l’altro non vuole più tornare, noi rimaniamo storditi da tutto questo girare, e si continua a girare per tutto l’album: attorno alla donna metafisica che si può solo sfiorare in un fremito come in “Ti Giro Intorno”, o nella più disordinata delle realtà, urlando nel punk forsennato di “E non cessa di girare la mia testa in mezzo al mare”.
“Cosa importa considerare se è vero amore oppure no? Lasciami leccare quello che piace a te.”
Nel video reportage del tour successivo, “Petali di Candore”, Cristiano Godano legge una lettera di protesta: una loro fan li accusa di giustificare e addirittura godersi storie di stupri e depravazione e che le “fighe blu” sono solo un simbolo di maschilismo della peggiore specie, la lettera non riceve commento, solo un sorriso beffardo, i Marlene sono stati grandi proprio perché esorcizzarono e si immersero nelle contraddizioni umane, quelle che esaltano e corrodono la carne e lo spirito, l’album precedente si chiamava “Catartica”, ossia purificatrice, e l’album successivo “Ho Ucciso Paranoia”, ma in questo incarnarono “Il Vile”.
Poi lentamente arrivarono davvero le nostalgie dell’America, le paranoie furono uccise, la magnifica tensione si dissolse e ad oggi ci troviamo una donna tanto intoccabile quanto noiosa e un ancora rispettabilissimo Godano, ma con la pancia piena per aver ingurgitato il resto del gruppo, sbranati dalla sua autostima e logorrea, e in grado di emozionare solo facendo da spalla a Patti Smith o rivisitando/rovinando vecchi classici, ma forse son preda anch’io di nostalgia, resta il fatto che fa male aver scritto questa recensione usando il passato remoto.
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